Le queer olandesi sono la minoranza di una minoranza, e sono incazzate | Rolling Stone Italia
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Le queer olandesi sono la minoranza di una minoranza, e sono incazzate

In Olanda, la culla dei diritti LGBTIQ, sta nascendo un femminismo nuovo, che dalle comunità trans-gender di minoranze etniche critica sia la società patriarcale che il «femminismo bianco ed eurocentrico»

Le queer olandesi sono la minoranza di una minoranza, e sono incazzate

Amsterdam Pride 2018, foto Getty Images

E se le battaglie per i diritti gay e il neofemminismo fossero istanze superate, o addirittura parte stessa, del problema che cercano di affrontare? In Olanda, culla mondiale dei diritti LGBTIQ, il recente sedicesimo compleanno della prima normativa al mondo ad aver legalizzato nel 2002 matrimoni e adozioni per coppie omo e lesbo sta sollevando riflessioni inedite sulle delicate questioni di genere, al centro del dibattito anche in Italia dopo unioni civili e “me too”. Ma nei Paesi Bassi, l’Amsterdam Pride di quest’anno, che in onore a tutti i colori dell’arcobaleno – da gay a queer – ha cambiato il nome per includere tutti, ha mostrato divisioni e toni da guerra civile tra le componenti delle minoranze organizzate che si riconoscono in forme di sessualità alternativa. No alla commercializzazione del Pride ma soprattutto no allo strapotere, politico e culturale, della comunità gay.

Se da un lato la disputa tra queers e omosessuali può sembrare un assurdo conflitto tra discriminati, dall’altro il grado di complessità della situazione olandese rende tutto più difficile. È opinione diffusa nella comunità transgender, ad esempio, che la legalizzazione non abbia garantito diritti per tutti ma si sia limitata ad assimilare la componente meno problematica e “presentabile” agli occhi della popolazione media etero: «L’omosessualità ha un buon grado di accettazione in Olanda perché risponde bene ai valori consumistici della società mainstream: in larga parte sono uomini bianchi, benestanti e con idee conservatrici», dice So Roustayar attivista gender fluid di famiglia afgana. «Gay e lesbiche votano a destra, soprattutto per il PVV (il partito populista-islamofobo guidato da Geert Wilders) convinti che soldi e politici razzisti difendano i loro diritti. In realtà la loro normalizzazione è diventata uno strumento per discriminare altre minoranze sessuali e di genere e il movimento omo-nazionalista olandese ricalca un fenomeno già ampiamente definito negli USA», prosegue So, capo segreteria di BIJ1, un partito con agenda focalizzata sui diritti queer, che alle elezioni amministrative di marzo ha eletto una consigliera ad Amsterdam.

Pride 25 canzoni

Il movimento di emancipazione transgender sta vivendo nei Paesi Bassi un enorme exploit: guidato in larga parte da persone discriminate, all’interno di minoranze a loro volta discriminate, questa rivoluzione sessuale non binaria, in un complesso meccanismo di matrioske, ha il volto soprattutto di transgender di minoranze etniche, persone cresciute in ambienti familiari non occidentali che finiscono per essere emarginate più volte: escluse dalle loro famiglie, ultime tre lettere – e non solo in senso figurato- nell’acronimo comunità LGBTIQ, e poi ultime, tra gli ultimi della società.
«Da associazioni di giovani queer, al movimento Maruf, un’organizzazione per i diritti di gay e transgender di fedeli musulmani, negli ultimi 4 o 5 anni abbiamo assistito ad una crescita esponenziale dell’attivismo nella comunità – continua So –. La nostra critica non è solo rivolta alla società patriarcale, cosi come è mossa dalle femministe, ma anche e soprattutto alla struttura coloniale che ancora regge i Paesi Bassi. Cosa ce ne facciamo dell’associazione degli agenti di polizia gay – che sfila con una sua imbarcazione alla Canal Parade del Pride di Amsterdam – se poi questi sono razzisti e discriminano chi non è omosessuale?». Esempi concreti di questo pensiero, che supera lo stesso concetto di famiglia, arcobaleno (o meno), sono la decisione del comune di Amsterdam di rimuovere dalle toilette dei sui edifici la separazione di genere, la battaglia per il riconoscimento legale di un terzo genere, oltre a uomo e donna, e di misure che riconoscano la condizione delle persone non binarie.

