La cultura dello stupro non se n'è mai andata | Rolling Stone Italia
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La cultura dello stupro non se n’è mai andata

A Roma un militante di Casa Pound grida "ti stupro" a una signora rom, a Viterbo l'arresto di due esponenti neofascisti per una violenza di gruppo. Perché in questo clima patriarcale le donne finiscono sotto attacco

La cultura dello stupro non se n’è mai andata

Foto: IPA

«Quando ho sentito quella frase, “Ti stupro”, ho pensato subito alla Bosnia». Al telefono da Bologna, durante una pausa tra le terapie, Maria Chiara Risoldi risponde così, di getto, a una domanda sulla vicenda di Casal Bruciato, dove un esponente di Casa Pound (lui smentisce, ma non è granché convincente, ndr) ha gridato quelle parole a una donna durante un presidio di protesta per l’assegnazione di una casa popolare a una famiglia di etnia rom. Un nuovo episodio, dopo l’arresto di due militanti della stessa organizzazione neofascista con l’accusa di aver violentato una donna nel viterbese. 

«Negli anni ’90 avevo lavorato per un periodo in Bosnia, al termine del conflitto. Lì, per l’ultima di una serie infinita di volte nel corso della storia, era stata teorizzato e applicato in maniera sistematica lo stupro di guerra. Furono creati dei campi di concentramento, dove le donne musulmane erano violentate dai soldati serbi. Per Karadzic (criminale di guerra e leader della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina dal 1992 al 1996, ndr), che non a caso era uno psichiatra, lo stupro era un’arma molto potente. Anche perché nella cultura musulmana rappresenta un’offesa tra le più atroci, e le donne violentate spesso sono estromesse dalla famiglia di origine. Per questo le istituzioni dovettero dichiarare eroine di guerra coloro che aveva subito abusi, per provare a sottrarle al loro doppio tragico destino».

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Una piccola lezione di storia che per Risoldi, presidente della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna e autore del libro #MeToo. Il patriarcato dalle mimose all’hashtag, è particolarmente utile per capire il presente. «Anche in contesti di pace lo stupro è un’arma degli uomini contro le donne, ma anche contro gli uomini. Il modo più efficace di umiliare il nemico».

Secondo la dottoressa è necessario usare un termine considerato desueto: patriarcato. «Se la donna è un oggetto di proprietà del maschio, e in un ambito feroce come quello bellico è senz’altro così, aggredire lei significa aggredire lui. Lo stupro diventa così la la rappresentazione più primitiva dell’oppressione dell’uomo sulla donna». Una mentalità che riaffiora continuamente nel corso della storia. «La maggior parte delle società sono ancora immerse nel patriarcato, quello più opprimente del Medio Oriente o quello democratico di stampo occidentale (per quanto riguarda la cosiddetta “rape culture oggi gli esempi sono molti, dai college americani all’India, ndr). Non bisogna dimenticare che fino a 60 anni fa l’Afghanistan e Iran erano Paesi in cui le donne vivevano come noi, libere di vestirsi come volevano, di studiare. Da sempre la condizione della donna segnala il grado di civiltà di una società».

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Il pesante clima di intolleranza e xenofobia che si respira oggi non fa presagire nulla di buono, e le donne rischiano di essere tra le categorie più colpite. «Politicamente una misura come il ddl Pillon è un balzo indietro spaventoso, la riprova che i diritti conquistati in anni si possono perdere in 5 minuti». E non è un caso che questa fase politica sia accompagnata da un ritorno dilagante di idee di ispirazione fascista, come quelle che si vedono in azione nelle strade di Roma. «Per il fascismo la donna era solo sposa, madre e moglie. Tanta gente non si è mai affrancata da queste aberrazioni», conclude Risoldi.«Maschilismo e violenza sono nella loro natura».