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Montanelli razzista? Secondo lo storico Del Boca «quel matrimonio è un atto di integrazione»

Lo studioso che ha denunciato i crimini compiuti durante le guerre coloniali è convinto che la statua debba rimanere dov’è e spiega che «all'epoca era normale sposare ragazze di quella età in Africa»

Non un atteggiamento razzista, al contrario un atto di integrazione. Ha pochi dubbi Angelo Del Boca, giornalista e scrittore, considerato unanimemente il maggiore storico del colonialismo, nel commentare l’innesco della polemica che, ciclicamente, reinveste idealmente Indro Montanelli e fisicamente la statua che lo commemora nei giardini pubblici di Milano.

Lo abbiamo raggiunto nella casa di Gazzola, dove il 95enne vive da alcuni anni nella placida provincia di Piacenza caratterizzata dalle morbide colline della Val Luretta, visto che è stato il primo studioso a occuparsi della ricostruzione critica e sistematica della storia politico-militare dell’espansione italiana in Africa orientale e in Libia, e primo fra gli storici a denunciare i numerosi crimini di guerra compiuti dalle truppe del nostro Paese durante le guerre coloniali fasciste.

Siccome fino a poche settimane fa eravamo tutti virologi, e ora grazie ai social abbiamo prontamente conseguito una formazione di alto livello in Storia contemporanea, crediamo sia giusto ascoltare anche la voce di chi a questi argomenti ha dedicato la vita, con veri riconoscimenti – e non avallati solo dal numero di follower – che vanno dalla laurea honoris causa nel 2002 da parte dell’Università degli Studi di Torino a cui se ne è aggiunta un’altra da parte dell’Università di Lucerna e nel 2014 anche dall’Università di Addis Abeba (in Storia africana), che lo hanno reso il primo europeo a ottenere tale riconoscimento dall’Etiopia dopo la Seconda guerra mondiale.

Tra l’altro, verso Montanelli non fu mai indulgente, tanto che ingaggiò con lui una lunghissima polemica che costrinse il giornalista di Fucecchio – dopo averlo negato a lungo – a riconoscere l’uso di agenti chimici da parte dell’esercito di cui era stato sottufficiale. E nel 1944, per impedire l’arresto di suo padre, rispose alla chiamata alle armi della RSI, ma inviato in Germania per l’addestramento con la “Monterosa”, al rientro in Italia decise di disertare e proprio nel piacentino divenne partigiano nella 7a Brigata alpina della I Divisione Giustizia e Libertà.

Lei che di razzismo e movimenti antirazzisti ne ha visti sfilare tanti nella sua vita, con quale spirito ha accolto l’ultimo giunto dall’America definito Black Lives Matter? 
Già negli anni ‘70 ho parlato del razzismo che si annida nella società americana quando ho fatto un lungo reportage sulla destra degli Stati Uniti e ne ho parlato nel libro tradotto in America Fascism Today. Questo razzismo ha radici profonde che non sembra facile sradicare.

Dagli Stati Uniti, le rivendicazioni si sono prontamente riversate anche in Italia. Ma il nostro Paese è razzista?
Il nostro Paese è ancora razzista, purtroppo.

In questi giorni il simbolo del razzismo, del colonialismo e delle prevaricazioni sulle donne è stato individuato idealmente dai manifestanti nella figura di Indro Montanelli e fisicamente nella statua celebrativa a Milano. Cosa ne pensa?
Penso che sia profondamente stupido e ignorante prendersela con la statua di Indro e anche di Cristoforo Colombo!


A questo proposito, in generale come giudica l’abbattimento delle statue di personaggi storici?
Le statue sono simboli legati alla loro epoca e come tali vanno rispettate, mi ha stupito leggere che la statua di Churchill è stata colpita in Inghilterra da ragazzi che hanno detto di non sapere nemmeno chi lui fosse.

Foto: Miguel Medina/AFP via Getty Images


Lei non è certo stato indulgente verso alcune sue ricostruzioni del colonialismo italiano. Ricordo che lo stesso Montanelli dovette ricredersi sull’uso dei gas proprio grazie alle sue ricostruzioni storiche. Eppure, pensa che meriti rispetto? 
Certo che merita rispetto! Ho sempre rispettato i miei avversari, soprattutto quelli che come Montanelli avevano dignità intellettuale.


Nello specifico della vicenda – raccontata dallo stesso Montanelli – durante la quale prese in sposa una 12enne in Abissinia, gli viene imputato di essere stato uno stupratore, ancora peggio un pedofilo. Lei come contestualizza quell’episodio? 
A quei tempi, ma forse ancora adesso, era normale sposare ragazze di quella età in Africa. Veniva incoraggiato nella prima fase come elemento di fraternizzazione, ma successivamente venne proibito mi pare nel ’37 per un motivo, questo sì razzista, di non mescolare la nostra razza con quelle indigene.


Quindi lei, invece di un atto di prevaricazione razzista, lo valuta come un atteggiamento di integrazione?
Sì, lo considero un elemento di integrazione specialmente perché Indro Montanelli mantenne con lei rapporti affettuosi per moltissimi anni.



Negli anni ’50 infatti tornò a trovare la giovane che aveva in seguito sposato un altro militare e scoprì che il loro primogenito era stato chiamato Indro, tanto che lui ebbe il sospetto fosse suo figlio. Un omaggio?
Non saprei, certamente rivela mancanza di ostilità.

Crede che la proposta di affiancare alla statua di Montanelli quella di Destà, la sposa bambina, possa riparare al torto subito?
Non vedo il senso storico di questa discussione e della successiva proposta.

“Montanelli colonialista fascista e stupratore” scrivono sulla statua, sui manifesti e sui social. Sull’ultimo punto si è già espresso, ma sul colonialista e fascista, crede siano sono accuse fondate? 
Forse colonialista sì, nei fatti, visto che si arruolò come un milione di italiani verso il sogno di conquista, ma fascista proprio no. Montanelli era uno spirito liberale e tutta la sua storia dimostra il suo spirito democratico, non dimentichiamo che è stato gambizzato dalle Brigate Rosse ed è stato molto vicino e rispettato dalla sinistra italiana dopo che ha rotto con Berlusconi.



C’è chi sta mettendo in dubbio persino l’attività giornalistica di Montanelli e quella letteraria. Un sopravvalutato o, ancora peggio, un “raccomandato”? 
Idiozie! Montanelli era un grande giornalista e un intellettuale di grande valore di cui l’Italia dovrebbe essere fiera.

La sua storia d’Italia in 22 volumi ha un valore, se non storico, almeno divulgativo?
Concordo, la sua capacità di divulgare ha fatto conoscere la storia alle grandi masse.

Secondo lei che ha dibattuto lungamente con Montanelli, lo ha conosciuto personalmente e alla fine è arrivato persino a scrivere una prefazione di un suo libro, quale crede siano i maggiori meriti del giornalista? 
Era molto incisivo: i suoi elzeviri terminavano nella prima pagina. Era coraggioso, non aveva paura di nessuno.

Se potesse rivolgersi direttamente a loro, cosa sente di dire ai tanti giovani che si stanno impegnando in questo movimento antirazzista, di emancipazione femminile e anticoloniale?
Continuate a combattere con forza, sono battaglie lunghe da vincere.

E alla nostra classe politica, che spesso cavalca gli stati d’animo dell’opinione pubblica, sente di dare un consiglio per non ripetere gli errori del passato?
Andate negli archivi e documentatevi! Cercate sempre la verità dei fatti e pensate con la vostra testa.

Ci dica la verità, qual è il peggior difetto degli italiani in fatto di storia?
L’ignoranza dei fatti.

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