Imprese, svenimenti e risvegli di Massimo Giletti, nostro inviato a Mosca | Rolling Stone Italia
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Imprese, svenimenti e risvegli di Massimo Giletti, nostro inviato a Mosca

Lo sbertucciamento della portavoce di Lavrov, l'umiliazione inflittagli dal collega Alessandro Sallusti, il clamoroso svenimento in diretta e, ciliegina sulla torta, la benedizione di Salvini: per il conduttore di 'Non è l'Arena' è stata una domenica da dimenticare (e anche per la nostra informazione)

Imprese, svenimenti e risvegli di Massimo Giletti, nostro inviato a Mosca

Screenshot da La7

Poteva finire malissimo e, alla fine, così è stato: la spedizione moscovita di Massimo Giletti è stata un completo disastro, un teatrino del grottesco talmente arlecchinesco e insensato da suscitare uno strano senso di commiserazione. Nello spazio di appena tre ore abbiamo assistito a qualsiasi cosa: i colpi di scena si sono incatenati come in una commedia di Harold Pinter, in cui momenti di ilarità e cupa minaccia si alternano senza che lo spettatore riesca a definire esattamente come si sia passati dagli uni agli altri. Abbandoni, confusione, prese per il bavero, addirittura malori e momentanei svenimenti: un freak show in piena regola.

Se l’obiettivo dell’ei fu deus ex macchina di Mattina in famiglia voleva essere quello di consegnarsi alla Storia come una specie di “mediatore informale” nelle trattative di pace tra Russia e Ucraina, beh, missione fallita. Col suo sguardo perso nel vuoto, l’eloquio incerto e tremolante e la consapevolezza di stare affrontando una sfida decisamente più grande di lui, Giletti è uscito dalla prova del Cremlino come un dilettante allo sbaraglio, a partire da alcune scelte scollegate da ogni logica – una su tutte: scegliere di trasferire la propria base operativa a Mosca per intervistare Maria Zakharova, portavoce di Lavrov e ospite clou della serata, su Skype. What?

Proprio i 35 minuti di colloquio con Zakharova riassumono al meglio i risvolti fantozziani del pellegrinaggio di Giletti: durante il confronto, il conduttore è rimasto in balia del carisma della portavoce di Lavrov, che ha avuto buon gioco nel sbertucciarlo in ogni maniera possibile, ora facendogli notare che «È come se fosse arrivato da una settimana sul pianeta Terra», ora richiamandolo con toni paternalistici e prendendolo in giro per la sua dialettica un po’ infantile («Mi pare che lei parli come un bambino»); il tutto, ovviamente, passando in rassegna tutti i topos privilegiati della propaganda filo-putiniana in assenza di qualsiasi argine contro-argomentativo. Il problema è tutto qui: quando si ha l’occasione di interfacciarsi con una personalità del genere – e, quindi, la certezza di concedere a un personaggio divisivo e portatore di interessi di parte una finestra di visibilità nel mainstream televisivo occidentale – bisognerebbe essere quantomeno all’altezza della situazione e Giletti, al netto di ogni posa da hombre vertical, non è Barbara Serra e neppure Dario Fabbri o Lucio Caracciolo: è un ospite in terra straniera in ogni possibile declinazione, anche professionale.

Nemmeno il tempo di riprendersi dall’intifada di Zakharova che il conduttore si è ritrovato a dover subire la seconda umiliazione, cortesia questa volta di un collega, il direttore di Libero, Alessandro Sallusti. Il giornalista, vedendolo sfilare al fianco dell’anchorman Vladimir Soloviev, vicinissimo al cerchio magico di Putin e megafono della propaganda russa, ha perso la pazienza e si è prodigato in un’invettiva focosa, mettendo in campo tutto il suo orgoglio occidentale ferito: «Pensavo fossi andato a Mosca per parlare al popolo russo», ha detto, ««immaginavo che tu facessi qualcosa, intervistando Putin o un ministro, un qualcosa per cui noi dovevamo andare fieri della nostra libertà di informazione, e invece mi ritrovo qui, in un asservimento totale alla peggiore propaganda che possa esserci». In preda a una crisi di nervi, Sallusti ha poi ceduto al maccartismo più radicale, specificando che «Il Cremlino è un palazzo di merda», perché «lì il comunismo ha fatto i più grossi crimini» e puntualizzando di voler «rinunciare al compenso pattuito». Dopo aver ricordato a un Giletti più emaciato che mai di non voler fare la figura della «foglia di fico» davanti a quei «due coglioni che hai lì di fianco», il direttore ha abbandonando lo studio, imprimendo l’ennesima svolta drammatica a una trasmissione già morta prima di iniziare.

E, dato che il tragico accarezza la scena quando le possibilità del comico sono ormai esaurite, dopo la seconda mortificazione incassata nel giro di pochi minuti, Giletti ha perso i sensi ed è svenuto, cedendo momentaneamente la conduzione a Myrta Merlino. Dopo qualche minuto, il giornalista è tornato nuovamente in video, anche se non più in collegamento dalla Piazza Rossa, ma seduto e al chiuso. Dopo aver rassicurato il pubblico spiegando che «È stata una mancanza di zuccheri, il freddo e ho avuto un mancamento, sto bene, può capitare», il conduttore ha provato a riprendere in mano le redini della situazione, ovviamente senza riuscirci. La conclusione perfetta per un siparietto televisivo della peggior specie, che ha fatto sprofondare la nostra informazione a livelli da regime illiberale.

La catastrofe nella catastrofe, però, è stata la benedizione di Matteo Salvini (recentemente balzato agli onori della cronaca per via dei suoi legami poco chiari con Mosca), che ha posizionato la ciliegina della discordia su una colossale torta di cattivo gusto: «Un affettuoso abbraccio a Massimo Giletti, giornalista e uomo libero», ha scritto, consegnando alla ai posteri la pacca sulla spalla più inutile e unfit di sempre. Peccato, che occasione sprecata.