In Piemonte potrebbe nascere una miniera di cobalto: la sua storia, raccontata da chi abita lì | Rolling Stone Italia
Politica

In Piemonte potrebbe nascere una miniera di cobalto: la sua storia, raccontata da chi abita lì

La multinazionale australiana Altamin spera di trovare un grosso giacimento di cobalto nelle Valli di Lanzo. Gli umori di chi abita la zona sono agli antipodi: alcuni temono che possa tradursi in un danno ambientale irreparabile, altri la reputano un'importante opportunità economica e occupazionale

In Piemonte potrebbe nascere una miniera di cobalto: la sua storia, raccontata da chi abita lì

Foto di Per-Anders Pettersson/Getty Images

Punta Corna, una vetta che si trova nelle valli di Lanzo, nel nord-ovest del Piemonte, non è la più alta delle vicinanze: con 2960 metri di altitudine, non è neanche tra le prime cinque. Ma si riconosce per la forma caratteristica, che ricorda, appunto, un corno. Nelle zone circostanti, si vive soprattutto di turismo e piccole aziende locali. Gli abitanti non sono più di qualche centinaio per ogni paesino che si incontra salendo verso le montagne. Perciò è stato strano quando la multinazionale australiana Altamin ha fatto richiesta al ministero della Transizione ecologica italiano, nel 2018, per fare dei lavori lì.

Altamin è una “junior miner”, un’azienda mineraria che porta avanti pochi progetti mirati – soprattutto ricerche, rilievi – e spera di fare il colpo grosso, trovando un giacimento ricco. L’Italia è il Paese in cui è più attiva: qui ha due aziende controllate, Strategic minerals srl e Energia minerals srl, e quattro progetti di ricerca avviati. Il più avanzato e promettente, che riguardava lo scavo di zinco a Gorno, in Lombardia, è stato bocciato a inizio giugno dal ministero per la Transizione ecologica. Quello piemontese, invece, che è iniziato nel 2019 nei pressi della vetta di Punta Corna e da poche settimane ha avuto un rinnovo dei permessi, riguarda un minerale tra i più importanti e controversi al mondo: il cobalto.

Per prima cosa, quindi, servono due nozioni su questo materiale. «Di cobalto abbiamo sempre più bisogno», spiega Sissi Bellomo, giornalista del Sole 24 Ore, tra le principali esperte di materie prime in Italia. Il punto è che, oggi, il cobalto è quasi indispensabile per costruire batterie. Quelle delle automobili elettriche, sempre più diffuse in futuro – soprattutto dopo che l’8 giugno il Parlamento europeo ha votato per terminare le vendite di auto nuove a benzina e diesel in Europa nel 2035 – ma anche quelle che sono cruciali per la transizione ecologica.

Le fonti rinnovabili, come eolico e solare, producono elettricità. Per immagazzinare l’elettricità e utilizzarla quando e dove ce n’è bisogno, servono batterie. Per le batterie, serve il cobalto. «Il prezzo del cobalto l’anno scorso è più che raddoppiato – sottolinea Bellomo – perché c’è stato un forte aumento della domanda e l’offerta ha faticato a tenere il passo. La società australiana che si è fatta rinnovare i permessi ha fatto benissimo».

L’altro elemento importante che riguarda il cobalto è la sua provenienza. Quasi tre quarti della produzione mondiale avviene nella Repubblica democratica del Congo. Qui, da decenni, Amnesty International e altre associazioni denunciano condizioni critiche. Il settore minerario nel Paese, a grandi linee, è strutturato così: per la maggior parte a estrarre cobalto sono aziende importanti, soprattutto cinesi; ma almeno il 20% del materiale esportato arriva da miniere “artigianali”, per così dire, che utilizzano lavoro minorile e non rispettano condizioni elementari di diritti del lavoro e diritti umani.

