L’unico porto da chiudere è quello di Venezia | Rolling Stone Italia
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L’unico porto da chiudere è quello di Venezia

Per i migranti nessun soccorso, mentre le navi da crociera mettono a repentaglio la sicurezza di tutti a San Marco. Insomma, forti con i deboli e deboli con i forti: l'esatto contrario di quanto dice la "legge del mare"

L’unico porto da chiudere è quello di Venezia

Una nave da crociera nel cuore di Venezia. Da qui passano tra le 500 e le 800 imbarcazioni all'anno

Foto: Getty

Chissà, se fosse nato da questa parte dell’oceano, come avrebbe descritto la gita a Venezia David Foster Wallace nel suo capolavoro Una cosa divertente che non farò mai più, cronaca più che seria della sua prima volta in crociera. Chissà come avrebbe reso con la sua prosa la surreale esperienza di solcare a bordo di un enorme mostro a 19 ponti la laguna nel canale della Giudecca, fino a fare capolino su piazza San Marco. E chissà quali pagine meravigliose ci avrebbe lasciato se per caso ieri si fosse trovato sulla Msc Opera, mentre quel gigante di 275 metri per 65mila tonnellate si scontrava con il battello fluviale River Countess, ormeggiato vicino all’imbarcadero San Basilio. A bordo c’erano 130 persone, cinque della quali sono rimaste ferite. Poteva andare molto, molto peggio.

Un disastro annunciato almeno da dieci anni, quando le navi da crociera iniziavano con sempre maggior intensità a proporre il capoluogo veneto nelle proprie rotte. Allora per la prima volta si alzava la protesta “No grandi navi“, movimento che negli ultimi anni ha provato in ogni modo a dire basta alla follia che ogni giorno si compie nel centro storico di Venezia.

«Parliamo di ben più di 500 “toccate” all’anno, tra arrivi e partenze delle crociere: in estate dalla città storica passano cinque o sei navi al giorno», spiega Beppe Caccia. Storico attivista “No grandi navi” ed ex vicesindaco di Venezia, oggi è capo missione della Mare Jonio, la nave del progetto Mediterranea impegnata da mesi nei salvataggi al largo del Canale di Sicilia. «La loro crescita è stata costante dalla prima metà dei Duemila, ed è proceduta di pari passo rispetto a una protesta del tutto inascoltata».

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A dire il vero, un primo importante risultato era stato ottenuto nel 2012 con l’approvazione del decreto firmato dai ministri Clini e Passer, che bandiva le navi di peso superiore alle 42mila tonnellate dalla laguna. Ma a oggi è del tutto disatteso. «Il provvedimento conteneva un codicillo che autorizzava provvisoriamente i passaggi delle imbarcazioni, finché non fossero trovate altre soluzioni. Nessuno dei governi che si è succeduto le ha mai cercate e la situazione è rimasta cristallizzata».

Il ruolo dell’esecutivo è decisivo, «perché sulle laguna la competenza spetta in primo luogo al Ministero dei Trasporti, che si deve coordinare con quello dell’Ambiente e dei Beni Culturali». Oggi il dossier è dunque sulla scrivania di Danilo Toninelli, che ieri, con notevole coraggio, ha spiegato come l’iter per risolvere la questione sia in fase avanzata. «I Cinque Stelle hanno preso parecchi voti contestando il passaggio delle grandi navi dal centro di Venezia, in maniera del tutto strumentale. In un anno di governo non hanno mosso un dito per cercare l’alternativa in grado di sbloccare la situazione, preservando il settore economico e i posti di lavoro collegati e allo stesso tempo collocando il terminal crocieristico fuori dalla laguna».

Anche perché, «mentre in passato le amministrazioni locali avevano insistito per bloccare l’accesso alle navi», denuncia Beppe Caccia, «oggi sia l’attuale sindaco Brugnaro che il presidente della regione Zaia difendono a spada tratta la lobby delle crociere, i cui interessi sono anteposti alla tutela della salute degli abitanti di Venezia».

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Quello che oggi colpisce, oltre alla totale assenza di buon senso di questa situazione, è l’uso a corrente alternata di quel diritto del mare di cui ultimamente sono in tanti a riempirsi la bocca. «Da un lato si fa l’impossibile – tra sequestri e cambi nelle “regole d’ingaggio” nel salvataggio – per bloccare l’attività di navi che in mare operano seguendo il primo obbligo previsto dal codice della navigazione: prestare soccorso a chiunque si trovi in pericolo. Dall’altro si deroga a tutto pur di dare accesso a un contesto fragile a imbarcazioni evidentemente fuori scala».

Per questo un solo porto – anche perché tale non è – in Italia andrebbe chiuso, e non accoglie nessun naufrago. «Quella dei porti chiusi è un bufala tragica e l’esperienza di Mediterranea lo dimostra in maniera fin troppo chiara. Che Venezia, invece, sia incompatibile con le rotte delle crociere è fin troppo evidente. Lo era da ben prima dell’incidente di ieri».