Le parole d’ordine del nuovo centrodestra sono le stesse del vecchio, con uno zest di ventennio | Rolling Stone Italia
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Le parole d’ordine del nuovo centrodestra sono le stesse del vecchio, con uno zest di ventennio

“Orgoglio italiano”, “speranza / futuro / buongoverno”, “manganello”, “buonsenso” con in più il ripescaggio di “Dio, patria e famiglia”. Analizzando le keyword più utilizzate nella manifestazione unitaria di piazza san Giovanni, tracciamo l'identikit della destra – e forse del Governo – che ci aspetta

Le parole d’ordine del nuovo centrodestra sono le stesse del vecchio, con uno zest di ventennio

Giorgia Meloni. Foto dal profilo Twitter ufficiale

Sembra passato un secolo da quando al governo c’era Salvini, i telegiornali non parlavano che di Salvini e l’Italia sembrava precipitata in un incubo populista da fare invidia all’Ungheria di Orban. E invece nel giro di una settimana estiva una manovra di palazzo ci ha fatti risvegliare con un governo moderato, meno sbracato e moderatamente europeista. Ma sarebbe un errore pensare che se ne siano andati anche i sentimenti che solo pochi mesi fa avevano nutrito l’inesorabile cavalcata della Lega verso il 40 percento: sono ancora lì, covano sotto la cenere e aspettano solo le condizioni giuste per ritornare fuori.

Continuare ad alimentarli fino a farli esplodere è ora la sfida politica principale per la destra italiana, passata da una sorta di centrodestra berlusconiano allargato a un tentativo di importare in Italia il modello sovranista del Front National francese e oggi costretta, dopo la fine rocambolesca dell’esperienza di governo leghista, a ripensare nuovamente se stessa come una squadra che in poco tempo ha cambiato diversi moduli e non ha ancora trovato quello giusto.

La manifestazione unitaria con cui sabato ciò che un tempo era noto come centrodestra (e che oggi arriva a includere persino CasaPound) ha occupato piazza San Giovanni a Roma è stata il riflesso di questa situazione. Non a caso da quel palco Salvini ha annunciato che “il centrodestra non esiste più” e ha salutato al suo posto la nascita della “coalizione degli italiani”. Un contenitore politico la cui narrazione di fondo è ancora piuttosto fumosa. È una pura operazione cosmetica, quindi, un cambiare per non cambiare? Oppure è qualcosa che funziona, e dalla reazione chimica tra i diversi elementi della destra italiana, oggi in proporzioni diverse rispetto al passato, può venire fuori qualcosa di nuovo?

Un modo per cercare di capirlo può essere andare a interpretare le parole d’ordine che sono uscite da piazza San Giovanni, per capire un po’ la destra italiana dal suo nuovo dizionario.

ORGOGLIO ITALIANO

“Orgoglio italiano. Una patria da amare e da difendere” era lo slogan della piazza di sabato – affiancato dai simboli della Lega, per mettere comunque in chiaro fin da subito qual è la forza trainante di questo nuovo blocco di destra italiano. “Orgoglio italiano” è un po’ un “Prima gli italiani” ripulito, un compromesso tra il nativismo esasperato leghista, il nazionalismo nostalgico di Meloni e quello più borghese e governista di Forza Italia.

Lo stesso vale per il riferimento alla patria “da amare” ma anche “da difendere” – due toni diversi ma complementari che rappresentano i modi in cui le varie componenti della destra italiana si approcciano al concetto di patria: il poliziotto buono Berlusconi la ama e parla di “nazionale azzurra della libertà”, il poliziotto cattivo Meloni la difende con qualsiasi mezzo dai pericoli esterni (“se servono i muri costruiremo i muri, se servono i blocchi navali li faremo”). In mezzo Matteo Salvini, garante del mettere insieme le diverse anime della destra su un compromesso di marca leghista.

SPERANZA, FUTURO, BUON GOVERNO

Di fronte al pubblico di piazza San Giovanni l’ala moderata/Forza Italia della destra unita italiana ha portato in dono l’eredità politica della rivoluzione liberale di berlusconiana memoria, con tutti i suoi cavalli di battaglia di libertà individuali, crociata anti-tasse, garantismo. Il tutto sintetizzato in un trittico di parole tirato fuori dal governatore della Liguria Giovanni Toti: speranza, futuro, buon governo (del centrodestra).

Sono parole d’ordine interessanti perché da una parte alla destra sono assolutamente necessarie. Dopotutto una delle ragioni del fallimento politico di Salvini fin qui sta nel non essere mai davvero riuscito a normalizzarsi e a porsi come interlocutore rassicurante dopo aver assorbito il peggio della destra più estrema – e su questo Berlusconi può dargli lezioni, come ha sottolineato poco fa ricordando che “i fascisti li abbiamo legittimati noi”.

