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La storia che questo progetto fotografico vuole raccontare è semplice: come le comunità russe ed ucraine (al di fuori delle rispettive patrie) vivono la situazione odierna.
Foto: Michele Pavana
In questo caso in particolare si tratta della comunità ortodossa che ruota intorno al Centro Borodina di Merano.
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Il Centro Nadezhda Ivanovna Borodina è stato fondato nel giugno 2009 ed è un luogo di incontro tra la comunità russa e quella altoatesina.
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Promuove i rapporti nei settori culturale, artistico e scientifico ed educativo.
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Le sue basi risalgono al 1800, quando una signora russa ha costituito (con tutto il suo patrimonio) una fondazione per permettere cure, tra l’altro, a russi bisognosi di stanza a Merano.
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Particolarità interessante è il fatto che le due comunità coesistano in un territorio come quello altoatesino, che ha fatto della convivenza pacifica fra gruppi linguistici e culturalmente diversi un vanto.
Foto: Michele Pavana
La chiesa – il cui celebrante è bielorusso – accoglie fedeli ortodossi di diversa nazionalità. Si nota molta paura nella comunità, nei vari gruppi “nazionali”, perché i russi temono ritorsioni e non parlano volentieri ai giornalisti, mentre gli ucraini presenti hanno tutti familiari e amici che scappano o combattono.
Foto: Michele Pavana
In ogni caso, vedere che i vari gruppi convivono all’interno della comunità attraverso la preghiera è un bellissimo segnale di speranza.
Foto: Michele Pavana
La celebrazione di oggi è simile a molte altre. La chiesa è piena, forse appena più del solito: donne velate parlottano nel parco per poi salire i gradini in silenziosa processione.
Foto: Michele Pavana
I bambini corrono nel grande prato che ospita Villa Borodina. La processione continua a salire le scale, dalle finestre si sentono iniziare i vespri cantati.
Foto: Michele Pavana
Una signora, da un balcone poco distante, grida alla processione: «Assassini!», squarciando il delicato silenzio della mattinata.
Foto: Michele Pavana
La chiesa di San Nicola Taumaturgo, a Merano, è una delle più particolari del culto ortodosso del Patriarcato di Mosca in Italia.
Foto: Michele Pavana
Finemente decorata, accoglie persone di diverse nazionalità, racconta Padre Sergej, un prete di nazionalità bielorussa.
Foto: Michele Pavana
Ogni domenica ci sono russi, ucraini, moldavi, serbi e georgiani.
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a comunità, sempre molto unita dalla fede, inizia ad avere timore di crepe al suo interno: c’è tensione, si teme che i venti di guerra possano aprire delle spaccature profonde.
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«Lasciamo la politica fuori dalla chiesa», ci dicono alcuni fedeli russi, che preferiscono rimanere anonimi.
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Non è difficile capire la loro volontà: molti hanno parenti e familiari in Russia, e una narrazione contraria al regime potrebbe sfociare in un’incarcerazione dei propri parenti.
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Momenti del genere fanno capire come anche la popolazione russa sia vittima di quello che sta succedendo.
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È discriminata per il solo fatto di essere russa, e l’iconoclastia colpisce non solo i russi della chiesa, ma anche gli altri, “colpevoli” di frequentare lo stesso luogo di culto.
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E chi è contrario alla guerra, temendo ritorsioni all’estero, si chiude nel suo silenzio.
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Lo spettro della guerra arriva fino qui, contagia ogni cosa in un modo o nell’altro. È la paura che serpeggia, paura di ritorsioni per i russi, paura per i famigliari per gli ucraini.
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La celebrazione prosegue, una donna ucraina mostra con fierezza un nastrino con i colori della sua bandiera sul petto.
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Molte donne ucraine pregano a capo chino, tutte hanno familiari e amici sotto le bombe in terra natia: a fine della celebrazione, si raccolgono in ginocchio in preghiera per i morti, che sono stati molti in questi giorni di pesante conflitto.
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Scorre qualche lacrima, la distanza è azzerata. Padre Sergej crede molto alla forza della sua comunità, alla sua capacità di unirsi nella preghiera in questo momento. La convivenza all’interno del nucleo di fedeli, è garantita dalla volontà di ognuno di rispettare l’altro, lasciando la politica all’esterno.
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