Si torna alle Valli di Lanzo, quindi. Punta Corna. Qui Altamin fa ricerche da tre anni per capire se ci siano quantità di cobalto sufficienti a giustificare scavi su larga scala. Il minerale veniva estratto in queste zone già nel Settecento, quando si usava il suo pigmento blu per colorare vestiti, quindi non c’è dubbio che almeno in parte ci sia. Se fosse molto, sarebbe un colpo grosso per la produzione europea. Ma gli abitanti delle valli cosa ne dicono?
I comuni coinvolti dalle ricerche di Altamin sono soprattutto due: Balme, cento abitanti all’anagrafe, e Usseglio, poco meno del doppio. Non hanno il potere legale per permettere o meno le ricerche e gli eventuali scavi: la decisione passa dal ministero della Transizione ecologica e dalla Regione. Ma non per questo la loro opinione sul tema è meno importante. Per questo, sono andato a chiederglielo.

A Balme, il futuro è la natura: «Il cobalto lo sappiamo che c’è. Ma se per prenderlo bisogna devastare la montagna, non si fa. Noi viviamo soprattutto con il turismo e con un’azienda che imbottiglia l’acqua sorgiva. E se gli scavi poi inquinano l’acqua?», chiede Mauro Marucco, 72 anni, sindaco dal 2009 al 2014.

In generale, nel paese, sembra che sia questa l’opinione dominante. L’attuale sindaco, Gianni Castagneri, 53 anni, la pensa allo stesso modo: «Noi vediamo il futuro di Balme costruito su turismo di qualità, sostenibile, e su un uso responsabile delle risorse del territorio. I paesini della zona sono stati quasi tutti fondati da minatori, secoli fa, ma oggi non è un modello di sviluppo che secondo noi è proponibile. Non porta risorse, non porta lavoro, porta solo rischi per l’ambiente e l’economia locale». Con una delibera comunale, Balme ha già espresso il suo parere contrario agli eventuali scavi di Altamin: «Ma lì dipende da Ministero e Regione, penso che possano tranquillamente passare sopra l’opinione del Comune».

Anche Franco, l’uomo sulla cinquantina che gestisce il negozio di articoli sportivi del posto – ed è stato anche lui sindaco, come spesso accade in paesini di queste dimensioni – si oppone con pragmatismo: «Si parla di avere dei guadagni, ma chi li ha? E se anche arrivano al territorio, per cosa li si usa? Per ripristinare il terreno dopo gli scavi? Non so, sono tutte cose che mi piacerebbe sapere, ma mi sembra che al momento ci sia confusione».

E confusione ce n’è. Siamo ancora nella fase delle ricerche preliminari da parte di Altamin, e se si decidesse di procedere con degli scavi veri e propri nella zona di Punta Corna serviranno altri progetti, altre approvazioni. Ma al momento, non sapere è la cosa peggiore per gli abitanti di Balme.

Anche perché la sezione torinese di Legambiente della Città metropolitana di Torino condivide molti dei loro dubbi, come spiega la presidente Carla Pairolero: «Secondo noi, le valli di Lanzo hanno bisogno di altri tipi di investimenti: più trasporti pubblici, più attenzione alle risorse naturali, anche più strutture che attirino un turismo giovane. Questa idea della miniera di cobalto che porta lavoro mi sembra torni sempre nel solito schema: o lavori e ti inquino l’ambiente, o non lavori e muori di fame. Non può funzionare così».

E sul fatto che la possibile estrazione di cobalto semplificherebbe la produzione di auto elettriche – meno inquinanti – e ridurrebbe il finanziamento dello sfruttamento di minori nella Repubblica democratica del Congo? «La soluzione, a nostro parere, non è quella. Ad esempio, c’è molto cobalto già estratto, utilizzato in varie batterie che poi vengono buttate. Con un modello di economia circolare, che recupera e riutilizza invece di buttare, si può ridurre anche il bisogno di estrarre».

Nella valle a fianco a quella di Balme, dall’altra parte della vetta di Punta Corna, si trova Usseglio. Qui, il sindaco Pier Mario Grosso, 70enne energico e orgoglioso del proprio territorio, è di tutt’altro avviso: «Noi siamo favorevoli, basta che non venga deturpato l’ambiente». Il sindaco Grosso è anche tra i pochi residenti locali ad aver incontrato direttamente dei rappresentanti di Altamin: «Loro sono disponibili a lavorare con il territorio, non hanno interesse a diventare un altro caso come la Tav».

