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L’editore di Hong Kong condannato a 10 anni di carcere per i libri che ha pubblicato

La storia di Gui Minhai, arrestato e condannato per aver pubblicato libri critici del governo cinese, mostra bene lo stato delle libertà civili in Cina

L’editore di Hong Kong condannato a 10 anni di carcere per i libri che ha pubblicato

Una manifestazione a Hong Kong per Gui Minhai. Philippe Lopez/AFP via Getty Images

Si può condannare al carcere un uomo per la vendita di libri? In Cina sì: dieci anni di carcere “per avere fornito informazioni all’estero” è la condanna che pesa sulla testa di Gui Minhai, uno dei cinque editori e librai arrestati ad Hong Kong nel 2015. A pronunciarsi così è stata la Corte intermedia di Ningbo, nella provincia dello Zhejiang, che ha anche privato Gui dei diritti politici per cinque anni.

Gui Minhai – che anche cittadino svedese – era stato già fermato diverse volte dalla polizia, in circostanze mai del tutto chiare. Una delle ultime volte era scomparso mentre si trovava a casa sua in Thailandia: solo dopo alcuni mesi si era scoperto che era stato arrestato, estradato e si trovava in carcere in Cina insieme ad altri quattro librai accusati di aver pubblicato e venduto libri “critici” ei confronti della politica cinese e testi che raccontano “aspetti privati” della vita diversi alti ufficiali del Partito Comunista e del governo. 

In quell’occasione Gui era stato liberato, ma poi era stato nuovamente arrestato mentre era su un treno per Pechino insieme a due diplomatici svedesi. Adesso è arrivata la condanna mentre dall’altra parte del mondo, in Svezia, sua moglie e sua figlia si battono insieme al governo svedese e all’Unione Europea per la sua scarcerazione, affermando che le accuse a lui rivolte sono prive di fondamento. “Chiediamo di potere incontrare e assistere il nostro connazionale così da potergli dare tutto il supporto necessario,” ha spiegato il Ministro degli Esteri svedese Ann Linde. 

Dopo il primo arresto, Gui era comparso sulla televisione di stato cinese e aveva confessato di essere responsabile di un omicidio avvenuto nel 2003 a causa di un incidente stradale, ma già in quell’occasione molti attivisti per i diritti umani avevano sostenuto che si trattasse dmi una confessione forzata. Dopo il suo ultimo fermo, Gui è comparso di nuovo in pubblico per una conferenza stampa organizzata dal governo cinese, nel corso della quale ha sostenuto che “il governo cinese ha creato un caso” intorno alla sua storia – un’altra testimonianza considerata forzata da molti attivisti per i diritti umani. 

Gli altri editori e librai arrestati insieme a Gui sono stati scarcerati, ma non prima di aver registrato delle confessioni che sono state poi trasmesse dai media cinesi. Uno di loro è Lam Wing Kee, l’unico che ha avuto il coraggio di parlare per denunciare le condizioni di isolamento forzato a cui è stato sottoposto, oltre alle intimidazioni per ottenere i nomi di altri scrittori ed editori. “La sentenza di Gui è ridicola”, ha detto in un’intervista ripresa dal New York Times. “Altri miei colleghi sono stati scarcerati. Il governo vuole colpire Gui per mettere sull’attenti tutti gli altri”. 

La storia di Gui è un altro tassello nel complesso problema del rispetto dei diritti civili in Cina, accanto al tassello più evidente rappresentato dalle proteste di Hong Kong degli ultimi mesi. “La condanna di Gui Minhai è del tutto priva di fondamento”, ha detto Patrick Poon, ricercatore cinese per Amnesty International. “Quest’uomo sembra essere stato processato e condannato in segreto. Gli è stata negata ogni possibilità di avere un processo equo.”

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