Le guerre, i conflitti e i colpi di stato che hanno infiammato il mondo nel 2021 | Rolling Stone Italia
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Le guerre, i conflitti e i colpi di stato che hanno infiammato il mondo nel 2021

Non solo il ritorno dei talebani al potere in Afghanistan: dall'Etiopia al Myanmar, tra guerre civili e colpi di stato, nel 2021 il mondo è andato a fuoco

Le guerre, i conflitti e i colpi di stato che hanno infiammato il mondo nel 2021

Eric Lafforgue/Art in All of Us/Corbis via Getty Images

Per molte e diverse ragioni, quando leggiamo di politica, siamo sempre molto concentrati su ciò che accade tra le nostre mura domestiche. Un litigio tra politici in tv, un’elezione comunale, una polemica sulle sorti di un nuovo decreto e così via. È normale: ciò che ci è vicino, che accade nella nostra lingua e sui nostri media, riceve più facilmente le nostre attenzioni. Eppure, nel mondo, succedono cose più gravi, più violente e alla fin fine più significative anche per noi: a partire dai conflitti.

Di conflitti, in questo 2021, ce ne sono stati di diversi. E, di nuovo, anche se ce li immaginiamo come situazioni remote, tribali, anacronistiche e che nulla hanno a che fare con le nostre vite, la realtà è l’esatto contrario. I conflitti in giro per il mondo mettono in dubbio, e a volte spostano, equilibri di cui facciamo parte anche noi. Noi nel senso di Italia e, più spesso, noi nel senso di Unione Europea.

Alla luce di quest’importanza e della nostra tendenza a un disinteresse un po’ egoista e un po’ orgogliosamente provinciale, ecco una lista dei conflitti, molti dei quali ancora in corso, di questo 2021. 

ETIOPIA E RIBELLI DEL TIGRÈ

In Etiopia, il secondo stato più popoloso del continente africano e in assoluto il più importante del Corno d’Africa, è in corso una guerra civile iniziata alla fine del 2020 (e per mesi camuffata, grazie all’assenza di giornalisti sul campo, in una semplice “operazione di polizia”). È un conflitto che ha già fatto milioni di sfollati, decine di migliaia di morti e centinaia di migliaia di civili in cerca di cibo, acqua e sicurezza. La guerra civile etiope ha ragioni storiche ed etniche profonde ma paradossalmente la scintilla è stata l’elezione di un presidente che ha interrotto la guerra con l’Eritrea e che, per questo, nel 2019 ha vinto il Premio Nobel per la pace. In questa fine anno la situazione umanitaria si è aggravata a più riprese, e ancora oggi le ong e gli osservatori internazionali non sono autorizzati a entrare nel nord del Paese, nemmeno per distribuire cure mediche e cibo. Il tutto per volere dello stesso governo di Addis Abeba. 

Un altro aspetto preoccupante della situazione etiope è che la guerra nel nord dell’Etiopia, insieme alle mire centraliste del nuovo governo e la corsa alle armi di alcuni gruppi e milizie, ha peggiorato la già incandescente situazione al confine col Sudan. È in Sudan, infatti, che molte migliaia di etiopi sono scappati per evitare rastrellamenti e uccisioni su base etnica, ma tra Etiopia e Sudan ci sono stati anche scontri tra militari dei due stati, oltre che rapimenti e uccisioni di civili a scopo intimidatorio.

UCRAINA E RUSSIA

Tra Ucraina e Russia la guerra a bassa intensità va avanti dal 2014. Nell’anno che sta per cominciare il conflitto finirà per compiere ben otto anni. Le fasi più cruente, quelle iniziali in cui i separatisti di alcune aree dell’est ucraino hanno ricevuto armamenti e supporto diretto dai militari di Mosca, sembravano essersi concluse. Ma nell’est dell’Ucraina si combatte ancora, e lo scenario ha importanza anche perché funziona da termometro per la sicurezza di molte comunità ex-sovietiche, a partire dalle Repubbliche baltiche. Lituani, estoni e lettoni infatti guardano a ciò che succede in Ucraina cercando di capire come evitare che possa succedere anche in casa propria. 

Oggi il Cremlino ammassa migliaia di truppe e armamenti pesanti al confine con l’Ucraina per dimostrare di fare sul serio e di non aver alcuna intenzione di accettare che l’Ucraina diventi un Paese vicino alla NATO. In molti credono che sia un bluff utile soltanto a trattare con la controparte, gli Stati Uniti, ma quando i bluff sono fatti in questo modo, e da potenze di questo tipo, è meglio che non siano sottovalutati.

