Rolling Stone Italia

Minacce, speranza, ironia: le tre fasi degli spot contro il coronavirus

Gli spot governativi contro il coronavirus sono ciò che gli storici del futuro guarderanno per capire il 2020, l'anno in cui la società umana è diventata ciclotimica

Il coronavirus è parte delle nostre vite da un anno ormai e in questo anno siamo passati attraverso diversi stadi: lo shock iniziale, la negazione, la paura, la gioia estiva per poter di nuovo uscire e ora la stanchezza e la frustrazione per un problema che proprio non vuole saperne di andare via.

Anche la comunicazione pubblica, governativa e non, in tutto il mondo è passata attraverso diversi stadi. Sorvolando sul breve periodo negazionista – quello di “Milano non si ferma”, “è solo un’influenza” – se ne possono individuare sostanzialmente tre: il periodo delle minacce, in cui si cercava di far stare a casa la gente con la forza puntato sul fatto che fossimo tutti terrorizzati; il periodo della speranza, nel breve periodo tra la fine della prima ondata e l’inizio della seconda, in cui si tirava il fiato e ci si mostrava orgogliosi dei sacrifici fatti pensando di aver risolto il problema; il periodo dell’ironia, in cui dopo 10 mesi di questa vita non ne possiamo più, la paura l’abbiamo superata e siamo più frustrati che spaventati.

Insomma, sia a livello pubblico che privato il 2020 è stato un anno di ciclotimia sociale. Ecco alcune delle fasi per cui siamo passati.

GLI SPOT MINACCIOSI

I primi esempi di questo tipo arrivano dalla Cina lo scorso febbraio, quando la pandemia era ancora contenuta nell’epicentro di Wuhan e sembrava solo un problema cinese. In quel periodo le autorità cinese hanno tappezzato la città di striscioni rossi con frasi minacciose:

“Chi ha la febbre e non lo dice è un nemico di classe nascosto tra il popolo”

“Metti la mascherina o vieni intubato, scegli tu”

E addirittura: “se esci di casa ti spezzo le gambe, se mi sfidi ti spacco di denti”

A marzo, quando l’epidemia ha raggiunto l’Italia e l’attenzione mondiale si è spostata su di noi, questo tipo di comunicazione pubblica è arrivata anche qui. A Cagliari, la città è stata tappezzata di manifesti su questo stile: “Quando mi hanno portato in ospedale ho capito che dovevo rinunciare a quella corsa”, “Quando mio figlio è stato contagiato ho capito che dovevo rinunciare a quella spesa inutile” e “Quando hanno intubato mio padre ho ripensato a quella passeggiata che non dovevo fare”.

Ovviamente, non ci sono solo gli striscioni. Come dimenticare Vincenzo De Luca che minaccia di mandare “i carabinieri con il lanciafiamme” a chi fa la festa di laurea – un video diventato un meme in tutto il mondo.

GLI SPOT SPERANZOSI

Alla fine della prima fase dell’emergenza siamo passati alla speranza: il simbolo di questa fase è “Un passo alla volta”, lo spot del Comune di Milano con Ghali.

“Il silenzio ha fatto festa per le strade della città ora che anche le fermate si sono fermate”, dice Ghali con non poca retorica. “Mascherine ci fanno ormai da grembiule in questa grande scuola e ci ricordano che siamo tutti uguali”, “siamo in maschera, non siamo bendati”.

Era il sospiro di sollievo collettivo per la fine della parte se non più dura, più spaventosa della pandemia. Ora siamo da capo ma a questo genere di cose sembra che non ci crediamo più neanche noi.

GLI SPOT SIMPATICI

Dopo 10 mesi a produrre spot e campagne pubblicitarie a tema coronavirus è sorprendente che esistano ancora creativi al mondo con idee originali. Uno di questi deve essere stato ingaggiato dal governo tedesco per produrre uno spot ufficiale anti-coronavirus nella forma di un finto documentario del futuro sull’emergenza di oggi, in un cui un anziano spiega “come abbiamo salvato il mondo” restandocene a letto in pigiama per mesi. 

“Il destino del paese era nelle nostre mani. Abbiamo raccolto tutto il nostro coraggio e fatto quello che ci si aspettava da noi. L’unica cosa giusta da fare. Abbiamo fatto… niente, assolutamente niente. Siamo stati pigri come procioni”.

Iscriviti