Le nuove generazioni stanno cambiando in meglio il modo in cui si parla di diritti LGBT in Italia | Rolling Stone Italia
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Le nuove generazioni stanno cambiando in meglio il modo in cui si parla di diritti LGBT in Italia

I ventenni di oggi non hanno paura di sporcarsi le mani e grazie a loro la qualità del dibattito sui temi LGBTQ+ sta migliorando notevolmente. Ne parliamo con Muriel, classe '96, creator che sta facendo molto su questi temi

Le nuove generazioni stanno cambiando in meglio il modo in cui si parla di diritti LGBT in Italia

Enrico Mattia Del Punta/NurPhoto via Getty Image

“Siate cittadini attivi e solidali”. Questo l’augurio che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha fatto ai 500mila ragazzi che in queste ore sono impegnati con una maturità che inevitabilmente alla storia. L’esortazione dell’esponente politico collima con il presente dei ragazzi di oggi, più attivi e solidali delle generazioni che li hanno preceduti. I ventenni di oggi non hanno paura di sporcarsi le mani con le questioni insolute dagli adulti, abituati a posticipare a data da destinarsi l’emancipazione di tutte quelle persone, su tutte le donne, che fan più fatica a superare la crisi in corso.

I giovani cittadini attivi e solidali presidiano, con meno paranoie, gli spazi social dedicati al dibattito LGBTQ+. “Sono aumentati gli adolescenti che mi seguono,” spiega a Rolling Stone Muriel, nata nel 1996, l’anno dell’Oscar a Il Postino di Massimo Troisi per la colonna sonora, creator italiana che più di altri ha dimostrato che l’emancipazione delle persone LGBTQ+ riguarda tutti, anche le persone eterosessuali. Da anni, attraverso i suoi colori e uno storytelling inclusivo, dimostra che la discriminazione non è democratica e prima o poi si abbatte su tutti. Per debellarla serve la responsabilizzazione del singolo, al netto del seguito che ha. Muriel, solo su IG, si rivolge a una community formata da 297mila persone.

È di queste ore – ahimè – la notizia della morte di Sarah Hegazy l’attivista egiziana e LGBTQ+ morta suicida dopo esser stata imprigionata e torturata. In sua memoria andrebbero organizzate manifestazioni simili a quelle che abbiamo visto, nel mondo, in queste settimane?
Bisogna parlarne il più possibile, dentro e fuori dai social. So che in America si stanno organizzando per dei memorial. Un mio amico di New York parteciperà a uno di questi eventi che si terrà a Brooklyn. Sara non è l’unica vittima dell’omofobia. Mi ha commosso molto la lettera che ha lasciato in cui ha condiviso con tutti ciò che le è successo. Lei ha provato ad andare avanti ma non ci è riuscita. Lei usa la parola fallimento. Mi ha fatto male vedere questo termine associato a una persona. 

Hai parlato di lei sui tuoi social? Quale riscontro hai avuto dalla tua community?
Sì. Ho fatto delle stories. Ho visto un cambiamento rispetto a quando ho iniziato, 3 anni fa, ad affrontare tematiche LGBTQ+ sui miei social. Fino a poco si chiedeva a me e ad altri creator con una community importante di parlare di queste notizie. Oggi, invece, chi si confronta con me sulla storia di Sara e altre analoghe attraverso i messaggi in direct sceglie di esporsi anche sui propri canali, al di là del numero di followers che ha. Ognuno può fare la differenza. Ognuno può far parte di una catena umana, necessaria per far cambiare la società. 

È più facile, per l’esperienza maturata da te e dai tuoi amici che vivono fuori dall’Italia, essere una persona LGBTQ+ nel nostro paese o all’estero?
L’Italia è – tendenzialmente – nel mezzo. Io capisco chi si lamenta del nostro paese ma siamo, comunque, più fortunati di altre persone che vivono in altri paesi. In Italia si può uscire di casa, essere te stesso. Non è illegale. Ci sono ancora troppe storie brutte ma nel nostro paese c’è una libertà che mi fa sentire fortunata.

