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L’emergenza morti sul lavoro è peggiore di quanto crediamo

I dati Inail segnalano un'impennata negli incidenti: nel 2018 sono stati il 10% in più dell'anno precedente. Ma il calcolo è al ribasso, e la sicurezza continua a sembrare un "problema minore" a politici e cittadini

Emergenza, tragedia, allarme sociale. Sono questi i termini con cui oggi si commentano i dati Inail sulle morti sul lavoro avvenuti in Italia nel 2018. Eppure le cose, probabilmente, stanno ancora peggio di così. In questo modo la pensa Carlo Soricelli, metalmeccanico in pensione che nel 2008, scosso da quanto accaduto alla ThyssenKrupp di Torino, decise di aprire l’Osservatorio indipendente morti sul lavoro di Bologna, realtà indipendente che monitora giorno per giorno, attraverso varie fonti di informazione, gli incidenti mortali che riguardano i lavoratori italiani.

Secondo l’Inail, lo scorso anno i morti sono stati 1133, circa il 10% in più del 2017. Un aumento impressionante, soprattutto se si considera che già dal 2015 le cifre avevano ricominciato a salire dopo un decennio di calo costante, dovuto soprattutto alla crisi economica che aveva diminuito il monte ore complessivo nei cantieri e negli altri luoghi di lavoro. «Bisogna però chiarire bene una cosa: quelle sono le denunce che arrivano all’Inail. Di queste più di un terzo risultano poi inevase, cioè le persone non vengono registrate come vittime del lavoro. Pochi giorni fa, ad esempio, il ministro Di Maio è stato fermato dal fratello di uno dei camerieri morti all’hotel Rigopiano, perché al suo caro non era stato concesso il riconoscimento».

Questo perché l’Inail «monitora solo i suoi assicurati, che appartengono a varie categorie, e valuta caso per caso chi rientra nei parametri e chi no». Che significa sostegno economico per i famigliari e tutta un’altra serie di agevolazioni. Il report dell’organismo assicurativo distingue i decessi in occasioni di lavoro – passati da 746 a 786 (+5,4%) –, da quelli occorsi in itinere, cioè per strada, andando o tornando dal luogo di lavoro oppure durante un trasferimento connaturato alla propria professione: in questo caso l’aumento è pari al 22,6%, da 283 casi a 347.

«Questa cifra sfalsa tutto il calcolo: non si tratta solo di strumenti di rilevazione diversi, la confusione crea danni profondi», prosegue Soricelli. «I morti in strada sono stati almeno 750 secondo le nostre stime, ma si tratta di proiezioni statistiche (quasi certamente al ribasso) perché nemmeno la polizia stradale può fornire un numero esatto. Di certo l’Inail non conteggia i lavoratori in nero, che sono tanti, e molte partite Iva, assieme a tutta una serie di categorie, per esempio gli otto carabinieri (la cui mancata copertura da parte dell’Istituto è sempre stata oggetto di dibattito, ndr) deceduti in servizio nei dodici mesi trascorsi».

Discorso simile per la maggior parte degli agricoltori che perdono la vita nei campi da Nord a Sud: forse non tutti sanno che una delle principali cause di incidenti sul lavoro è il trattore. «Nel 2018 sono stati 149 gli agricoltori schiacciati dal mezzo, davvero tanti, e solo a gennaio di quest’anno sono già 8. E pensare che molti fanno salire figli o nipoti per fare finta di guidare». Incide anche la specificità del tessuto lavorativo italiano, visto che «il 95% delle morti sui luoghi di lavoro avviene in piccole o piccolissime aziende, magari in subappalti (come accaduto di recente a un operaio all’interno dell’Ansaldo di Genova, ndr). Qui la sicurezza è spesso bassa, e le campagne di sensibilizzazione quasi inesistenti».

Quelle, secondo Soricelli, potrebbero fare molto e sono più urgenti che mai. «Perché non è possibile che avvengano ancora episodi come quello di Bari, dove ieri è morto un operaio cadendo da 15 metri di altezza senza protezioni di alcun tipo». Manca una cultura della sicurezza e della tutela della vita, e la politica ha le sue colpe. «Le leggi degli ultimi anni, dalla Fornero al Jobs Act, costringono le persone a rimanere al lavoro, anche in contesti potenzialmente pericolosi, più a lungo. Oggi dal 20 al 25% dei morti annuali ha più di 60 anni, roba da mettersi le mani nei capelli. E, in generale, lo svuotamento dei diritti dei lavoratori fa sì che si debbano accettare condizioni di lavoro peggiori, a volte anche di maggior rischio».

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