In Ucraina fare musica è un atto di resistenza all’oppressore | Rolling Stone Italia
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In Ucraina fare musica è un atto di resistenza all’oppressore

Dal 2014 a oggi, i musicisti ucraini boicottano l'industria culturale russa nel modo più radicale possibile: cantando (fieramente) nella loro lingua. Un gesto politico radicale e uno dei massimi simboli di autodeterminazione

In Ucraina fare musica è un atto di resistenza all’oppressore

Un batterista si esibisce in piazza Maidan il 23 febbraio 2022 a Kiev, Ucraina. Foto di Pierre Crom via Getty

Anton Slepakov è un musicista ucraino di 49 anni e uno dei volti più noti della scena elettronica e synth pop dell’est europeo. La sua vita è stata perennemente scandita da due identità parzialmente contrapposte e, alle volte, costrette a entrare in netta contrapposizione tra loro: all’uomo fiero delle proprie radici e legatissimo alle tradizioni, agli usi e ai costumi del Paese d’origine, infatti, fa riscontro la parabola dell’artista che, per allargare il proprio giro d’affari e poter sbarcare il lunario, decide di provare a posizionarsi su un mercato discografico più grande e dinamico, scrivendo e cantando esclusivamente in russo.

Una scelta che, fino a qualche anno fa, non era poi così inusuale tra gli artisti ucraini: la Russia è più grande, più ricca e permeabile alla mondanità e, nel corso degli anni, ha offerto ai musicisti ucraini la possibilità di organizzare tour più duraturi e redditizi, attirando platee decisamente più ampie rispetto al ristretto bacino d’utenza domestico.

La situazione è cambiata nel febbraio del 2014, quando Mosca diede avvio all’invasione della Crimea con l’intento – mai dichiarato ufficialmente, ma evidente nei fatti – di annetterla, fornendo legittimità alla scelta con un referendum sull’autodeterminazione pilotato ed etero-diretto dalla autoproclamatasi madrepatria russa – e dal quale, non a caso, scaturirono percentuali bulgare, con il 95% degli aventi diritto che votò in favore del ricongiungimento.

Da quel momento in poi, l’atteggiamento di Slepakov – che oggi è il frontman di una band elettronica underground chiamata Vagonovozhatye – è cambiato radicalmente: decise di non potere rimanere indifferente alle manovre di Putin e dei gruppi separatisti del Donbas e, in segno di protesta, decise di annullare tutte le date del suo tour moscovita, portando avanti il suo personale sabotaggio contro i colonizzatori e dimostrando che, contrariamente a quanto ventilato dagli oligarchi affamati di potere oltre il confine, l’Ucraina ha una propria identità da difendere.

Da allora, Slepakov ha smesso di mettere piede in Russia, aderendo al boicottaggio culturale che una parte di musicisti ucraini sta portando avanti da 8 anni a questa parte per restituire dignità a un Paese che percepiscono come oppresso. Dal 2014 a oggi, quella di Slepakov è stata una voce scomoda e particolarmente critica nei confronti dell’occupazione russa della Crimea e del Donbas. Come dichiarato dallo stesso Slepakov in un’intervista concessa alla testata OPB, la sua attività di boicottaggio si declina in diversi modi: sui social, nei discorsi pubblici, addirittura attraverso i propri spostamenti. Ad esempio, di recente, ha evitato di prendere un volo con scalo a San Pietroburgo, mentre si recava in Finlandia per un concerto, temendo una possibile detenzione da parte delle autorità aeroportuali russe.

Ma la sua battaglia personale passa anche dalla lingua: ha smesso di scrivere canzoni in russo per dedicarsi alla stesura di testi esclusivamente in ucraino. La sua opera di redenzione è iniziata con un singolo intitolato “Where Are You From” – un chiaro riferimento alla difesa dell’identità nazionale degli ucraini.

Un’identità sottomessa e spesso stigmatizzata: per secoli, sotto l’impero russo e poi con l’avvento dell’Unione Sovietica, l’ucraino è stato demonizzato e ridotto al rango di lingua di contadini e sempliciotti, un idioma di serie b da contrapporre al più nobile e sofisticato russo, venduto al contrario come il vernacolo dei professori, degli scrittori, dell’intellighenzia.

Come ha spiegato Taras Shevchenko, tastierista e percussionista della band folk elettronica ucraina Go_A, nella summenzionata intervista a OPB, gli artisti ucraini sono affetti da una sorta di complesso di inferiorità, sino al punto che «Le persone che non hanno nemmeno ascoltato la musica ucraina, pensano già che sia brutta e non sia interessante e non valga la pena ascoltarla». Ecco allora che cantare in ucraino diventa un gesto politico radicale, uno dei massimi simboli di autodeterminazione nazionale.

Con l’inizio della guerra e la recrudescenza del conflitto, anche la musica in Ucraina è diventata un atto di resistenza all’oppressore.