La storia di Brittney Griner, la cestista americana intrappolata in Russia | Rolling Stone Italia
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La storia di Brittney Griner, la cestista americana intrappolata in Russia

È stata arrestata lo scorso 17 febbraio, mentre si trovava all’aeroporto di Mosca per prendere un volo e rientrare negli Stati Uniti. La sua detenzione sta stimolando una riflessione importante sul gender pay gap che continua a vigere negli sport americani

La storia di Brittney Griner, la cestista americana intrappolata in Russia

Foto di Stacy Revere via Getty Images

Nell’ultima settimana i media internazionali sono tornati a interessarsi della delicata vicenda di Brittney Griner, la cestista americana che, lo scorso 17 febbraio, è stata arrestata mentre si trovava all’aeroporto di Mosca per prendere un volo e rientrare negli Stati Uniti. Secondo la maggior parte delle ricostruzioni, Griner – che dal 2015 è sotto contratto con la squadra russa UMMC Ekaterinburg – sarebbe stata trovata in possesso di alcune capsule per sigaretta elettronica ripiene di olio di hashish e rischierebbe fino a 10 anni di carcere.

Nonostante i fatti risalgano a un mese fa, l’arresto ha iniziato a trovare spazio sui giornali soltanto nella prima settimana di marzo. Come riporta il Washington Post, in una fase iniziale la notizia è stata volutamente nascosta e resa inaccessibile all’opinione pubblica per il timore che un’eccessiva esposizione mediatica potesse giocare a favore della Russia, rendendo il rilascio dell’atleta più complicato.

Un atteggiamento di cautela che, in effetti, ha più di qualche fondamento nella realtà: l’arresto di Griner, infatti, è coinciso con un momento delicatissimo per le relazioni tra Stati Uniti e Russia, forse il più grave dai tempi della crisi dei missili cubani, anche a causa del ruolo che l’amministrazione Biden ha deciso di assumere nelle ultime settimane, ponendosi alla testa di una dozzina di Stati nell’imposizione di sanzioni adottate allo scopo di colpire l’economia russa e le sue élite politiche – che Putin ha paragonato a una vera e propria «dichiarazione di guerra».

La detenzione di Griner è stata segnalata per la prima volta dal New York Times il 5 marzo: da allora è diventato un tema di dominio pubblico (il Congresso americano ne sta discutendo apertamente), anche perché la TV di stato russa ha iniziato a divulgare alcune foto segnaletiche dell’atleta.

Il “caso Griner” sta stimolando una riflessione importante sul gender pay gap che continua a vigere negli sport americani, dove il divario di retribuzione tra i sessi rappresenta una costante. Non a caso, le cestiste statunitensi sono particolarmente attratte dalla Russia a causa degli stipendi – decisamente – più alti previsti per la pallacanestro femminile. Ad esempio, Griner guadagna più di un milione di dollari a stagione giocando per l’UMMC Ekaterinburg, un tesoretto che supera di cinque volte i 221.450 dollari che ha incassato per giocare negli Stati Uniti la scorsa stagione e che ammonta a circa 10 volte la paga media prevista per le cestiste americane della WNBA (130mila dollari) – Tanto per rendere conto dell’entità dello scarto, basti pensare che Stephen Curry, il giocatore più pagato della NBA, guadagnerà più di 45 milioni di dollari soltanto in questa stagione.

Coma ha scritto Arwa Mahdawi sul Guardian, Griner non è l’unica star della WNBA ad aver scelto di legare il suo futuro professionale alla Russia per migliorare le proprie condizioni salariali e, per quanto possibile, avvicinarsi alle cifre percepite dalle controparti maschili: è ormai una pratica comune. Ad esempio, nel 2015, l’UMMC Ekaterinburg ha scelto di pagare la giocatrice americana Diana Taurasi soltanto per saltare la stagione in WNBA, in modo che potesse mantenersi in forze e farsi trovare pronta per l’inizio del campionato di pallacanestro femminile russo. La cestista ha riassunto bene i termini della questione in un’intervista concessa a Yahoo: «Dovevamo andare in un paese comunista per essere pagate come delle capitaliste. È una cosa arretrata anche rispetto a ciò che  impariamo in prima media dai libri di Storia». Ora, la Russia non è più un Paese comunista da anni, ma una cosa è certa: la disparità di genere dal punto di vista salariale genera mostri (e, nei casi più estremi, anche ostaggi).

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