Il turismo spaziale non è ecosostenibile | Rolling Stone Italia
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Il turismo spaziale non è ecosostenibile

La corsa allo spazio dei miliardari potrebbe produrre effetti devastanti per l’ambiente

Il turismo spaziale non è ecosostenibile

Foto: Joe Raedle/Getty Images

L’estate che stiamo vivendo sarà consegnata alla storia come l’ideale Anno Zero di un nuovo tipo di corsa allo spazio. Se nel secondo Dopoguerra i progressi nella tecnologia aerospaziale, che miravano al controllo dei cieli, si prestavano perfettamente al gioco della competizione politica tra Stati Uniti e Unione Sovietica, oggi superare il confine dell’atmosfera terrestre è diventata – anche – una sfida “a misura di privato”, pur se attuabile unicamente grazie all’ausilio di finanziamenti pubblici da miliardi di dollari; da qualche mese, lo spazio sembra essere diventato il terreno di conquista di una competizione tra eccentrici miliardari, che vogliono trasformarlo in una destinazione turistica da riservare ai pochissimi privilegiati che potranno permettersela: un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per un gruppo ristretto di ultra-ricchi.

Con un po’ di sorpresa, a bruciare sul tempo i due contendenti che più di tutti hanno anelato alla privatizzazione del cosmo – l’ex CEO di Amazon Jeff Bezos e l’amministratore delegato di SpaceX e Tesla Elon Musk – è stato il patron di Virgin Richard Branson: lo scorso 11 luglio, a bordo della navicella spaziale VSS Unity, Branson ha inaugurato ufficialmente l’era del “turismo spaziale”. Decollando dallo Spaceport America del New Mexico, la Vss Unity ha viaggiato agganciata a una nave madre, la WhiteKnightTwo, che l’ha condotta a un’altitudine di circa 12mila metri: una volta sganciata, la navicella ha attivato i motori a razzo e ha raggiunto la quota stabilita – ossia il limite dello spazio esterno – per poi rientrare in sicurezza. Il 20 luglio, giorno del 52esimo anniversario dell’allunaggio, è stato il turno di Bezos: alle 15 circa ore italiane il razzo a guida autonoma New Shepard, sviluppato in questi anni da Blue Origin, è decollato da El Paso, in Texas, e dopo aver toccato un’altitudine di 350mila piedi (106 chilometri) è tornato indietro coi suoi ospiti. Sebbene Bezos abbia perso in linea temporale, i suoi uffici stampa non hanno mancato di sottolineare come New Shepard abbia registrato il record di altitudine e, sotto un certo punto di vista, potrebbe essere anche definito il primo a superare il confine con lo spazio, a seconda di quale metodo di analisi si voglia utilizzare (linea di demarcazione della NASA o di Kármán). A gennaio 2022 sarà la volta del Falcon 9 sviluppato da SpaceX, che invierà i primi civili nell’orbita terrestre bassa e ha già venduto quattro voli charter multimilionari.

Questi voli sono stati consegnati alle cronache come delle conquiste epocali, ma diversi studi hanno già messo in guardia dai rischi ambientali potenziali che potrebbero venire causati dall’implementazione del turismo spaziale. Al momento l’impatto dei lanci spaziali – all’incirca 100 ogni anno – è trascurabile, soprattutto se paragonato con quello dei 100mila voli al mondo ogni giorno. Tuttavia, se il settore dovesse crescere come auspicato dai suoi promotori –stando a quel che sappiamo oggi, Virgin Galactic ha intenzione di proporre circa 400 decolli ogni anno, mentre Blue Origin e SpaceX devono ancora rendere pubblici i loro piani – lo scenario cambierebbe sensibilmente. Ad esempio, secondo una stima calcolata dall’astrofisico francese Roland Lehoucq, le emissioni di Virgin Galactic si aggirerebbero intorno a 4 tonnellate e mezzo per passeggero, più del doppio del budget annuale individuale di anidride carbonica raccomandato per rientrare nelle soglie fissate dall’Accordo di Parigi. Secondo quanto spiegato al Guardian dalla ricercatrice Eloise Marais, professoressa associata di geografia fisica alla University College of London, un solo lancio provoca l’emissione di circa 300 tonnellate di anidride carbonica, e le emissioni dei razzi sono in grado di raggiungere gli strati più alti dell’atmosfera, dove la loro persistenza è più lunga e varia dai 3 ai 5 anni.

Marais studia da anni l’impatto dei combustibili sull’atmosfera terrestre, ed è preoccupata delle conseguenze che il turismo spaziale potrebbe avere sul riscaldamento globale: infatti, anche se le emissioni di Co2 dei razzi sono ancora inferiori a quelle dell’industria aeronautica, sono interessate da un aumento considerevole, pari a circa il 5,6% all’anno. Marais ha inoltre evidenziato l’esigenza di approntare nel breve termine strumenti legislativi utili per regolare un settore che, di fatto, ancora non esiste: non esistono leggi internazionali sull’impatto ambientale o riguardo al tipo di carburanti usati; è un gap da colmare il prima possibile. Proprio per questo, parafrasando Marais, «Il tempo di agire è adesso, quando i miliardari stanno ancora acquistando i loro biglietti».