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In Italia abortire è complicato, ma con il centrodestra al Governo lo sarebbe ancora di più

Il rischio che alcuni diritti fondamentali, faticosamente conquistati, vengano ridimensionati e limitati c’è ed è concreto, tra finanziamenti ad associazioni Pro Vita e incentivi che puntano a scoraggiare chiunque voglia interrompere una gravidanza

Foto di Simona Granati - Corbis/Corbis via Getty Images

Le possibilità che alla fine di queste elezioni il centrodestra abbia la meglio sulle altre coalizioni sono piuttosto concrete. Se così fosse – e gli ultimi sondaggi non prevedono un epilogo diverso da questo, visto che a due settimane dal 25 settembre Fratelli d’Italia è ancora in cima alle ultime preferenze di voto – potremmo dover presto avere a che fare con le idee politiche di personaggi come Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ferrei sostenitori, tra le altre cose, della famiglia “tradizionale” – vedi il caos mediatico su Peppa Pig – e di certi valori cristiani.

Il rischio che alcuni diritti fondamentali, faticosamente conquistati, vengano ridimensionati e limitati c’è ed è concreto. Certo, nel programma della destra non se ne fa esplicita menzione – e, del resto, non sarebbe una scelta furba dichiararsi apertamente contro l’aborto. Anzi, a proposito di questo, Giorgia Meloni ha tenuto a rassicurarci che la legge 194, cioè quella che disciplina l’interruzione volontaria di gravidanza in Italia, non subirà alcuna modifica (e che al massimo ci saranno «campagne di comunicazione e informazione di natura medica sul tema della fertilità»).

In un’intervista al quotidiano Avvenire la leader FdI ha anzi precisato che «chiediamo da sempre la piena applicazione della 194, a partire dalla parte rimasta disattesa sulla prevenzione». Tutto vero, su carta e almeno finché non si guarda dall’altra parte del foglio – anche se il fatto che ad oggi e ad ogni campagna elettorale si debba ancora specificare di essere pro aborto è già preoccupante di per sé.

Se da un lato l’aborto continuerà ad essere garantito – pur con tutte le difficoltà del caso – dall’altro Meloni ha dichiarato di voler mettere in campo tutte le misure necessarie a scoraggiare chiunque voglia interrompere una gravidanza. «Intendiamo istituire un fondo per rimuovere le cause economiche e sociali che possono spingere le donne a non portare a termine la gravidanza. E vogliamo anche sostenere i Centri di aiuto alla vita, che fanno un lavoro straordinario e accompagnano le donne nelle loro scelte», ha sottolineato. Una propensione a “difendere la vita” che nell’ascesa politica della leader ha trovato modo di manifestarsi più volte.

Uno degli episodi più eclatanti – e che vale la pena ricordare proprio in vista delle elezioni – è quello che la lega a ProVita & Famiglia, una onlus ultracattolica che riconosce come unica famiglia quella costituita da uomo e donna e che considera l’aborto un omicidio. Era il 2019 e Giorgia Meloni, impegnata alle elezioni europee tenutesi quell’anno, sottoscriveva il “Manifesto per la Vita e la Famiglia” diffuso proprio dall’associazione: impegnandosi, in altre parole, a portare avanti e difendere tutti i suoi principi cardine (alcuni citati poco sopra).

Fra la schiera di politici di Fratelli d’Italia ci sono stati altri esponenti che sull’aborto hanno avuto le idee piuttosto chiare. Ad aprile scorso, con l’approvazione di un emendamento al Bilancio di previsione 2022-24 presentato da Maurizio Marrone, assessore alle Politiche sociali, la Regione Piemonte ha stanziato 400mila euro da destinare a progetti delle associazioni pro-vita per rafforzare la loro presenza nei consultori, con l’obiettivo annunciato di dissuadere le interruzioni di gravidanza che avvengono a causa di difficoltà economiche e sociali.

Di fatto un’enorme cifra che finisce nelle mani di gruppi antiabortisti, e che invece avrebbe potuto migliorare la condizione di decine di strutture mediche pubbliche, come per l’appunto i consultori – che secondo l’Istituto Superiore di Sanità «nell’ambito della promozione della procreazione consapevole e responsabile, hanno contribuito a ridurre le Interruzioni Volontarie di Gravidanza nel Paese di oltre il 65% dal 1982 al 2017».

