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La politica parla di crisi climatica solo dopo le catastrofi, nel resto del tempo va benissimo Peppa Pig

Le piogge che, ieri, hanno provocato esondazioni e alluvioni nelle Marche, causando la morte di nove persone (la conta dei dispersi, per ora, è ferma a quattro) hanno riportato al centro della campagna elettorale un tema di cui i candidati, finora, hanno discusso pochissimo: il riscaldamento globale. Alla faccia dei "gretini"

Le piogge che, ieri, hanno provocato esondazioni e alluvioni nelle Marche, causando la morte di sette persone (la conta dei dispersi, per ora, è ferma a tre) hanno riportato al centro della campagna elettorale un tema di cui i candidati discutono pochissimo: il riscaldamento globale, la sfida più pregnante del nostro tempo e quella che, idealmente, dovrebbe venire consacrata come la tematica principe di ogni agenda politica.

L’esondazione del fiume Misa, a Senigallia, ha colto l’amministrazione in contropiede: il sindaco ha consigliato ai cittadini di rintanarsi in casa e, se possibile, di ripararsi ai piani più alti delle abitazioni.

A Cantiano, un comune in provincia di Pesaro Urbino, l’acqua ha finito per riversarsi all’interno delle abitazioni, mettendo a repentaglio la rete idrica e le comunicazioni.

I dati forniti dalla Protezione Civile parlano chiaro: nello spazio di tempo di appena due ore, nelle Marche sono caduti 420 millimetri di pioggia – un quantitativo pari a quello che, solitamente, cade in circa sei mesi; in genere, infatti, la precipitazione media annua nelle Marche è di 800 millimetri sulla costa e 1.200 millimetri nelle zone interne.

Eppure, anche di fronte alla prova più tangibile della catastrofe in corso, alcune voci provano a tranquillizzare l’opinione pubblica berciando che, sì, è assolutamente tutto nella norma e, sì, chi prova a far presente il problema non è altro che un “catastrofista climatico”. È il caso, ad esempio, del geologo Uberto Crescenti, noto negazionista del clima che, da tempi non sospetti, indirizza tutti i suoi sforzi nella confutazione dell’origine antropica delle emissioni che ci stanno spingendo sull’orlo della sesta estinzione di massa – lo ha fatto anche questa mattina, in un articolo pubblicato su Meteoweb, e intitolato La naturalissima alluvione delle Marche e le speculazioni sui cambiamenti climatici.

Altre voci dissidenti si affannano a sottolineare che non sia possibile collegare un singolo episodio metereologico al cambiamento climatico; verissimo, gli eventi meteorologici e quelli climatici non devono essere confusi: il “meteo” è lo studio e l’analisi di fenomeni circoscritti nel tempo e di breve durata, lo studio del “clima” comprende invece analisi più articolate sulle condizioni dell’atmosfera e su come variano le sue caratteristiche (con i riflessi sul territorio) nel corso del tempo. È una distinzione di fondamentale importanza che, spesso, genera strafalcioni pericolosi e porta a conclusioni affrettate.

Il problema è che, osservando quanto accaduto ultimamente, risulta difficile parlare di singoli eventi”: parliamo di un contesto in cui il nostro Paese, nel solo primo semestre del 2022, ha sperimentato ben 132 eventi climatici estremi di questo tipo, il numero più alto degli ultimi dieci anni – del resto anche l’IPCC, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, ha sottolineato a più riprese l’esistenza di un legame tra eventi estremi (alluvioni, uragani e siccità) e l’aumento delle temperature dovuto all’attività umana.

Nelle ultime ore, osservando le reazioni sdegnate di alcuni leader di partito (su tutti Letta, che ha parlato dell’urgenza di affrontare i cambiamenti climatici), attivisti, climatologi e giornalisti che si occupano di ambiente hanno (giustamente) sollevato un grande interrogativo: è accettabile che, per parlare di crisi climatica in una campagna elettorale (che, ricordiamolo, serve a eleggere dei parlamentari che possano sostenere un governo, auspicabilmente, capace di risolvere i problemi; e la crisi climatica è IL problema) sia necessario attendere una tragedia di queste proporzioni? Com’è stato possibile ridursi a questo livello di inconsapevolezza?

Un primo fattore che ha portato a questo clamoroso svilimento del dibattito sulla crisi climatica è sicuramente l’informazione: negli ultimi anni, le comparsate di negazionisti climatici privi di competenze che pontificano nella televisione pubblica, spesso contrapposti a climatologi serissimi e allineati al consenso di quasi il 100% della comunità scientifica, hanno contribuito a sottostimare la portata del tema, così come i titoloni di alcuni quotidiani, che hanno preferito attaccare gli attivisti con fare bullesco anziché compiere uno sforzo per informare adeguatamente i propri lettori sulle cause del climate change. L’altro problema ha a che fare con il mercato dell’informazione; è inutile nascondersi: la verità è che, al netto di eventi eclatanti come quelli di ieri, la crisi climatica non fa notizia e i media le riservano pochissimo spazio.

A confermarlo sono i numeri: a luglio, Greenpeace Italia e l’Osservatorio di Pavia hanno pubblicato un’analisi che ha esaminato, nel periodo gennaio-aprile 2022, tutte le edizioni di prima serata dei telegiornali andati in onda su Rai, Mediaset e La7. I risultati hanno dimostrato che, nei quattro mesi in cui è stata condotta l’indagine, i telegiornali esaminati hanno trasmesso 14.211 notizie, ma solo 96 hanno trattato la crisi climatica, pari ad appena lo 0,7% del totale. Purtroppo, le forze politiche impostano la propria retorica anche in base al ciclo di notizie e, in un Paese vecchissimo in cui la televisione continua a rappresentare il principale mezzo di informazione per la maggioranza degli italiani, parlare di un tema così sotto–rappresentato dal medium di riferimento della porzione più consistente dell’elettorato attivo, detto cinicamente, non porta voti.

Eppure, è il momento di iniziare a parlarne fino all’ossessione: diversamente, mentre il mondo va a fuoco, continueremo a vedere giornali che ci tranquillizzano con titoloni da vergogna nazionale del calibro di «Fa freddo» e politici sconnessi dalla realtà che, con piglio paternalistico, etichettano gli attivisti del clima come “gretini”, presentando il riscaldamento globale come il prodotto della fantasia di una ragazzina svedese; e invece no, è già qui e siamo più in ritardo che mai. Stai a vedere che i gretini avevano ragione. 

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