Il trionfo di Petro, il primo presidente di sinistra della Colombia | Rolling Stone Italia
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Il trionfo di Petro, il primo presidente di sinistra della Colombia

Il candidato del Pacto Historico ha sconfitto la destra populista di Rodolfo Hernandez. Tra timori e proteste, si tratta di una svolta storica nel Paese. Il Sud America cambia segno: dopo la vittoria di Boric in Cile, occhi puntati sullo scontro tra Lula e Bolsonaro in Brasile

Il trionfo di Petro, il primo presidente di sinistra della Colombia

Foto di Ovidio Gonzalez/Getty Images

È una prima volta storica, ma la vittoria era in qualche modo annunciata. Non era mai successo che la Colombia eleggesse un presidente di sinistra, ma il trionfo di Gustavo Petro al ballottaggio del 19 giugno non può certo essere considerata una vera sorpresa. Casomai a destare curiosità dovrebbe essere il suo sfidante, Rodolfo Hernandez, anziano miliardario e leader del movimento populista Liga de Gobernantes Anticorrupcion, in grado di sopravanzare il centrodestra tradizionale al primo turno e sfidare il Pacto Historico di Petro, che aveva chiuso la tornata in testa con il 40% dei suffragi. A quel punto, come sempre quando c’è un ballottaggio, il timore è che gli avversari si sarebbero ricompattati e sarebbero riusciti a ribaltare il risultato del primo turno. Questo non è avvenuto, complice anche una crescita dell’affluenza che ha finito per favorire lo schieramento di sinistra.

Al ballottaggio la vittoria è stata dunque piuttosto netta: oltre tre punti di distacco (11.2 milioni di voti, 700mila il vantaggio) sullo sfidante e apertura di una storia nuova per la Colombia, nonché indizio di una svolta che sembra coinvolgere tutto il Sud America, dopo la vittoria di Gabriel Boric in Cile lo scorso dicembre, con vista sulla madre di tutte le battaglie: a settembre, in Brasile, quando il redivivo Lula sfiderà Bolsonaro.

Petro non è una sorpresa né un outsider, ha una lunga carriera politica e da anni occupa una porzione importante della scena politica colombiana. Attivista del gruppo insurrezionale M-19 negli anni ’80, è stato senatore, pluricandidato alla presidenza e sindaco di Bogotà tra il 2012 e il 2015.

Tra i punti cardine del suo programma, una riforma agraria che si propone il lodevole obiettivo di sottrarre 15 milioni di ettari di terreno alla speculazione latifondista dei narcos, lo stop alle eplorazioni petrolifere, investimenti in infrastrutture pubbliche per portare acqua potabile a tutto il paese, rinnovamento della rete ferroviaria, riforma fiscale, riforma del sistema sanitario (in gran parte privato) e investimenti sull’istruzione e sulla ricerca. Un programma socialdemocratico in piena regola che, se non sembra niente di speciale a un europeo, per la Colombia rappresenterebbe davvero una svolta storica. Da valutare, ad ogni buon conto, i rapporti internazionali che riuscirà a mettere in piedi il presidente Petro: equiparato in maniera forzata a Chavez e Maduro, appare del tutto evidente che la sua leadership noi sia graditissima agli eterni vicini di casa statunitensi.

La vera novità assoluta di queste presidenziali si chiama Francia Marquez, eletta vicepresidente: mai una afrocolombiana era arrivata a una carica così alta. Una vittoria non solo simbolica, ma più che altro un cambio di regime in netta discontinuità rispetto al passato, con l’élite bianca di Bogotà e Medellìn che finisce in minoranza a vantaggio di una coalizione in grado di rappresentare i due volti della Colombia, quello affacciato sul Pacifico e quello più strettamente caraibico.

La campagna elettorale è stata durissima e piena di colpi di scena fino all’ultimo. Una sentenza del Tribunale di Bogotà aveva obbligato Petro ed Hernandez a tenere un dibattito presidenziale, ma il candidato di estrema destra, dopo aver cercato di imporre alcune condizioni, ha preferito ritirarsi e non partecipare. Su di lui adesso pende anche la possibilità di una condanna per non aver rispettato la decisione del tribunale. Non solo, a far discutere nel paese sono stati anche gli arresti di ventidue attivisti di sinistra coinvolti a vario titolo nelle proteste del 2021. Oltre a questo, il Pacto Historico temeva fortemente la possibilità di brogli elettorali, con il presidente uscente Ivan Duque che aveva addirittura minacciato di dispiegare l’esercito e la polizia per garantire la regolarità del voto (minaccia curiosamente rivolta proprio ai sostenitori del vincitore Petro).

Su Twitter, il nuovo capo dello stato ha festeggiato, sottolineando ancora una volta i connotati popolari della sua candidatura: «Oggi è un giorno di festa per il popolo, che celebra la prima vittoria popolare. Possa tanta sofferenza essere sanata dalla gioia che oggi inonda il cuore del paese. Questa vittoria è per dio e per il popolo e la sua storia. Oggi è il giorno delle strade e delle piazze».

Resta tutta da valutare la partita interna. Alle elezioni parlamentari dello scorso marzo, la prima forza politica è risultata essere il Partito Liberale Colombiano – espressione dell’élite tradizionale del paese, nel 1983 peraltro capace di eleggere deputato il narcotrafficante Pablo Escobar –, di poco avanti rispetto al Pacto Historico di Petro e al Partito Conservatore.