La realtà dietro ‘Squid Game’: la crisi del debito in Corea del Sud | Rolling Stone Italia
Politica

La realtà dietro ‘Squid Game’: la crisi del debito in Corea del Sud

Nella serie Netflix, i personaggi competono tra di loro in un gioco mortale per un ricco premio in denaro. Sembra fantascienza, ma la realtà in Corea del Sud non è poi così distante

La realtà dietro ‘Squid Game’: la crisi del debito in Corea del Sud

Un poster pubblicitario di ‘Squid Game’ a Seoul

Foto: Anthony Wallace/AFP via Getty Images

Un uomo che è stato licenziato e che è caduto in una spirale di debiti per via di iniziative imprenditoriali finite male e gioco d’azzardo, alla ricerca disperata della redenzione agli occhi della madre malata e della figlia che sta per essere portata negli Stati Uniti dalla ex moglie. L’ex capo di una società di investimenti caduto in disgrazia nonostante la brillante carriera. Un gangster che ha bisogno di soldi per togliersi dalle calcagna degli strozzini stranieri. Un immigrato pakistano che non viene pagato da mesi dal suo datore di lavoro e deve pur sfamare la famiglia.

Sono solo alcuni dei personaggi che in Squid Game, la nuova serie targata Netflix che sta avendo un inaudito successo planetario, si trovano a partecipare a un macabro gioco di sopravvivenza con un ghiotto premio in denaro, organizzato per divertimento da ricchissimi, annoiati uomini d’affari. I 456 giocatori che vi partecipano hanno poco o nulla in comune, se non una cosa: un debito asfissiante da cui vogliono liberarsi.

“Volevo scrivere una storia che fosse un’allegoria o una favola sulla moderna società capitalista, qualcosa che descrivesse una competizione estrema, un po’ come la competizione estrema della vita. Ma volevo che utilizzasse il tipo di personaggi che abbiamo tutti. incontrati nella vita reale”, ha spiegato Hwang Dong-Hyuk, sceneggiatore e regista della serie, che racconta di aver cominciato a lavorare alla storia nel 2008, in un momento di difficoltà finanziarie personali, ma di essere riuscito a trovare qualcuno che volesse produrla – Netflix, appunto – soltanto nel 2019.

Nonostante stia riverberando a livello globale, quella raccontata da Hwang è una storia che si inserisce alla perfezione in un filone di opere – da Parasite a Burning – che traggono tutta la propria forza dalla descrizione impietosa di una sfumatura di capitalismo specificatamente sudcoreana. Se in Parasite, allora, tutta l’attenzione era sullo scontro violento tra una famiglia ricca totalmente scollegata dalla realtà del Paese in cui vive e un’altra costretta a fare qualsiasi cosa per sopravvivere, in Squid Game ad essere sviscerato è un problema molto specifico: l’estremo indebitamento in cui finiscono sempre più sudcoreani.

Arricchitasi a dismisura dopo la seconda guerra mondiale, in un boom economico quasi miracoloso, la Corea del Sud oggi è lo Stato asiatico con la peggiore disparità di reddito. Il Paese soffre poi di una disoccupazione giovanile altissima, la sua economia è in mano a una ristretta cricca di enormi compagnie, e il mercato immobiliare è totalmente disfunzionale: soltanto negli ultimi quattro anni, i prezzi delle case a Seoul sono cresciuti del 50%. A questo si aggiunge un’altissima pressione sociale e familiare ad ottenere quanto più successo possibile, il prima possibile – anche quando, obiettivamente, raggiungere un certo grado di prosperità sta diventando un sogno inaccessibile ai più.

In questo contesto, moltissimi giovani sono alla disperata ricerca di un modo per dimostrare di avercela fatta, di essere riusciti a raggiungere il livello di benessere dei propri genitori. Non è un caso che la Corea del Sud sia uno dei più grandi mercati di criptovalute al mondo. Esiste addirittura una parola specifica, nello slang coreano, che descrive l’atto di prendere in prestito soldi soltanto per reinvestirli subito nel tentativo di raggiungere la ricchezza dei propri genitori.

La situazione è precipitata con lo scoppio della pandemia a metà febbraio 2020, quando il governo e la banca centrale hanno allentato le regole sui prestiti, concedendo ai giovani un accesso senza precedenti al credito, con un conseguente drammatico aumento del debito.

La tendenza massiccia ad investire anche quando non si hanno i fondi per farlo ha ripercussioni su scala nazionale. Il debito delle famiglie ha raggiunto un record storico quest’estate per via della crescente domanda di mutui per la casa: in tantissimi hanno infatti deciso di acquistare casa ora, nonostante i prezzi folli, per paura che il costo degli immobili continui ad aumentare nonostante svariate misure governative per evitare che succeda. I trentenni sono in assoluto i più indebitati, con prestiti totali pari a circa il 270% del loro reddito annuo, dice la banca centrale sudcoreana.

“Nel frattempo, un gruppo di élite globali ultraricche osserva e si diletta ad osservare i miserabili tentativi dei giocatori che vogliono vincere un premio in denaro. Scommettono sulle vite dei giocatori proprio come scommetteva il protagonista di Squid Game, Gi-hun”, ha scritto Caitlyn Clark su Jacobin, chiamando la serie Netflix “un’illustrazione creativa di come la società sotto il capitalismo operi secondo due serie di regole, una per i ricchi e l’altra per i poveri”.

In questo contesto, non sorprende che dal 2015 la generazione che più sta soffrendo l’unione letale di disoccupazione rampante, condizioni lavorative opprimenti e affitti che non fanno che crescere a dismisura abbia cominciato a riferirsi sarcasticamente al proprio Paese chiamandolo “un inferno”.

“Molti giovani sudcoreani hanno iniziato a descrivere il loro paese in questo modo perché vivere in Corea del Sud a volte sembra di nuotare nell’oceano verso un’isola lontana senza alcuna idea di quando o come arrivarci”, spiegava la giovane giornalista Juwon Park nel 2018. Tre anni dopo e nel bel mezzo di una pandemia che in Corea del Sud sta alzando nuovamente la testa, non c’è ragione di pensare che la situazione sia migliorata.