Il nuovo governo dell’Afghanistan dimostra che i Talebani non sono cambiati | Rolling Stone Italia
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Il nuovo governo dell’Afghanistan dimostra che i Talebani non sono cambiati

Ieri i Talebani hanno annunciato il nuovo governo dell'Afghanistan: il premier è nella lista dei terroristi internazionali compilata dall’ONU, mentre sulla testa del ministro dell'Interno pende una taglia da 10 milioni di dollari

Il nuovo governo dell’Afghanistan dimostra che i Talebani non sono cambiati

AAMIR QURESHI/AFP via Getty Images

Nella giornata di ieri, in una conferenza stampa da Kabul, il portavoce dei Talebani Zabihullah Mujahid ha annunciato la formazione di quello che è nei fatti il nuovo governo dell’Afghanistan – che dopo 20 anni, in seguito alla conquista del Paese da parte dei Talebani lo scorso agosto, è tornato a chiamarsi Emirato Islamico di Afghanistan. E se prima di ieri, ascoltando le loro dichiarazioni in un certo qual modo “moderate” (per esempio quelle sulla loro volontà di costituire un “governo inclusivo”) in molti si chiedevano se i Talebani non fossero cambiati in questi 20 anni, la lista dei ministri presentata ieri da Mujahid sembra spazzare via questa illusione. 

Questo già a partire dal primo ministro: Mohammad Hasan Akhund, già ministro degli Esteri e poi vicepremier l’ultima volta che i Talebani hanno governato l’Afghanistan e il cui nome è nella lista dei terroristi internazionali compilata dall’ONU. Il vicepremier sarà invece Abdul Ghani Baradar, uno dei principali leader del gruppo, arrestato nel 2010, rilasciato nel 2018 dall’amministrazione Trump e diventato poi l’uomo che ha guidato la delegrazione dei Talebani durante i negoziati di Doha con gli Stati Uniti nel 2020. 

Altri nomi interessanti sono quello del ministro dell’Interno, che sarà Sirajuddin Haqqani: è il leader della cosiddetta “Rete Haqqani”, un gruppo armato strettamente legato ai Talebani e considerato il loro contatto con al-Qaeda e con il Pakistan. Il paradosso ora è che Sirajuddin Haqqani, uno dei criminali più ricercati dall’FBI e su cui pende una taglia da 10 milioni di dollari del Dipartimento di Stato, fa parte del governo dell’Afghanistan. Interessante anche il ministro della Difesa: è il Mullah Yaqoob, figlio del Mullah Omar, storico fondatore e primo leader dei Talebani. L’attuale leader del gruppo, Hibatullah Akhundzada, non ha incarichi ufficiali ma secondo alcuni analisti potrebbe ritagliarsi un ruolo di supervisione generale simile a quello della Guida Suprema nel sistema di governo iraniano. 

Nella sua conferenza stampa Zabihullah Mujahid ha sottolineato come questo governo sia comunque provvisorio – più avanti ne verrà nominato un altro. Ma è comunque rilevante per almeno due motivi: il primo è che l’annuncio è arrivato con notevole ritardo rispetto alla conquista dell’Afghanistan da parte del gruppo, il che fa pensare che all’interno dei Talebani la situazione non sia tutta rose e fiori; ci sarebbero scontri tra fazioni e il ritardo nell’annuncio sarebbe stato dovuto proprio alla necessità di mediare. Un indizio in questo senso è il nome del primo ministro, Mohammad Hasan Akhund, un leader di secondo piano del gruppo che alcuni analisti considerano una scelta di compromesso. 

Il secondo punto è, come detto, che i membri del nuovo governo sembrano dissipare ogni illusione su un “cambiamento” dei Talebani. Al potere in Afghanistan sono tornati quasi gli stessi uomini di 20 anni fa; i membri del governo sono tutti uomini, quasi tutti di etnia Pashtun e tutti membri dei Talebani; le promesse di un governo di transizione “inclusivo” sembrano non essere state mantenute. Se per certi versi dunque è innegabile che negli ultimi 20 anni i Talebani si siano evoluti, diventando per esempio più pragmatici sul piano della politica estera – come dimostrano i negoziati con gli Stati Uniti, e la loro gestione del rapporto con i media e l’opinione pubblica internazionale – dal punto di vista dell’ideologia sono rimasti gli stessi. 

Intanto, ieri a Kabul si è tenuta una manifestazione contro il nuovo governo e in sostegno della “resistenza” nella valle del Panjshir, dove l’ex vicepresidente Saleh e il figlio del “leone del Panjshir” Massoud avevano cercato di lanciare una guerra di liberazione contro i Talebani ma che è stata di fatto riconquistata da questi negli ultimi giorni. La manifestazione è stata repressa con la violenza, anche se il numero di morti e feriti non è noto.