Altra notizia recente: a Matera una coppia gay di inquilini è stata cacciata dal proprietario di casa. A te e il tuo compagno è capitato qualcosa di simile? E sui social? 
A me e al mio ragazzo non sono mai capitati episodi simili. Nel mio giro di amici ci sono però persone che sono state meno fortunate di noi e hanno subito discriminazione anche per strada e in famiglia. 

Sui social mi arrivavano più insulti anni fa. Quando ho iniziato a parlare di tematiche LGBTQ+ nel 2016 mi arrivavano insulti gratuiti, senza senso. La situazione, da allora, è migliorata. Questo cambiamento si deve all’aumento di persone che sui social parlano di tutto ciò che concerne la comunità arcobaleno. Oggi parla della comunità LGTBQ+ anche chi non fa parte di questa realtà. Le critiche che ricevo sono più argomentante e permettono, laddove il concetto sia espresso usando la buona educazione, un confronto. 

Il mese prossimo, salvo imprevisti, arriverà alla Camera la legge contro l’omofobia. Questo tipo di provvedimenti può sostituire un dibattito culturale?
La tutela giuridica aiuta e tanto. Non dimentichiamoci però che ogni singolo provvedimento non porta un miglioramento dalla sera alla mattina. Il dibattito culturale è decisivo. Le nuove generazioni stanno facendo la differenza. Sui social ricevono moltissimi messaggi di 13enni che hanno quella consapevolezza che io, alla loro età, e chi è stato adolescente prima di me non aveva a causa del vuoto alimentato dai mass media. Oggi c’è molta più rappresentazione. Ma sui canali tv mainstream la persona LGBTQ+ è raccontata ancora come un fenomeno da baraccone.

A proposito di media. Quelli di tutto il mondo si stanno focalizzando sulla decisione della Corte Suprema USA sul divieto di licenziare una persona perché è gay e il provvedimento di Trump che toglie parte dell’assistenza sanitaria alle persone trans. Sui tuoi canali denunci spesso la transfobia. L’Italia ha, su questo specifico tema, ha gli stessi problemi di altri paesi?
In Italia ancora non si sa che esistono gli uomini trans FtoM [female to male] e donne trans MtoF [male to female]. Ancora oggi, nel nostro paese, si scrive trans e si legge prostituta. 

C’è tanta disinformazione anche all’interno della community LGBTQ+. Si è creata una minoranza all’interno della minoranza. Chi è in transizione riscontra, quotidianamente, problemi al lavoro. Io conosco persone che sono state chiamate per un colloquio che poi non hanno fatto quando chi doveva esaminarle ha preso atto che il genere di elezione è diverso da quello indicato sulla carta d’identità. Io stessa ho riscontrato delle perplessità tra i miei amici quando gli ho parlato, per la prima volta, del mio ragazzo FtoM. Erano prevenuti perché non sapevano dell’esistenza di persone transgender nate donna. 

Essendo nata nel 1996, sei coetanea di Harry Potter. Cosa pensi delle recenti dichiarazioni di J.K. Rowling secondo cui una donna si definisce tale se ha le mestruazioni? Che ricaduta hanno nel tuo presente e in quello dei tuoi coetanei affermazioni di questo tipo fatte da personaggi famosi?
Non è la prima che J.K. Rowling fa uscite di questo tipo. Con questo tipo di esternazione aumenta la confusione. Non si può parlare di una tematica così delicata che impatta sulla vita di diverse persone attraverso tweet che raggiungo milioni e milioni di persone. Le tematiche riconducibili alla community transgender sono troppo delicate per essere affrontate alla meno peggio sui social da chi non le conosce.  

Ma c’è un lato positivo: questo tipo di esternazioni, fino a pochi anni fa, finivano solo sui siti di informazione e i giornali. Oggi, invece, accendono un dibattito muscolare. Ad esempio, i protagonisti della saga cinematografica di Harry Potter hanno preso le distanze da quanto dichiarato da J.K. Rowling.  

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