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Ma cosa ci aspettiamo da Papa Francesco?

La gaffe sulla «fro*iaggine» nei seminari indigna la comunità lgbtq+ e fa tornare indietro di mille passi le (presunte) aperture di Bergoglio. Ma sicuri che questo pontefice a metà tra la rivoluzione e un film dei Vanzina possa davvero essere un alleato?

Ma cosa ci aspettiamo da Papa Francesco?

Papa Francesco

Foto: Franco Origlia/Getty Images

Ma chi è davvero questo Papa Francesco? Un gesuita che vuole portare la Chiesa a sinistra ma è zavorrato dalle decine di correnti, pure parecchio conservatrici, che passano in Vaticano? Quello che, ecco, a un anno dal suo insediamento diceva che lui non era nessuno per «giudicare un gay»? Un vecchio reazionario che, come si è lasciato scappare, se un bambino dà l’idea di essere omosessuale allora bisogna intervenire «con la psichiatria»? Ancora, un nemico del «politicamente corretto», come rilanciato da Dagospia quando ha dato per primo la notizia della «frociaggine»? Un ospite fisso della Zanzara di Cruciani e Parenzo, un fuoriuscito da un qualche cinepanettone con De Sica, il protagonista mancato di Fracchia la belva umana? O solo uno che alla fine deve fare il Papa, ed essere il Papa evidentemente implica difendere un’idea di mondo che non c’è più? Boh.

Certo è che il fatto che Bergoglio abbia usato, letteralmente, il termine «frociaggine» ha confuso di nuovo le carte. Tutto è uscito fuori ieri, ma i fatti sono del 20 maggio. In un incontro a porte chiuse con i vescovi si parlava di una delle ultime decisioni della Chiesa, quella di accogliere nei seminari le persone con «tendenze omosessuali», visto che da anni, tra ripensamenti e cortocircuiti, il Papa ha dato l’impressione di voler lasciare la porta aperta alla comunità LGBTQ+. In un momento più confidenziale, imbeccato da un paio di vescovi, Bergoglio ha accennato una marcia indietro con la frase incriminata: «Guardate, c’è già un’aria di frociaggine in giro che non fa bene. C’è una cultura odierna dell’omosessualità rispetto alla quale chi ha un orientamento omosessuale è meglio che non sia accolto». È questa la trascrizione corretta, riportata dall’ADNkronos. Il senso, per lui, è che quella che oggi reputa la cultura ordinaria (e qui c’è puzza di complotto queer) non lo è per il Vaticano, e che gli omosessuali in seminario sarebbero più esposti a «cadere», viene da sé, in tentazione.

Tutti i giornali che hanno riportato fonti interne – fonti, chiariamo, che non si sono fatte problemi a riferire la storia ai cronisti – hanno in parte minimizzato, scrivendo che molti vescovi, sentendola lì per lì, sono rimasti di pietra e c’è stato parecchio imbarazzo (c’è tutt’ora, in realtà, in Vaticano, visto che la Santa Sede non sa come uscirne), ma la sensazione era che il Papa non conoscesse la natura offensiva della parola in italiano, citando anche il tono informale del tutto. D’altronde è vero che Bergoglio ha portato in basso l’eloquio tipico del pontefice, con espressioni e concetti gergali, qualunque, lontani dai toni austeri dei predecessori, anche solo per umanizzare il tutto. Se a questo ci si aggiunge che, probabilmente, si parla di un anziano che ha perso, forse, parte dei freni inibitori, il gioco è fatto. Il Corriere della Sera, per esempio, ha messo in fila una serie di strafalcioni di Bergoglio, che a volte sembra partire per la tangente e se ne esce con espressioni e pensieri che non siamo abituati ad attribuire al Papa. «Non si tiene», dicono dal Vaticano, mentre nel pezzo si legge anche di come in privato userebbe espressioni colorite anche più spesso di quanto immaginiamo. La stessa questione della «psichiatria» nascerebbe da un uso improprio della lingua.

Premessa: un personaggio pubblico e, di fatto, un capo di Stato del genere, uno dei pochi che parlano di pace e vicinanza tra i popoli, non può comunque permettersi di non sapere certe cose. E però la questione è spinosa non solo per il Vaticano, che in qualche modo dovrà pure uscirne e prendere posizione in merito. Contando il retropensiero più o meno esplicito, infatti, Bergoglio ci fa due volte una pessima figura: il senso è che in seminario – e viene da sé nella Chiesa Cattolica – non c’è spazio per gli omosessuali, o se mai ci sarà comunque secondario a quello riservato agli altri. Ora, a parte che non è una novità che tra il clero ci siano anche parecchi omosessuali, ci sta che le persone queer si sentano offese ed escluse, e che in generale si rinnovi quell’idea per cui la Chiesa è come sempre nemica del progresso. Fa solo un pelo più notizia perché si parla di Bergoglio, per quel suo essere sopra le righe, per le piccole aperture che ogni tanto dà e perché il mondo intorno è cambiato rispetto a trent’anni fa, e come ci sono vescovi che hanno raccolto i segnali di una nuova sensibilità, ecco, potrebbe farlo anche lui.

Invece no, questo Papa a metà tra rivoluzione e film dei Vanzina non è un alleato. Non può esserlo, evidentemente, per convinzioni e background personale, e non può perché non ha la forza, la voglia e forse neanche le intenzioni di cambiare la Chiesa come alcuni si aspettavano, contando comunque premesse che vanno dalla vicinanza ai poveri e ai migranti all’amicizia con storici mangiapreti come Marco Pannella. Ma nel Vaticano ci sono idee e valori scritti nella pietra, che vengono fuori tanto nei discorsi pubblici e nei fatti quanto nelle espressioni colorite Bergoglio. Finché non cambieranno quelli, finché non cambierà quella cultura, forse ci aspetteremo sempre un po’ troppo dalla Chiesa come istituzione, chiedendole di rinunciare a ciò che ha sempre professato, e di essere ciò che non è mai stata.

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