Ma se l’obiettivo di Meloni e dei suoi è «riscoprire la bellezza della genitorialità», certi tipi di scelte vanno proprio in questa direzione: pro aborto ma ancora più a favore di quella parte della legge che prevede di incentivare misure per impedirlo. In questo senso e relativamente alle nascite, in realtà l’aborto non è un problema di cui FdI dovrebbe troppo preoccuparsi. Secondo i dati forniti dal Ministero della Salute, pubblicati quest’estate, l’Italia ha uno dei tassi di interruzione di gravidanza più basso al mondo. Nel corso del 2020 ne sono state registrate 66.413, il 9,3% in meno rispetto al 2019. Se da una parte la diminuzione è frutto di un miglior utilizzo dei contraccettivi, dall’altra gli ostacoli che si interpongono tra chi vuole abortire e l’effettiva riuscita dell’operazione sono molti. Tra questi, alto tasso di obiettori di coscienza – che a volte arriva al 100% – e scarsa presenza di strutture che, oltre agli ospedali, pratichino gli aborti.

Assolvono a questo compito anche i consultori familiari, adibiti tra le altre cose – a partire dall’estate del 2020 – a somministrare in tutta sicurezza l’aborto farmacologico. Questo avviene facendo assumere a chi ne fa richiesta due pillole diverse, a 36-48 ore di distanza fra loro: la prima blocca la crescita dell’embrione, la seconda ne favorisce l’espulsione. Quest’operazione, prima della decisione del Ministero della Salute, poteva essere fatta solo in ospedale, con un ricovero di tre giorni (e con un’alta probabilità di trovarsi davanti una schiera di medici obiettori). Più in generale la presenza di consultori – istituiti con la legge del 29 luglio 1975, numero 405 – consente a tutti i cittadini – anche minorenni e stranieri – di usufruire di varie prestazioni sanitarie completamente gratuite o con ticket ridotti. Ma nel nostro Paese, rispetto ai bisogni della popolazione, ce ne sono davvero pochi. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ne ha contati 1 ogni 35mila abitanti, sebbene ne siano invece raccomandati almeno 1 ogni 20mila.

In totale sono 1800 (ricerca fatta tra novembre 2018 e luglio 2019) e quasi tutti (oltre il 98%) lavorano nell’ambito della salute della donna. Nello specifico: più del 75% si occupa di sessualità, contraccezione, percorso Ivg – basti pensare che quasi la metà dei certificati necessari per l’Ivg è rilasciata dai consultori –, salute preconcezionale, percorso nascita, malattie sessualmente trasmissibili, screening oncologici e menopausa e postmenopausa; l’81% offre servizi nell’area coppia, famiglia e giovani e gli argomenti più trattati sono la contraccezione, la sessualità e la salute riproduttiva, le infezioni/malattie sessualmente trasmissibili e il disagio relazionale.

Chi si rivolge ad un consultorio può per questo usufruire di figure specializzate, nello specifico, in ginecologia, ostetricia e psicologia. L’attività dei consultori si muove anche all’esterno della propria struttura, organizzando incontri con gli studenti e discutendo con loro principalmente di educazione affettiva e sessuale (il 94%). Ad un numero così elevato di incarichi – ed un basso costo per chi ne usufruisce – deve necessariamente corrispondere un adeguato finanziamento pubblico. Che non c’è. L’ISS ha calcolato che «solo 5 Regioni del Nord raggiungono lo standard atteso per la figura dell’ostetrica, 2 per il ginecologo, 6 per lo psicologo e nessuna per l’assistente sociale».

Anche se «i consultori offrono un servizio unico per la tutela della salute della donna, del bambino e degli adolescenti, accompagnano e sostengono le donne in gravidanza e nel dopo parto, offrono lo screening del tumore della cervice uterina e garantiscono supporto a coppie, famiglie e giovani», i soldi pubblici finiscono nelle casse delle associazioni antiabortiste. E il Governo non ha nessuna intenzione di opporsi.

Come si legge su un articolo pubblicato da L’Essenziale, a partire dalla loro nascita i consultori hanno ricevuto pochissimi fondi. In realtà, a dirla tutta, solo tre volte: «Nel 1996 con una legge sulla sanità e nel 2007 e 2008, ma solo per progetti specifici».

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