L'Italia è un Paese per vecchi, per questo non vuole la tassa di successione | Rolling Stone Italia
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L’Italia è un Paese per vecchi, per questo non vuole la tassa di successione

Le reazioni della politica alla proposta di aumentare l’imposta di successione – sui patrimoni che vanno oltre i 5 milioni di euro – dimostrano chiaramente una cosa: in Italia i vecchi sono la maggioranza, quindi le regole le scrivono loro

L’Italia è un Paese per vecchi, per questo non vuole la tassa di successione

Foto: Miguel Medina/AFP via Getty Images

Negli ultimi giorni ha fatto molto discutere la proposta di aumentare le imposte di successione dei ricchi, avanzata da Enrico Letta durante un’intervista concessa a 7, il settimanale del Corriere della Sera. L’obiettivo secondo Letta era creare una “dote” di 10mila euro da destinare ai 18enni dei ceti medio-bassi – che il segretario del Partito Democratico ha definito come “Generazione Covid”. Un tesoretto da ripartire sulla base dell’Isee e spendibile soltanto in determinati modi: in istruzione e formazione, lavoro e imprenditoria, casa e alloggio. 

Per finanziare questa misura, il Partito Democratico avrebbe voluto portare al 20% l’aliquota dell’imposta di successione per le eredità superiori ai 5 milioni di euro – che graverebbe soltanto sulla parte eccedente questa soglia. “Ho fatto questa proposta per il motivo per cui sono tornato in politica, mi sono detto che il nostro Paese deve tornare a essere attrattivo per i giovani”, ha detto Letta a Che tempo che fa, aggiungendo che “Questo Paese sta prendendo letteralmente a calci nel sedere i giovani, lo dimostrano le reazioni a questa proposta”.

In effetti, il governo non sembra avere apprezzato troppo l’esuberanza del segretario, come dimostrato dalla reazione di Draghi, che ha fatto sapere di non avere mai preso in considerazione l’ipotesi, dato che il paese vive un momento delicato e che “Non è il momento di prendere i soldi ai cittadini ma di darli”. Anche i leader degli altri partiti che sostengono la maggioranza non hanno nascosto una certa riluttanza di fronte alla prospettiva di tassare l’1% più ricco della popolazione: Luigi Di Maio l’ha definita addirittura un’iniziativa “illiberale”, Matteo Renzi ha detto che “aumentare le tasse è un errore grave, sempre”, mentre Matteo Salvini la considera uno specchietto per le allodole, dato bisognerebbe piuttosto “tassare le multinazionali straniere che fanno affari in Italia e non pagano le tasse. Penso senza fare nomi e cognomi ad Amazon”. 

In realtà, la proposta di Letta non è una novità: riecheggia un’idea elaborata dal Forum disuguaglianze e diversità nell’ambito del documento programmatico 15 proposte per la giustizia sociale, che prevedeva di “Trasferire a ogni ragazza o ragazzo, al compimento dei 18 anni, un’eredità pari a 15mila euro”.

Il Forum porta avanti questi propositi già dal 2018, prima che la pandemia da coronavirus contribuisse ad aggravare un quadro già preoccupante: le disuguaglianze in Italia erano infatti già particolarmente radicate, contrassegnate da ampi squilibri nella distribuzione della ricchezza nazionale. Tuttavia, da un anno e mezzo a questa parte, la forbice delle disparità si è allargata ulteriormente: secondo le stime preliminari dell’Istat, in Italia le famiglie in condizioni di povertà assoluta sono oltre 2 milioni, per un numero complessivo di individui pari a circa 5,6 milioni, l’aumento più alto mai registrato da 15 anni a questa parte.