Dall’altra parte però almeno due di queste parole d’ordine – speranza e futuro – contrastano in modo stridente con la narrazione nera che la Lega ha portato avanti finora: quella di un’Italia, appunto, senza speranza e senza futuro in pericolo mortale.

DIO, PATRIA, FAMIGLIA

Uno dei temi controversi di cui si era parlato di più prima della manifestazione di Roma era l’annunciata presenza in piazza di CasaPound – con Salvini che aveva detto di aver aperto la piazza a tutti e che “sto giochino della piazza di fascisti fa ridere e non ci crede più nessuno”. E in effetti è proprio un giochino, perché quelle istanze – come rivendica CasaPound stessa, che si è definita “un patrimonio delle idee sovraniste” – sono state ormai assimilate completamente dal blocco di destra.

Lo dimostra uno degli slogan più d’impatto usciti dalla piazza: il buon vecchio “Dio, Patria e Famiglia” – tre cose che dal palco Meloni ha detto di voler difendere “fatevene una ragione” ammiccando in modo esplicito alle bandiere della RSI e alle magliette con gli slogan del Ventennio che si sono visti in piazza, nonostante (a detta di Salvini) non ci sarebbe stato nessun estremista.

Nel nuovo vocabolario della destra italiana Dio, patria e famiglia sono però meno una scorciatoia per il voto esplicitamente nostalgico e più una petizione di principio: della patria si è già detto, mentre Dio e la famiglia sono una sintesi di tutte le volte che Salvini ha ammiccato a cattolici, pro-life e no gender baciando crocifissi in tv.

LE FORZE DELL’ORDINE

Più che di una parola d’ordine del vocabolario della destra italiana si tratta di un tema al centro dei suoi pensieri e della sua propaganda, e non da oggi. Ed è un tema tanto importante da essere stato quello con cui ha scelto di aprire la sua prova di forza – la manifestazione di sabato si è aperta con un minuto di silenzio per i caduti delle forze dell’ordine e con i discorsi degli esponenti di due sindacati di polizia.

La simbiosi tra la destra e la polizia è sempre stata un elemento forte nel bagaglio concettuale della destra italiana, un elemento che abbiamo visto dispiegato al massimo quando Salvini era ministro dell’Interno e un portavoce del Sap, Sindacato Autonomo di Polizia, poteva dichiarare che “tra Lega e Polizia di Stato c’è un connubio indissolubile”. Non è quindi una novità ma è comunque un punto fondamentale nell’operazione di costruzione di un blocco unico di destra. E infatti in piazza San Giovanni il governatore leghista del Veneto Luca Zaia ha detto che bisogna “togliere il galateo alle forze dell’ordine e riconsegnare loro il manganello.”

IL BUONSENSO

C’è un’altra parola d’ordine, che in piazza San Giovanni non è venuta fuori in modo esplicito ma che permea l’operazione politica di Salvini da un qualche tempo a questa parte: è il buonsenso. Di fronte alla spaccatura profonda nata all’interno della società italiana, che vede da parte una destra mainstream che ha incorporato linguaggi e temi di quella che era un tempo la destra estrema e dall’altra un’ammucchiata che mette insieme un po’ tutto il resto in nome di un percepito “pericolo fascismo”, nel suo ultimo periodo al governo Salvini aveva lanciato una strategia di normalizzazione basata sul buonsenso – per cui quella leghista era diventata una “rivoluzione del buonsenso” diretta agli “italiani perbene” e Salvini parlava non da ministro ma “da padre” o “da italiano”.

La direzione politica della destra per come esce da piazza San Giovanni sembra la continuazione di quella strategia – che è fallita principalmente perché la Lega non poteva portarla avanti da sola. L’egemonia leghista su quello che una volta si chiamava centrodestra sembra aver imparato la lezione: piuttosto che imporsi con la forza, ora cerca di cooptare la galassia della destra italiana con il “buonsenso” come collante normalizzatore. E quindi sì, slogan leghisti, ma spazio anche a Giorgia Meloni che aizza quei nostalgici per cui Salvini è troppo post-moderno; “prima gli italiani” sì, ma spazio anche a Berlusconi che parla di tasse e libertà.

Quale potrà essere il risultato di questo mix di orgoglio italiano + speranza/futuro/buongoverno + dio, patria e famiglia + polizia + buonsenso per amalgamare? Un’operazione politica che ha meno il volto di Marine Le Pen e più quello di Viktor Orban: non più un nazionalismo chiassoso che spaventa i moderati ma un sovranismo che concilia tricolore, liberalismo economico e autoritarismo poliziesco.

Una ricetta che mette insieme liberali berlusconiani, indipendentisti veneti, nostalgici del fascismo, fascisti del terzo millennio, leghisti a vocazione regionale e leghisti nazionalisti – tutti uniti dall’idea di essere un’altra Italia alternativa a quella (per loro) dominante e i portavoce la maggioranza silenziosa del paese, e dalla volontà di andare al più presto al potere.

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