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L’Italia ospita un terzo delle bombe atomiche presenti in Europa

Sono sotto controllo, gestite alla perfezione e probabilmente non verranno mai utilizzate, ma ci sono e con tutta probabilità ci saranno ancora in futuro. Breve storia di come abbiamo imparato a non preoccuparci e ad amare l'Atomica

Foto di Three Lions/Getty Images

Ghedi e Aviano sono due cittadine che insieme contano poco più di 27mila abitanti. La prima è in provincia di Brescia, la seconda è poco distante da Pordenone, nelle terre dove spesso sono passate le storie di ciclismo di campioni come Marco Pantani, che nella frazione friulana di Piancavallo, nel 1998, vinse una tappa del Giro d’Italia che lo vide vincitore.

Insomma, sono due realtà di provincia come tante altre nel nostro paese, o meglio, lo sarebbero. Sì, perché Ghedi e Aviano hanno una cosa che nessun altro paese italiano ha: un arsenale nucleare.

L’Italia rientra nella cosiddetta “condivisione nucleare” della NATO, un‘idea secondo cui alcuni paesi europei tengono sul loro territorio alcuni ordigni atomici B61 con uno scopo prettamente di deterrenza (che, citando le parole di Peter Sellers ne Il Dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la boma , è «L’arte di creare nell’animo dell’eventuale nemico il terrore di attaccare»).

Le basi coinvolte nel progetto sono quelle di Kleine Brogel, in Belgio (10-20 bombe), Büchel, in Germania (10-20 bombe), Volkel, nei Paesi Bassi (10-20 bombe), Incirlik, in Turchia (50- 90 bombe), e le due italiane di Aviano (50 bombe) e Ghedi (20-40 bombe).

A conti fatti, dunque, l’Italia contende alla Turchia il ruolo di paese che ospita più ordigni nucleari su suolo europeo, ordigni che hanno una potenza che può arrivare fino a 340 chilotoni (la bomba atomica sganciata su Nagasaki, che causò tra le 60 e le 80mila vittime era tredici volte e mezzo meno potente).

Quello che in tempi di pace può esser visto come un importante riconoscimento di fiducia da parte degli Stati Uniti, unica potenza nucleare della NATO a dare “in gestione” le proprie bombe atomiche, in tempi di guerra può essere un rischio non indifferente.

Questo non è uno scenario poi tanto campato in aria: nel 2005 infatti, furono resi pubblici alcuni piani militari segreti dei paesi del Patto di Varsavia che risalivano agli anni 60, in cui si proponeva, in caso di conflitto, un attacco all’Italia, passando dall’Austria. Nel corso del blitz sarebbero state bombardate nuclearmente Vienna, Monaco di Baviera, Innsbruck, Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Piacenza e, per l’appunto, Ghedi.

Al contrario, come rivelato dall’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga in una puntata del programma di Carlo Lucarelli Blu Notte dello stesso anno, la NATO avrebbe in quel caso autorizzato l’Italia a sganciare le bombe atomiche su Praga e Budapest, facendo partire i cacciabombardieri Panavia Tornado proprio dall’aeroporto in provincia di Brescia.

È difficile capire con precisione quanti siano gli ordigni stoccati all’interno delle due basi, perché il dato è segreto, anche se spesso trapelano informazioni. In particolare ad Aviano, sarebbe in atto una diminuzione delle “scorte”.

Ovviamente, la presenza della NATO ha da sempre generato malumori e contestazioni in quei territori, principalmente da parte dei movimenti pacifisti che non capiscono come mai dei paesi della provincia italiana debbano esporsi a un rischio così grande e che negli anni hanno proposto decine di petizioni per rifiutare il piano di condivisione, come hanno fatto negli anni altri membri della NATO come Danimarca, Grecia, Islanda, Canada e Austria.

Se però la convivenza ha più o meno retto senza particolari scossoni (ma con episodi gravi come la strage del Cermis del 1998 o lo scontro tra due caccia partiti da Ghedi sopra Ascoli Piceno del 2014), l’invasione russa dell’Ucraina ha riacceso il dibattito e preoccupato tanto i cittadini, quanto i vertici militari delle basi, che dal 24 febbraio scorso sono in fase di “preallerta”. A maggior ragione, le parole che arrivano da Mosca e i report degli 007 americani che non escludono del tutto che Putin voglia utilizzare ordigni nucleari, alzano il livello di guardia su quelli che di fatto sono arsenali nucleari sul nostro territorio.

Altro punto di domanda mai chiarito è il seguente: l’Aeronautica Militare italiana sarebbe eventualmente autorizzata a sganciare queste bombe, qualora ce ne fosse necessità? La questione è spinosa: gli ordigni non sono di proprietà italiana, ma americana.

Sono infatti solo 10 i paesi al mondo che dispongono di queste testate (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito, Francia, Pakistan, India, Israele e Corea del Nord), con l’Italia che, al pari di Belgio, Germania, Turchia e Paesi Bassi, ricopre il ruolo di “magazziniere” per conto della NATO. Non è mai stato formalmente chiarito cosa i nostri militari possano o non possano fare in scenari che speriamo di non vivere mai, ma certo è che gli F35-A del 6º stormo dell’Aeronautica Militare, di stanza a Ghedi, sono stati appositamente configurati per gestire eventuali attacchi nucleari.

In definitiva: quello della guerra nucleare è un rischio prossimo allo zero, però è giusto sapere che un terzo delle bombe atomiche su suolo europeo si trovano a casa nostra. Sono sotto controllo, gestite alla perfezione e probabilmente non verranno mai e poi mai utilizzate, ma ci sono e con tutta probabilità ci saranno ancora in futuro.

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