L’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato e la grande assente di questa guerra: la diplomazia | Rolling Stone Italia
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L’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato e la grande assente di questa guerra: la diplomazia

I due paesi nordici si apprestano ad abbandonare la storica neutralità: l’orizzonte che abbiamo davanti è sempre più simile a un’altra trincea

L’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato e la grande assente di questa guerra: la diplomazia

Foto di Jonathan Nackstrand/AFP via Getty Images

Il domino della Storia continua a correre, trasfigurando il volto politico dell’Occidente e i suoi rapporti con la Russia. Mentre dal capo opposto di quella ormai è a tutti gli effetti una nuova cortina di separazione si continua a combattere, a nord, Svezia e Finlandia compiono i primi, veloci, passi formali per aderire alla Nato. In una guerra che sin dall’inizio ha rinnegato qualunque forma di diplomazia, ogni chilometro di confine con il nemico diventa una potenziale linea di tiro, anziché orizzonte di dialogo.

Martedì 17 maggio la ministra degli Esteri svedese, Ann Linde, ha sottoscritto la domanda di adesione di Stoccolma all’Alleanza atlantica, interrompendo così una neutralità che durava dal 1800. Una decisione impensabile fino a non molte settimane fa. Poco dopo l’invasione dell’Ucraina, la Finlandia ha subito uno scossone. Il sostegno popolare alla Nato è passato nel giro di un mese dal 30 al 53%, fino a raggiungere il 76 a maggio. A metà aprile il governo di Sauli Niinisto presentava al parlamento un rapporto sui potenziali benefici di un ingresso nella Nato. La Svezia si muoveva con minor solerzia, restando ancorata alla postura neutrale che l’aveva caratterizzata nei secoli. Ieri mattina da Stoccolma è arrivata la notizia della firma della domanda di adesione, a cui è seguita poche ore più tardi quella dell’approvazione a larghissima maggioranza della richiesta di adesione alla Nato da parte del Parlamento finlandese.

Tutto ciò è avvenuto nonostante le dichiarazioni arrivate poche ore prima dal Presidente turco Recep Tayyp Erdogan, che si era detto contrario all’ingresso di Helsinki e Stoccolma nella Nato: «Entrambi i Paesi non hanno un atteggiamento chiaro e inequivocabile nei confronti delle organizzazioni terroristiche», ha affermato Erdogan, riferendosi alla protezione che, secondo il racconto di Ankara, la Svezia fornirebbe a gruppi militanti curdi come il Pkk, il Ypg e ai seguaci di Fethullah Gulen. Nonostante la barricata turca, il presidente finlandese Niinisto è intervenuto al Parlamento svedese, dichiarandosi fiducioso dell’ammorbidirsi progressivo delle posizioni di Ankara in un secondo momento. Si rientrerebbe così nel solco dell’unanimità prevista per l’allargamento dell’alleanza, disciplinata dall’articolo 10 del Trattato dell’Atlantico del Nord. Alle parole di Erdogan si sono aggiunte ieri quelle di Putin, che ha negato di avere problemi con l’allargamento ai due Paesi. Lo stesso Putin ha poi avvertito che la Russia sarebbe pronta a rispondere qualora in quei territori ci si procedesse all’allestimento di infrastrutture militari.

A dare manforte a Svezia e Finlandia ci aveva già pensato il Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. I membri dell’alleanza sembrano auspicare un percorso compatto e parallelo delle due procedure, tant’è che i governi dovrebbero presentare i rispettivi documenti insieme durante un vertice atteso a Bruxelles questo fine settimana. L’allargamento a est dell’Alleanza atlantica segna il colpo di coda di un Occidente allarmato, azzannato al collo in Ucraina, un Paese che al pari della Finlandia avrebbe dovuto rappresentare un cuscinetto necessario alla coesistenza. Un’opzione non più praticabile dopo quasi tre mesi guerra senza il palesarsi di uno spiraglio diplomatico all’orizzonte. «Così Putin ha resuscitato la Nato», è stata la frase più ricorrente in questi giorni. Più di ogni altra cosa, però, l’adesione di Svezia e Finlandia preannuncia un mutamento radicale nell’identità geopolitica dei due Stati. «È un fatto monumentale – ha dichiarato a Vox Katherine Kjellström Elgin, ricercatrice presso il Center for Strategic and Budgetary Assessments – un cambiamento fondamentale nella struttura dell’alleanza europea».

