La Cina sta tornando alla normalità, ma il coronavirus potrebbe ritornare | Rolling Stone Italia
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La Cina sta tornando alla normalità, ma il coronavirus potrebbe ritornare

Il prossimo 8 aprile, dopo più di due mesi, Wuhan uscirà dalla quarantena. Abbiamo chiesto a un virologo di spiegarci come potrebbe evolversi la situazione coronavirus in Italia e nel mondo nel prossimo futuro

La Cina sta tornando alla normalità, ma il coronavirus potrebbe ritornare

Linh Pham/Getty Images

La Cina sta tornando alla vita: dopo oltre due mesi, si riparte. Sembra infatti che l’epidemia si stia spegnendo: negli ultimi 20 giorni si sono registrati solo 1000 nuovi casi, in media 50 al giorno – un tasso bassissimo, rispetto a qualche settimana fa. 

Molte misure restrittive sono già state revocate, e l’8 aprile anche Wuhan uscirà dall’isolamento. Eppure, secondo gli esperti, la Cina potrebbe non avere ancora vinto la sua guerra contro il coronavirus: anche se adesso l’epicentro dell’epidemia si è spostato in Europa, gli epidemiologi avvertono che il Paese asiatico potrebbe trovarsi ad affrontare successive ondate di infezioni, proprio come è successo per altre pandemie.

“Anche se ci fossero stati molti più casi di coronavirus rispetto a quelli riportati ufficialmente dal governo cinese, meno dell’1% della popolazione sarebbe stata infettata nella prima ondata di coronavirus, lasciando la maggior parte delle persone in Cina suscettibili”, ha spiegato a Bloomberg Raina MacIntyre, professoressa di Biosicurezza all’Università del Nuovo Galles del Sud di Sydney. “La pandemia globale non sarà contenuta fino a quando non avremo un vaccino, o la maggior parte della popolazione non si sarà infettata”. È proprio così?

“Come in ogni epidemia, se il virus circola liberamente, non è da escludere che si possano riattivare nuovi focolai: per questo la Cina potrà essere dichiarata libera dal virus solo dopo 2 settimane dall’ultimo caso di contagio accertato senza nuove infezioni», spiega a Rolling Stone Giovanni Maga, virologo, direttore dell’Istituto di Genetica Molecolare IGM-CNR. “Non sappiamo quale sia la fonte originaria del virus, ovvero se sia passato direttamente dai pipistrelli o se esistano altri animali selvatici che possano fare da serbatoio, per cui esiste sempre il rischio di una reintroduzione. Non sappiamo neanche quanto duri l’immunità acquisita dalle persone guarite e se, quindi, queste possano essere protette da una nuova ondata epidemica. Comunque, dato il numero elevato di abitanti, sussiste sempre una notevole popolazione suscettibile. In conclusione, il rischio c’è, ma c’è anche un’aumentata consapevolezza del problema, che quindi dovrebbe mettere in grado la Cina di limitare da subito i focolai e non ritornare ad una situazione simile a quella degli ultimi mesi”.

Per evitare una successiva ondata, “l’ideale sarebbe isolare la fonte primaria in modo da evitare ulteriori contatti con l’uomo, ma in assenza di questa misura, la sorveglianza attiva per la comparsa di nuovi casi e il loro rapido isolamento è la strategia migliore”, afferma Maga.

Il pensiero corre all’Italia dove, da pochi giorni, il numero dei contagi sta calando lievemente: anche una volta superata l’emergenza, ci potrà essere il rischio di una nuova ricaduta? “Quando un virus diventa pandemico, difficilmente scompare, perché continua a circolare tutto l’anno e quindi può ripresentarsi nello stesso emisfero alla stagione successiva, come fa l’influenza. Nell’immediato, se si allentassero troppo le misure di contenimento prima di essere certi che il virus non circoli più, potrebbe riaccendersi un focolaio”, avverte Maga. “Consideriamo inoltre che, probabilmente, quando l’Italia ne sarà uscita, altri Paesi vicini potrebbero essere ancora in fase di crescita e quindi ci sarebbe il rischio di importazione. Di qui l’importanza, proprio come per la Cina, della sorveglianza attiva per la comparsa di nuovi casi e il loro rapido isolamento”.

Una speranza può essere riposta nel vaccino: “Una volta messo a punto, se si produrranno abbastanza dosi per le campagne di immunizzazione, certamente l’impatto di una nuova epidemia sarà largamente inferiore. Potrebbe essere che il virus, da una stagione all’altra, se dovesse ripresentarsi, sia leggermente diverso, come per l’influenza. Ma se si possiede una tecnologia validata per il vaccino di una stagione, è molto più semplice riprogrammarlo per tenere conto delle eventuali mutazioni del virus”.

Ma anche se non tornerà il coronavirus, dobbiamo tenere conto che negli ultimi 100 anni si sono verificate quattro pandemie influenzali, oltre a questa da coronavirus: “È inevitabile che se ne verificheranno altre, che sia un nuovo virus influenzale – le pandemie influenzali del Ventesimo secolo, a parte la Spagnola, che fu terribile, hanno comunque causato 1-2 milioni di morti in tutto il mondo e l’ultima, quella del 2009, circa 700.000 – o un altro virus emergente”, conclude Maga. “Le pandemie sono un fenomeno naturale, come i terremoti. Non c’è modo di prevederle e, spesso, di fermarle. Possiamo solo identificarle prima possibile e cercare di combatterle. Ogni pandemia ci insegna qualcosa e ci rende più pronti ad affrontare quella successiva”.

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