Il Comune di Usseglio, quando l’azienda australiana ha chiesto il permesso dei rinnovi, ha avanzato alcune richieste: questioni pratiche, come la presenza di un archeologo durante le rilevazioni per preservare il patrimonio artistico del luogo, la manutenzione di alcuni sentieri della zona da parte di Altamin e la costruzione del campo-base per i ricercatori in aree che non rovinino il paesaggio.

La multinazionale ha accettato tutto, tranne la richiesta di una polizza fideiussoria (sostanzialmente un’assicurazione) di almeno un milione di euro nel caso in cui non avesse ripristinato il territorio dopo le ricerche. «Ci hanno detto che non si può obbligare», commenta Grosso.

L’intenzione principale del sindaco di Usseglio è combattere lo spopolamento: «Non possiamo dire di no a tutto, e poi lamentarci che sempre meno persone abitano nella valle. Negli ultimi anni la popolazione è rimasta sulle duecento persone, ma sono persone sempre più anziane. Questa è la cosa che mi preoccupa di più». Servirebbero giovani imprenditori e imprenditrici, dice: «Gli incentivi ci sono, le opportunità commerciali anche. Servono persone che abbiano voglia di mettersi in gioco, a cui piaccia la montagna. E poi servono le infrastrutture».

Questo è uno dei punti focali: «Da noi Internet va lentissimo, in certe zone non prende neanche il telefono. Le aziende di telefonia non ci vengono, perché ci sono troppi pochi utenti. Hanno fatto dei bandi, per completare la copertura telefonica in queste zone, in cui l’80% lo pagava lo Stato, e sono comunque andati deserti».

E allora diventa evidente perché sarebbe utile l’arrivo di una multinazionale: grandi lavori e grandi macchinari richiederebbero, certamente, anche la costruzione di nuove infrastrutture. La base, si spera a Usseglio, per un rilancio di tutta la valle.

Nel paese, alcuni residenti sono stati reclutati come “consulenti territoriali”, cioè hanno accompagnato gli esperti di Altamin a fare rilievi e gli hanno mostrato le zone. Tra questi ci sono Domenico e Claudio, due signori rispettivamente sui 60 e i 70 anni. A sentire loro, i rischi ambientali legati alla miniera sono inesistenti, e i timori sul tema sono frutto soprattutto di ignoranza: «Gli scavi saranno tutti in galleria, ci hanno detto, quindi il materiale viene estratto lì e poi portato giù, non ci sono grandi ricadute all’esterno della miniera», spiega Claudio. «Semmai», ci dice Domenico, «aggiungeranno scarti terrosi alle discariche che già esistono, fuori dalle vecchie miniere del Settecento. Ma si tratterebbe comunque di terra, pietra, cose che sono già dentro la montagna. Niente di inquinante».

Al di là della loro certezza sulle questioni tecniche – va detto, nessuno di loro ha esperienza nel settore delle estrazioni minerarie – gli è chiaro il motivo per cui aiutano Altamin, e per cui sperano che la miniera nasca: “Noi lo facciamo per l’economia della valle. Perché porti lavoro qui, tra idraulici, ingegneri, personale tecnico, guide alpine. E perché aiuti installare infrastrutture. Altrimenti, possiamo anche chiudere la valle».

Il secondo permesso per i rilievi di Altamin è appena stato concesso dal ministero, la Regione Piemonte dovrà dare l’ok formale. Quando si arriverà al dunque, e si saprà se una miniera si può fare o no, l’attenzione non sarà rivolta solo alla multinazionale australiana, o al Ministero italiano, o alla Regione piemontese. Ci saranno anche le voci delle valli di Lanzo, e di quei due paesi, Balme e Usseglio, che tengono al loro futuro nello stesso modo pur volendolo indirizzare in direzioni opposte.

Altre notizie su:  Cobalto Piemonte