La natura non allineata di Svezia e Finlandia ha radici diverse, nonostante i fatti di questi giorni confermino l’intenzione di continuare in parallelo un cambio di pelle sullo scenario internazionale. La Finlandia condivide con la Russia oltre milletrecento chilometri di confine. Una linea che corre dall’estremo nord della Lapponia alle maakunta della Carelia del nord e del sud, regione smembrata e in larga parte confluita nel territorio dell’Unione Sovietica nel secolo scorso, dopo la cosiddetta “Guerra d’inverno” del 1939. Il confronto militare con un simile avversario ha fatto sì che la Finlandia sviluppasse una strategia estremamente pragmatica nei successivi rapporti con Mosca, proseguita con la Guerra Fredda – dove non mancarono gli episodi di ingerenza russa nella politica interna del Paese – e dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. A seguito dell’ingresso nell’Unione Europea nel 1990, la Finlandia mantenuto la propria neutralità, intrattenendo con Mosca relazioni di vicinato e continuando a investire massicciamente nel proprio apparato difensivo.

Diversa è la situazione della Svezia, rimasta salda su posizioni di non allineamento militare a partire dalle guerre napoleoniche. Un atteggiamento che è sopravvissuto a due guerre mondiali, forgiando l’immagine internazionale del Paese: «La decisione di non aderire alla Nato per la Svezia, più della Finlandia, era radicata nell’identità neutrale e non allineata della nazione», ha affermato Elgin. Il cambio di posizione annunciato a Stoccolma suona ancora più radicale. Se inizialmente si poteva pensare a un “effetto trascinamento” dettato dalla necessità della Finlandia di entrare nell’alleanza guidata dagli Stati Uniti, e di farlo non da sola per evitare di diventare il solo obiettivo delle reazioni di Mosca, tastando il polso della politica svedese oggi si può trovare dell’altro. Pur non essendo mossa dalla stessa, comprensibile urgenza della Finlandia, invocare la protezione della Nato è percepito anche a Stoccolma come un passo inevitabile, diretta conseguenza delle mosse di Putin.

Lo aveva ribadito chiaramente appena due giorni fa il Primo ministro svedese Magdalena Andersson, affermando come l’adesione alla Nato in parallelo con la Finlandia rappresenti «Il meglio per la sicurezza del Paese». Le parole Andersson hanno sancito una svolta radicale anche per il governo di minoranza guidato dal Partito socialdemocratico dei lavoratori di Svezia, storicamente avverso all’ipotesi di un ingresso nell’Alleanza atlantica. I socialdemocratici avevano protetto il principio di neutralità perfino a guerra iniziata. A marzo, infatti, la stessa Andersson affermò che l’adesione alla Nato avrebbe destabilizzato l’Europa. Ma sia le pressioni delle opposizioni quanto quelle dell’opinione pubblica stavano spingendo affinché si concretizzasse una possibilità fino a lì remota. A Stoccolma permane ancora un certo scettiscismo a sinistra, mentre i partiti conservatori sembrano sposare l’iniziativa del governo. Certo è che la presenza nella Nato si appresta a diventare la questione di politica internazionale alle prossime elezioni nazionali, previste per settembre.

La sinergia con i vicini che la Svezia ha sposato ormai pienamente, è alimentata dalle garanzie di difesa che sono arrivate la scorsa settimana dal Primo ministro inglese Boris Johnson, che proprio durante una conferenza stampa con Andersson aveva fatto sapere che il Regno Unito avrebbe fornito sostegno militare in caso di attacco russo, senza però esprimere in modo esplicito la disponibilità all’invio di truppe. L’interesse della Nato ad accogliere i due Paesi riguarda anche il rafforzamento di una partnership già esistente. Nel 2019, le truppe Nato hanno partecipato all’esercitazione ad alta intensità denominata “Northern Wind”, condotta nel nord della Svezia dagli eserciti di Svezia, Finlandia, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti. Il tema delle esercitazioni e, più in generale, di tutte le operazioni condotte nelle aree nordiche, concorrerà a rimodellare la presenza dell’alleanza a quelle latitudini.

È ovviamente presto per capire se e in che misura questo contribuirà al precipitare dei rapporti tra l’Occidente e il blocco di Paesi orientali diretti dal Cremlino. Intanto anche in Russia qualcosa sta iniziando a cambiare: «Mosca è isolata, ha il mondo contro. Guardiamo la realtà o ce ne pentiremo», ha detto l’analista e ex colonnello Mikhail Khodaryonok in prima serata sulla tv di Stato. Si tratta della prima presa di coscienza sull’esito deludente dell’operazione militare di Mosca che passa attraverso gli organi di propaganda di Putin. È chiaro invece come nelle relazioni internazionali si continui a ricercare la strada maestra escludendo sistematicamente i mezzi della diplomazia. Un po’ per l’intrattabilità della controparte, un po’ per il mancato affrancamento, intravisto sin qui solo a parole, dalle posizioni di Washington. Nel mentre, dalla Lapponia alla Carelia, l’orizzonte appare oggi più come un’altra trincea.