Alle disuguaglianze in aumento esponenziale fa riscontro un problema di concentrazione della ricchezza non più trascurabile: uno studio pubblicato lo scorso 4 maggio dagli economisti Paolo Acciari, Facundo Alvarado e Salvatore Morelli ha evidenziato come, negli ultimi 20 anni, i 5mila italiani più ricchi (pari allo 0,01% della popolazione) abbiano visto la propria quota di patrimoni complessivi triplicare, a fronte di un 50% più povero che ha conosciuto una riduzione della ricchezza netta pari all’80%. L’indagine dimostra come siano proprio i passaggi ereditari il principale motivo di concentrazione di ricchezza e tra i cosiddetti supericchi: da questo punto di vista, il nostro paese rappresenta a tutti gli effetti un vero e proprio “paradiso fiscale delle successioni”, che consente di trasferire grandi patrimoni da genitori a figli pagando imposte irrisorie che non sortiscono effetti significativi sul piano redistributivo e della lotta alla povertà. 

Sul punto sembrano concordare anche Tito Boeri e Roberto Perotti, che in un recente articolo pubblicato su Repubblica hanno precisato come nel nostro paese un imprenditore possa “trasferire la proprietà dell’impresa ai propri figli senza pagare alcuna tassa, se i figli si impegnano a continuare l’attività per almeno cinque anni. È una norma che, oltre a concentrare ricchezza, spesso ingessa la struttura proprietaria e manageriale delle imprese, spingendo figli che magari hanno poco interesse o capacità imprenditoriale a seguire le orme dei genitori invece di dedicarsi a ciò che sanno fare meglio”.

Non dovesse bastare, se rapportata a quella degli agli altri paesi europei, l’imposta di successione nostrana – che in Italia non tocca i patrimoni inferiori al milione di euro – è bassissima: il 4% del nostro paese è impietoso se rapportato al 30% della Germania, al 34% della Spagna o al 45% della Francia. La situazione è simile anche al di fuori del nostro continente: ad esempio, la famiglia di Lee Kun-hee, presidente della Samsung deceduto nell’ottobre dello scorso anno, verserà al governo coreano 11 miliardi di dollari di imposte ereditarie. 

Le evidenze dimostrano come la situazione di emergenza che stiamo vivendo rappresenti un’occasione irripetibile per adottare delle politiche che possano rivelarsi più eque dal punto di vista della giustizia intergenerazionale: si tratterebbe, infatti, di una misura che non verrebbe finanziata a debito – come molti dei prestiti che il nostro Paese sta chiedendo in questo periodo – e che, quindi, non finirebbe per incidere in negativo sulle generazioni che soffrono maggiormente a causa di questa crisi. 

Eppure, altre misure decisamente meno impattanti sul futuro dei giovani hanno ricevuto un appoggio acritico. Basti pensare alla norma, introdotta dal Decreto Sostegni bis, che consente agli under 36 di contrarre mutui per acquistare una casa con la garanzia dello Stato. Una previsione totalmente slegata dalla realtà: se, fino a qualche decennio fa, la casa rappresentava l’investimento più sicuro, lo status symbol di benessere per definizione, oggi il rapporto che lega i giovani e il “mattone” è, ormai, piuttosto logoro: i dati indicano infatti che le agevolazioni introdotte negli ultimi anni per assicurare un più facile accesso alla prima casa non soltanto non hanno abbassato la media di coloro che sono costretti a rimanere presso il nucleo familiare di origine, ma non sono state in grado neppure di contrastarne l’incremento.

L’aumento delle imposte sulle successioni è il minimo sindacale per un paese che vuole ritenersi progressista: tassare l’1% più ricco al fine di redistribuire i proventi ai giovani delle fasce più povere, per metterli nelle condizioni di emanciparsi dalle loro famiglie e avere un margine, per quanto minimo, di autonomia decisionale sul loro destino – giovani che, peraltro, hanno già ereditato un debito pubblico destinato a esplodere. Diversamente, come ha scritto Stefano Feltri su Domani, il messaggio che la politica farà passare sarà soltanto uno: “I vecchi sono la maggioranza, quindi le regole le dettano loro”.