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La protesta di Pisa contro l’invio di armi in Ucraina

I lavoratori dell'aeroporto Galielo Galilei hanno manifestato contro l'invio di armi, munizioni ed esplosivi dallo scalo pisano. A loro avviso quei voli avrebbero dovuto essere riempiti di viveri e medicinali in sostegno della popolazione ucraina, e per questo si sono rifiutati di caricarli

Foto di Dario Nincheri

Tirrenia, costa Pisana, due del pomeriggio. È metà marzo, le giornate si stanno allungando e inizia a fare caldo. Nel piazzale del parcheggio di uno stabilimento balneare chiamato Bagno degli Americani ci sono due furgoni VW camperizzati, un Mitsubishi simil Westfalia 4WD con pneumatici tassellati, un Pick Up Ford rialzato di almeno 20 cm – anch’esso con delle enormi ruote da fuoristrada – e svariate utilitarie malmesse con delle lunghe tavole da surf legate sul tetto. Un panorama, questo, che è difficile non pensare influenzato dalla presenza dello stanziamento militare americano di Camp Darby che, dal 1951, occupa la locale pineta del Tombolo.

Per arrivarci bisogna percorrere una stretta strada costeggiata da pini marittimi, che corre parallela al recinto della caserma; si vede poco di quello che c’è dall’altra parte dell’alta rete dipinta di verde ma, tra un cartello di “limite invalicabile” e l’altro, si riescono a intravedere lunghe file di veicoli corazzati dipinti di marrone, verde e grigio. Mimetica da deserto, niente a che vedere con l’Ucraina. L’aeroporto Galileo Galilei di Pisa, teatro della manifestazione indetta sabato 19 marzo dall’Unione Sindacale di Base, dista meno di un quarto d’ora da questa grossa dislocazione militare statunitense.

Il martedì precedente il sindacato USB aveva rilasciato un comunicato nel quale informava che dal Cargo Village dell’aeroporto sarebbero partiti «voli umanitari diretti in Ucraina, pieni di casse contenenti armi di vario tipo, munizioni ed esplosivi». A loro avviso quei voli carichi di armamenti avrebbero dovuto, formalmente, essere riempiti di vettovaglie, viveri e medicinali e per questo si sono rifiutati di caricarli.

A sostegno del personale dell’aeroporto si sono subito espressi i portuali di Livorno aderenti alla stessa sigla sindacale: «Questa guerra la pagheranno solo i lavoratori, è ora di dire basta» hanno dichiarato, sottolineando la loro «vicinanza e solidarietà ai colleghi del trasporto aereo di Pisa che, con coraggio, si sono rifiutati di essere complici di questa guerra».

Gli operai che hanno incrociato le braccia sostengono di non voler caricare le armi perché «servono soltanto a uccidere altri lavoratori, alimentando un conflitto che stanno pagando le fasce più deboli della popolazione a causa delle gravi conseguenze che ha sull’economia, a partire dagli aumenti vertiginosi dei prezzi», e ribadiscono che «è la propaganda di guerra che ci vorrebbe far credere che per ottenere la pace dobbiamo inviare ancora più armi».

Già il 7 di marzo la rete italiana Pace e Disarmo – un network pacifista a cui aderiscono un gran numero di associazioni, dall’AGESCI, all’ARCI, passando per gli Amici della Mezza luna rossa palestinese – aveva denunciato l’avvio di un ponte aereo militare verso la base di Rzeszow, in Polonia, sostenendo che si fosse scelto l’aeroporto militare di Pisa, uno dei principali hub nazionali al servizio della NATO, proprio per la sua vicinanza alla base di Camp Darby e aveva chiesto al governo di riferire in Parlamento. 

Secondo USB Pisa, la pratica si sarebbe successivamente estesa anche alla parte civile dell’aeroporto, circostanza confermata dall’amministratore di Toscana Aeroporti Marco Carrai che, il 16 di marzo, ha dichiarato alla stampa che il trasporto di armi dal Galilei non accadrà più. 
A seguito delle polemiche, il Comando operativo di Vertice Interforze (COVI), che si occupa del trasferimento delle armi, ha fatto sapere che il trasbordo, preso in carica da una compagnia autorizzata dalla NATO al trasporto bellico, si era svolto in via del tutto eccezionale in una delle piazzole civili dell’aeroporto a causa delle contingenze internazionali che stiamo vivendo. Precisazioni che non hanno rassicurato i lavoratori, convinti che i voli eccezionali siano molti di più di quelli dichiarati dal COVI. Da qui l’agitazione.

Sabato pomeriggio, di fronte al terminal principale dell’aeroporto c’erano circa 400 persone; dal palco, rappresentanti del sindacato, hanno spiegato le loro posizioni di fronte a una platea sopra la quale sventolavano le bandiere più svariate, da quella di Potere al Popolo, a quella di Legambiente.

«Toscana Aeroporti dice che non accadrà mai più» afferma Cinzia, membro USB, «sembra quasi che vogliano dare a intendere che quello che è successo sia soltanto un incidente di percorso, quasi loro non ne sapessero nulla. Con i protocolli di sicurezza che ci sono all’interno dell’aeroporto è impossibile che questo sia solo un episodio occasionale. Hanno messo a rischio lavoratori che non sono preparati a gestire materiale pericoloso e l’hanno fatto pensando che la cosa sarebbe passata sotto silenzio. Con la nostra denuncia abbiamo mostrato che il re è nudo».

Al megafono si sono succedute più persone, tra di loro anche un rappresentante degli operai della GKN di Campi Bisenzio che ci ha tenuto a sottolineare che «Sabato scorso, a Firenze, hanno organizzato una manifestazione a sostegno della pace dove, però, il sindaco Nardella ha dato la parola al presidente ucraino che ha chiesto la no-fly zone; si è quindi permesso che una piazza italiana facesse da cassa di risonanza a quello che, nei fatti, sarebbe l’inizio di una guerra mondiale».

Dopo qualche ora il presidio si è trasformato in un corteo, con i manifestanti che in fila ordinata si sono spostati di fronte alla zona dell’aeroporto dedicata al carico degli aeromobili; in quel momento parte di una vicina dimostrazione No green pass si è unita al corteo iniziando a scandire slogan inneggianti al rifiuto dei vaccini e a fare parallelismi tra la gestione della pandemia e la guerra in corso, suscitando lo sconcerto di non pochi partecipanti alla manifestazione.«Le posizioni No Vax non ci appartengono, e non capiamo come si possa paragonare la gestione della pandemia da Covid 19 alla guerra in Ucraina», ha voluto precisare il sindacato.

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