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La tassonomia europea è un incentivo al greenwashing?

Per la Commissione, gas e nucleare rappresentano delle alternative percorribili nel percorso di transizione ecologica. L'impressione però è che siano più importanti gli interessi nazionali che la sfida al riscaldamento globale

Photo by Kevin Frayer/Getty Images

Nelle ultime ore, il dibattito relativo al difficile percorso di transizione ecologica che l’Unione Europea dovrà compiere da qui al 2050 – l’anno in cui dovrebbe essere raggiunto l’obiettivo delle “emissioni zero” – sta catalizzando sempre di più l’attenzione mediatica.

Se se ne parla così tanto è perché la Commissione, dopo mesi di lunghi e difficili negoziati, ha presentato la bozza della cosiddetta “tassonomia europea” – ossia un elenco di investimenti ritenuti virtuosi dal punto di vista ambientale, che possa chiarificare una volta cosa possa essere considerato “sostenibile” e cosa no.

L’obiettivo della tassonomia dovrebbe essere quello di orientare le scelte finanziarie dei cittadini, indirizzandole verso forme di investimento maggiormente consapevoli del cattivo stato di salute del nostro Pianeta (ad esempio, si vorrebbe incentivare il sostegno delle attività a basso impatto in termini di emissioni di gas ad effetto serra).

La bozza è stata oggetto di severe critiche, dato che la Commissione ha scelto di inserire nell’elenco anche gas e nucleare, due fonti d’energia che, secondo alcune voci, costituirebbero un ostacolo per il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050.

Delle critiche che poggiano su basi solide: infatti, anche se il gas è la fonte fossile meno dannosa per il clima, diversi studi hanno sottolineato come considerarlo un “combustibile di transizione” potrebbe essere un errore. Ad esempio, la road map pubblicata dall’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) a maggio – Net zero by 2050: a roadmap for the global energy sector – ha evidenziato la necessità di abbandonare la convinzione che la transizione abbia bisogno di nuove infrastrutture del gas per compiersi senza incidenti o senza costi esorbitanti, dato che per per arrivare alle emissioni nette entro il 2050 è indispensabile interrompere il flusso degli investimenti fossili già all’inizio della filiera.

Anche l’opportunità di rilanciare l’impiego dell’energia atomica presta il fianco a diverse ambiguità, in primis perché il nuovo nucleare, quello di “IV generazione”, non sarà in grado di produrre energia per tutti prima di parecchi decenni, mentre la transizione ecologica va affrontata oggi e con la massima serietà. I reattori attualmente in costruzione in Europa – quelli di Olkiluoto in Finlandia e di Flamanville in Francia – sono in costruzione da 15 anni con costi lievitati, quindi hanno tempi incompatibili con la transizione e gli obiettivi climatici europei. Resta poi irrisolto il problema delle scorie, dato che, attualmente, non esiste una tecnologia utile a produrre energia atomica garantendo il loro corretto smaltimento.

La proposta della Commissione non potrà essere modificata dalle altre istituzioni comunitarie, ma soltanto approvata o respinta in blocco. Per rifiutarla è necessario il raggiungimento della maggioranza semplice in Parlamento europeo (353 deputati su 705) o della maggioranza qualificata in Consiglio (ossia il 72% degli Stati membri che rappresentino almeno il 65% della popolazione complessiva).

Alcuni Stati appoggiano apertamente l’inclusione del nucleare nella tassonomia: si tratta dei paesi dell’Est Europa (che non hanno mai voluto distaccarsi dall’eredità nucleare dell’Unione Sovietica) e soprattutto della Francia, capofila simbolica di questo schieramento. Il sostegno francese alla versione attuale della tassonomia non dovrebbe stupire: Parigi copre gran parte del proprio fabbisogno energetico grazie all’impiego dell’energia atomica e, in un momento di crisi come quello attuale, ha più bisogno che mai di attrarre capitali privati; di conseguenza, inserire il nucleare nella lista degli “investimenti puliti” la renderebbe molto appetibile ai portafogli degli investitori. Una finalità che la Francia perseguirà con decisione nei prossimi sei mesi, che la vedono a capo della presidenza del Consiglio dell’Unione e che la pongono in condizione di influenzare l’agenda politica.

Come anticipato, questo orientamento si pone in aperto contrasto rispetto alla visione propugnata da altri Stati membri, come ad esempio l’Austria, la Spagna e la Germania, che ha chiuso tre delle sue ultime sei centrali nucleari ancora in servizio, segnando un nuovo passo nell’abbandono di questa fonte di energia. Il premier spagnolo Pedro Sanchez ha dichiarato che includere nucleare e il gas segnerebbe “un passo indietro” nel percorso europeo verso la neutralità climatica, mentre il ministro dell’economia e vice-cancelliere tedesco Robert Habeck ha parlato espressamente di “greenwashing” e di “truffa delle etichette”, dichiarando che la Germania “non potrebbe sostenere il programma proposto”. Tuttavia, nelle ultime ore la posizione della Germania sembra essersi ammorbidita: secondo alcune fonti, infatti, Berlino non voterà contro il provvedimento ma si asterrà. Anche il dietrofront tedesco può essere spiegato analizzando gli interessi nazionali: infatti, se da un lato la Germania non ha motivi per non opporsi al nucleare, dall’altro potrebbe avere più di qualche rimorso sul fronte del gas, che rappresenta la fonte di energia più importante di cui dispone – come dimostra il controverso gasdotto Nord Stream 2, fortemente voluto da Merkel per raddoppiare le forniture domestiche e attualmente in fase di stallo.

In questo contesto, la posizione dell’Italia non è ancora stata chiarita ufficialmente. Tuttavia, i progetti messi in cantiere da Roberto Cingolani sembrano molto più affini alla “linea francese”, dato che il ministro ha più volte paventato l’ipotesi di accrescere la produzione nazionale di gas sfruttando i giacimenti già esistenti per far fronte al progressivo aumento bollette di gas ed energia elettrica. Inoltre, Cingolani non ha mai fatto mistero del suo entusiasmo per l’energia nucleare, che reputa un’opzione percorribile. Negli scorsi giorni, Greenpeace, WWF e Legambiente hanno chiesto al Consiglio dei ministri di schierarsi contro la tassonomia, spiegando che “sarebbe auspicabile che il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani e tutto il governo italiano si facessero portavoce, nella discussione europea sulla nuova tassonomia verde, di una posizione chiara e avanzata che non ceda alle lobby del gas fossile e del nucleare, così come hanno fatto altri governi, per esempio la Spagna”.

Insomma: l’impressione è che gas e nucleare siano diventati il terreno di scontro di due orientamenti che riflettono visioni antitetiche del futuro energetico europeo, ma che sembrano avere più a cuore la protezione degli interessi strategici nazionali che la sfida del riscaldamento globale.

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