Il loro attivismo e la partecipazione ha portato linfa nuova al dibattito di genere, soprattutto sta offrendo una prospettiva critica al femminismo, arenatosi dopo il dibattito sul me too: «Il nuovo femminismo è bianco ed eurocentrico e le istanze non binarie vengono semplicemente ignorate dalle femministe. Anzi, le donne transgender, da molte di loro, non sono neanche considerate donne», dice ancora So. Le queer olandesi guardano soprattutto agli USA dove il movimento è una componente importante di Black Lives Matter: «Il nostro è un caso unico in Europa ma siamo, certamente, anni luce distanti dagli USA; qui ci accontentiamo di un femminismo che considera emancipazione l’inserimento delle donne negli stessi schemi di potere degli uomini. Ma hai visto la giunta comunale di Amsterdam [recentemente insediata]? Fanno festa perché è composta da più donne che uomini. Donne, eterosessuali e bianche, ovviamente». 

Più sfumata è la posizione di Olave Bosabase, responsabile della sezione queer nell’organizzazione COC la più importante associazione olandese per i diritti LGBTIQ. «Mi dipingono come una donna intrappolata nel corpo di un uomo ma in realtà, l’unica prigione in cui mi sento è quella della discriminazione strutturale». Anche Olave, originaria del Burundi, è arrivata da bambina in Olanda come rifugiata. Lei, a differenza di So, è meno critica con la comunità gay e con le conquiste civili osannate in tutto il mondo: «Questa immagine idilliaca dell’omosessuale elegante e ricco, che può sposarsi e avere figli costruendo una famiglia ed essere felice proprio come gli eterosessuali è una costruzione sociale che nei Paesi Bassi si cerca in ogni modo di vendere. Ma è carica di pregiudizi, stereotipi e anche di un certo grado di omofobia», ragiona Olave «questa non è la realtà ma l’immagine che il mondo etero ha dell’omosessualità. E probabilmente i valori che la stessa società trasmette: per essere ‘normali’ dovete assomigliare a noi», dice. «Accade, invece, tutto il contrario: gran parte dei gay fatica a trovare un impiego, si veste da Primark con abiti da pochi euro e al massimo sogna quella vita agiata descritta nell’etichetta sociale che si trovano appiccicata addosso». 

Il nuovo femminismo è bianco ed eurocentrico e le istanze non binarie vengono semplicemente ignorate dalle femministe. Anzi, le donne transgender, da molte di loro, non sono neanche considerate donne

Per Olave, quindi, il problema è certamente il focus di “marketing” orientato sulla comunità omosessuale perché percepita dalla società mainstream come quella più innocua per la conservazione della struttura sociale tradizionale. «Il movimento transgender ha ambizioni ben più ampie di quelle identitarie avanzate da ambienti della comunità gay o dallo stesso femminismo; per noi è un serio problema l’oppressione delle donne di colore, dei rifugiati transgender e di tutto quel mondo non identificabile con l’etichetta capitalistica e consumistica del mondo binario». La parola chiave, in un discorso così complesso, è intersezionalità: il genere smette di essere una categoria a se. Anzi, smette proprio di essere una categoria: «Nel pensiero binario, per una persona transgender bastano gli ormoni, una transizione completa e una nuova identità. Ma davvero, soprattutto gay e femministe, non si accorgono che questo modo di ragionare è lo stesso che loro combattono?».

Secondo Olave il problema è tutto qui: «Per molte femministe, il loro essere donna è rappresentato dalla capacità di procreare, quindi è solo una questione di corpi, anzi un dibattito sui corpi. Ma questo è un pensiero che non va oltre, non sfiora neanche la costruzione sociale in cui viene inquadrato, quando invece, nel pensiero femminista, la stessa idea di “purezza e santità” della donna minacciata dall’uomo predatore deriva da un certo modo di pensare dei bianchi europei che naturalmente non include i diversi».

Questa rivoluzione arcobaleno alternativa è il prodotto, certamente, della realtà olandese e della sua particolare struttura sociale – una cultura individualista e una comunità di immigrati non europei giunta alla terza generazione- ma diversi elementi, come fu con i matrimoni e le adozioni gay, potrebbero presto fare breccia altrove.

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