IL COLPO DI STATO IN SUDAN

Solo qualche riga fa dicevamo degli scontri e dei morti sul confine tra Sudan ed Etiopia. Purtroppo però il Sudan di conflitto, sul suo territorio, ne ha anche un altro. E anche questa volta si tratta, almeno in potenza, di una guerra civile. Il processo democratico in Sudan aveva un’importanza anche simbolica, visto che parliamo di un Paese con saldi rapporti con le dittature della Penisola Arabica e che, in passato, ha fatto parlare di sé per aver ospitato, con tutti gli onori, Osama Bin Laden. Bene, questo processo democratico, per quanto fragile, è stato interrotto bruscamente quest’anno da un colpo di stato. Il governo di transizione, composto in ugual misura da militari e civili, di colpo è diventato esclusivamente militare, quando il generale Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan ha fatto arrestare in piena notte il Primo ministro Abdalla Hamdok e diversi ministri. Da allora le manifestazioni di piazza in favore di una ripresa del percorso democratico sono state represse, spesso anche con la violenza.

IL COLPO DI STATO IN MYANMAR

Anche in Myanmar c’è stato un colpo di stato militare lo scorso febbraio – di cui il mondo si è accorto grazie al famoso video virale dei mezzi militari che passano sullo sfondo di una lezione di pilates in diretta Facebook. Il contesto da cui nasce il golpe è il seguente: nel 2020 si erano tenute delle elezioni in cui il partito sostenuto dai militari aveva vinto solo pochi seggi, mentre la maggioranza era andata a quello della leader politica e Premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi. I militari hanno contestato il voto e, dato che le loro istanze non venivano accolte, hanno arrestato i membri del governo, compresa Aung San Suu Kyi. 

L’arresto dei politici birmani in carica, per quanto grave, non è stato l’atto più violento che la giunta militare ha inflitto al Paese asiatico. Per le strade di tutte le principali città i militari hanno ucciso e torturato civili, Hanno sparato sulle manifestazioni pacifiche mutilando e uccidendo decine di giovani birmani. La comunità internazionale, nella sua quasi totalità, ha condannato il golpe militare escluse Russia e Cina, che quando il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha proposto una mozione per condannare il golpe hanno fatto sapere che non avrebbero approvato sanzioni mirate ai responsabili.

ISIS VS TALEBANI IN AFGHANISTAN

Il conflitto in Afghanistan, negli ultimi vent’anni, ha visto due schieramenti: da una parte il governo afghano e le forze della coalizione internazionale (Italia compresa) e dall’altra i talebani, che governavano il Paese prima del 2001. Oggi, con la ritirata – sancita dagli accordi di Doha – della coalizione a trazione statunitense, i talebani sono tornati al governo. Ma passare da essere una milizia che fa una guerra di logoramento a governare un Paese immenso e pieno di possibili instabilità, è un’operazione decisamente delicata. Operazione che, difatti, di problemi ne sta avendo diversi, compreso un conflitto interno tra gli stessi talebani e la divisione afghana dell’ISIS, denominata in genere ISKP. Attentati, arresti e uccisioni vanno avanti anche in questi giorni e il conflitto sembra sufficientemente intenso da poter destabilizzare il governo appena insediato.

LA GUERRA CIVILE IN LIBIA

Da un decennio a questa parte, la Libia è un cosiddetto Stato fallito. Lo è da quando il governo di Gheddafi – che aveva stretti legami col nostro Paese – è stato rovesciato da un intervento militare voluto da Francia e Gran Bretagna nel 2011. In poche settimane, a suon di bombardamenti, si era arrivati a quella che ufficialmente era la risoluzione del conflitto, ma in realtà costituiva solo l’inizio di un conflitto più lungo e più brutale: da allora la Libia è un Paese spaccato, in cui milizie e clan fanno affari con la vendita d’armi, uccisioni, torture e traffico di esseri umani. I campi di detenzione pensati per estorcere denaro ai migranti (centrafricani, ma anche asiatici) non vanno pensati come centri d’accoglienza, semmai come delle carceri illegali. In tutto ciò la Libia, di fatto, resta un Paese in guerra. Questo dicembre si sarebbero dovute tenere le prime elezioni libere da 10 anni a questa parte, un tentativo di riconciliare il Paese, ma sono state annullate. 

L’INSTABILITÀ IN CIAD

Lo scorso aprile, qualche ora dopo aver vinto le elezioni, il presidente del Ciad Idriss Déby ha visitato il fronte in cui i suoi militari combattono diverse milizie, le FACT (sigla che sta per Front for Change and Concord in Chad) bollate col termine “ribelli”. Lì, in circostanze difficili da spiegare, è stato ucciso. Da quel giorno il Paese, già instabile per via della presenza di diverse milizie ben armate, è diventato teatro di scontri che hanno coinvolto a più riprese anche la popolazione civile.

Per dire quanto l’instabilità politica, nelle regioni del mondo, sia “contagiosa”, i ribelli che combattono contro le forze governative ciadiane vengono dalla Libia. O meglio: sfruttano l’instabilità politica e la mancanza di controlli sul territorio libico per alternare attacchi e ritirate strategiche. In questo modo riescono ad avere il controllo di ampie parti della regione di Tibesti, nel nord. Intanto, al presidente Déby è succeduto suo figlio, con una transizione sanguinosa in cui la Francia ha giocato un ruolo importante.