Il primo miracolo di Draghi: ha trasformato Salvini in un europeista | Rolling Stone Italia
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Il primo miracolo di Draghi: ha trasformato Salvini in un europeista

Dopo aver preso di mira per anni l'Unione Europea che affama l'Italia, Salvini è pronto ad appoggiare il governo Draghi. Dimostrando che più che gli slogan "prima gli italiani" contano gli interessi degli imprenditori del nord

Il primo miracolo di Draghi: ha trasformato Salvini in un europeista

Matteo Salvini

Foto: Pier Marco Tacca/Getty Images

Spiazzando moltissimi osservatori, Matteo Salvini ha espresso il suo supporto entusiastico al governo che Mario Draghi conta di creare. Parlando dopo la consultazione con il premier incaricato, il leader della Lega ha affermato che lui e l’ex presidente della Banca Centrale europea hanno “un’idea di Italia che per diversi aspetti coincide”. E anche nel Parlamento europeo la Lega sta tentando di riposizionarsi verso il centro, votando per la prima volta a favore del regolamento del Recovery Fund e cercando di allontanarsi dal gruppo di euroscettici e sovranisti Identità e Democrazia per confluire, idealmente, nello stesso Partito Popolare Europeo in cui si trova Forza Italia.

“Lascio agli altri le etichette: fascista, comunista, europeista, io sono una persona pragmatica e concreta. Se con il professor Draghi si può parlare di taglio delle tasse per far respirare le persone e le imprese, io ci sto”, ha affermato Salvini. Non ci è voluto molto prima che qualcuno facesse notare che l’avvicinamento del Segretario generale della Lega Nord ad un europeista di ferro come Draghi appare, per utilizzare un eufemismo, inusuale – per non dire ipocrita.

“O con noi, o con l’Unione Sovietica Europea di corrotti, massoni e banchieri”, diceva Salvini fino a qualche anno fa, quando faceva le campagne #NoEuro, parlava costantemente della dittatura europea, candidava gli economisti oltranzisti dell’opposizione alla moneta unica Alberto Bagnai e Claudio Borghi al Senato, ventilava la possibilità di organizzare un referendum per uscire dall’UE.

È oggettivo che la Lega di Salvini si sia più volte posizionata in modo molto chiaro contro Bruxelles. Altrettanto oggettivo è che Matteo Salvini non ha mai dato grande priorità alla coerenza nel tracciare le proprie mosse politiche. E non sembra intenzionato a cominciare ora che ci sono da spendere oltre 200 miliardi di euro. Così, Salvini esce dall’incontro con Draghi e si scopre europeista – anche sul tema che più sembrava stargli caro quando era al governo, l’immigrazione. “Sul tema immigrazione chiediamo politiche di stampo europeo, come fanno altri Paesi: Spagna, Francia, Germania e Slovenia. Non c’è un modello Salvini ma una buona gestione della sicurezza e contrasto al traffico esseri umani”, ha affermato.

Il camaleontismo (e i calcoli elettorali) è però tale soltanto fino a un certo punto – come dimostra il fatto che, secondo un recente sondaggio EMG/Adnkronos, l’81% degli elettori della Lega si dica fiducioso nei confronti di un governo Draghi. Questo dato si spiega in parte tenendo a mente quale sia, al di là di slogan come “L’Italia agli italiani”, lo zoccolo duro dell’elettorato leghista, rappresentato più da esponenti come Luca Zaia e Giancarlo Giorgetti che da Salvini: il mondo produttivo e imprenditoriale del nord Italia, economicamente integrato nell’Unione Europa e quindi pienamente consapevole dell’importanza di tenersela stretta.

Sono le loro istanze che risuonano nella parole del leader della Lega quando dice di aver trovato sintonia con Draghi attorno a lavoro e imprese. “Lavoro per quel che riguarda la Lega significa impegno a non aumentare alcuna tassa. Ovviamente possiamo metterci a disposizione di una squadra, di un governo che si pone come obiettivo primario di tagliare tasse e tagliare burocrazia”, ha affermato Salvini. “Sentire qualcuno come il professor Draghi parlare di sviluppo, di rilancio, di crescita, di infrastrutture, di innovazione, di lavoro e non di mance, ci ha assolutamente confortato”.

In un altro punto del suo discorso, ribadisce di voler vedere un “utilizzo corretto dei fondi europei, un utilizzo fondato sul lavoro e sullo sviluppo, non sui fondi a pioggia, sull’assistenza e sul calcolo elettorale”. È nel calcare ancora e ancora la mano sulla necessità di tenersi ben distanti da politiche come l’introduzione della patrimoniale e nella speranza di spingere per una “pace fiscale” che si individua un’altra spiegazione di questa apparente inversione a U di Salvini.

“La moneta unica, l’Unione europea, la finanza cosmopolita, la minaccia islamica, l’invasione migratoria: soffermarsi sui fondamenti razionali, a volte del resto inesistenti, delle guerre dichiarate (e combattute sul serio solo contro i soggetti più deboli) da Salvini, porterebbe fuori strada”, scriveva in tempi non sospetti Stefano Palombarini. “Perché quel che conta, dal punto di vista della Lega, è poter additare in un nemico esterno – poco importa quale – la causa della mancata realizzazione delle promesse liberiste”.

Al di là della ricerca di questo nemico esterno, però, gli interessi che la Lega vuole proteggere rimangono quelli dell’industria a trazione settentrionale, che non ha esattamente quelle reti di protezione sociale che Salvini definisce “mance” e “beneficenza” in cima alla lista delle priorità. Da questo punto di vista, non sembrano esistere dissonanze rilevanti con quanto si prefigge di fare un potenziale governo Draghi. Con buona pace di personaggi come Borghi e Bagnai, per cui l’Unione Europea è davvero “un progetto fallimentare e nazista condannato dagli uomini e dalla storia”.