L’assalto alla sede della CGIL è stato la Capitol Hill italiana | Rolling Stone Italia
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L’assalto alla sede della CGIL è stato la Capitol Hill italiana

Più che ricordare gli anni Venti e il fascismo, la conclusione della manifestazione contro il Green Pass a Roma ricorda i fatti del 6 gennaio – con Forza Nuova e i ristoratori di #IoApro nei panni dello sciamano

L’assalto alla sede della CGIL è stato la Capitol Hill italiana

Questo fine settimana a Roma si è tenuta una grande manifestazione – autorizzata – contro l’obbligo di Green Pass per i lavoratori che entrerà in vigore il prossimo 15 ottobre. A guidare la piazza era il movimento #IoApro, quello dei ristoratori, che si era già reso protagonista di azioni di protesta nei mesi scorsi e aveva conquistato le prime pagine dei giornali quando uno dei suoi leader, Hermes Ferrari, si era presentato a un presidio a Montecitorio vestito come Jake Angeli, lo sciamano complottista simbolo dell’assalto trumpista al Campidoglio andato in scena scorso 6 gennaio.

Dato che la storia si ripete sempre come farsa, le manifestazioni di fine settimana sono state un po’ una versione in salsa italiana di quell’evento. La dinamica è stata la stessa: dalla manifestazione in piazza del Popolo (circa 10mila persone, stando a quanto scrivono i giornali) è partito un corteo che si è diretto verso la sede della CGIL, che è stata presa d’assalto. Come il 6 gennaio al Campidoglio, anche in questo caso i manifestanti sono riusciti a entrare nell’edificio – arrivando fino al quarto piano, dove si trova l’ufficio del segretario nazionale Maurizio Landini – e anche in questo caso sono state mosse critiche alla gestione dell’ordine pubblico, visto che a giudicare dai video di quei momenti la polizia avrebbe fatto poco per fermarli.

Tra ieri e stamattina i commenti sulla vicenda si sono concentrati su un elemento: la matrice fascista dell’assalto. A guidare la folla che ha attaccato la CGIL c’erano infatti alcuni esponenti di Forza Nuova – il leader romano Giuliano Castellino e quello nazionale Roberto Fiore, entrambi arrestati nella notte tra sabato e domenica insieme ad altre 10 persone coinvolte nei fatti – e un gruppo di fascisti che attaccano la sede di un sindacato di sinistra è qualcosa che dal punto di vista simbolico ha una portata notevole. Rimanda a quello che accadeva un secolo fa, ai tempi dell’avvento al potere del fascismo, e proprio per questo oggi il PD dovrebbe presentare in Parlamento una mozione per chiedere lo scioglimento di Forza Nuova e delle altre organizzazioni neofasciste.

Ma il paragone con gli anni Venti non regge. Il contesto è molto diverso: i fascisti non sono un movimento di massa in ascesa che prepara il terreno per la sua presa di potere, ma una minoranza di una minoranza: per quanto la piazza che protestava contro il Green Pass fosse piena, nelle stesse ore è arrivato l’annuncio che l’Italia ha raggiunto la soglia dell’80% di vaccinati tra la popolazione con più di 12 anni. I no-vax sono insomma una specie in via di estinzione. E anche nella piazza i fascisti erano una minoranza rumorosa, che faceva rumore per cercare di orientare la folla, trascinarsela dietro, usarla per i propri scopi. E infatti già da domenica sui gruppi Telegram contro il Green Pass si parlava di “false flag”, “infiltrati”, “strategia della tensione”: il grosso del movimento che ha riempito piazza del Popolo si è subito convinto che l’attacco alla sede della CGIL sia stato pensato apposta per screditarli.

E qui arriviamo al secondo motivo per cui il paragone non regge. Persino gli utenti di canali Telegram contro la dittatura sanitaria sono arrivati subito a capire quali saranno le conseguenze immediate dell’assalto alla sede della CGIL: non la “rivoluzione popolare” di cui parla Forza Nuova sui suoi canali nel tentativo di alzare il tiro dopo l’arresto dei suoi leader, ma l’ulteriore criminalizzazione di un movimento che era già vittima del fuoco di sbarramento mediatico e il rafforzamento del governo, intorno a cui tutte le forze politiche faranno quadrato.

Come il 6 gennaio scorso, anche quanto andato in scena questo weekend a Roma è stato un momento di sfogo di pulsioni che porterà a un parziale riassorbimento della rivolta e a un rafforzamento dell’ordine esistente. È stato un evento dal valore più simbolico che reale – e questo anche per i fascisti stessi, visto che la CGIL del 2021 non è, a livello di politiche, l’equivalente delle camere del lavoro socialiste del 1921, ma un sindacato ben poco conflittuale e in dialogo costante con il governo. Che la sede di un sindacato venga assaltata da una folla capeggiata dai fascisti è un atto gravissimo, ovviamente, da condannare con forza, ma è altrettanto chiaro che non c’è da avere paura del pericolo fascista. La storia si ripeterà, ma non si ripete mai alla lettera.

Ciò che se mai è interessante dei fatti di questo weekend a Roma è che dimostrano come l’assalto trumpista al Campidoglio del 6 gennaio scorso abbia rotto un tabù, quello della sacralità di certi luoghi collegati a certe istituzioni. I testimoni dicono che folla di piazza del Popolo, che istigata da un discorso di Roberto Fiore ha marciato sulla sede della CGIL, avrebbe preferito marciare sul Parlamento. Ma al di là della destinazione e dell’obiettivo scelto, ciò che colpisce è che l’idea di andare all’assalto dei luoghi del potere è diventata pensabile, esprimibile e realizzabile.