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Il governo italiano sta usando Patrick Zaki come merce di scambio

Il ragazzo egiziano che studiava in Italia è in carcere da più di 100 giorni, e sembra che invece di usare i rapporti commerciali con l'Egitto per ottenerne la liberazione il governo italiano stia usando il caso per ottenere ancora più accordi commerciali

Andrea Ronchini/NurPhoto via Getty Images

Il 16 giugno – 100 giorni dopo il suo arresto, e nel giorno del suo compleanno – è stata prorogata di altri quindici giorni la detenzione preventiva di Patrick Zaki, lo studente egiziano arrestato al Cairo e che dal 2019 viveva in Italia per frequentare un master europeo in Studi di genere e delle donne. Una settimana prima, l’Italia ha dato il via libera​ per la vendita di due fregate militari all’Egitto: un affare da oltre 1,2 miliardi di euro e che fa parte di una commessa ancora più ampia, dal valore stimato di 9-11 miliardi di euro – che è già stata definita la “commessa del secolo”.

Continuare a vendere armamenti a un regime che viola sistematicamente i diritti umani e che  non ha dimostrato la minima intenzione a collaborare né per il rilascio di Patrick Zaki né per far venire a galla la verità su Giulio Regeni sembra una scelta quantomeno discutibile. Ma nonostante le campagne di pressione stiano cercando di convincere il governo a bloccare la trattativa, mercoledì sera di fronte alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Regeni il premier Giuseppe Conte ha ribadito la posizione dell’Italia: la giustizia si otterrà solo “con l’intensificazione, non con l’interruzione del dialogo bilaterale”.

Un’argomentazione che, col passare del tempo, regge sempre di meno – anche perché i rapporti italiani con l’Egitto si sono già intensificati da quattro anni. Sul versante energetico, la recente scoperta di un enorme giacimento di gas naturale da parte di Eni potrebbe permettere all’Egitto di soddisfare il suo intero fabbisogno energetico; mentre su quello militare, l’Egitto è il primo acquirente di armi italiane: secondo dati di ReteDisarmo, dall’insediamento del governo Conte I il volume dell’export di armi italiane in Egitto è passato dai 69 milioni di euro del 2018 agli 871 milioni di euro del 2019.

L’impressione è dunque che le cose stiano andando esattamente al contrario di quanto dice Conte: invece di usare i rapporti commerciali per fare pressione sui casi Regeni e Zaki, sembra che il governo italiano stia usando i casi Regeni e Zaki come leve per ottenere ancora più accordi commerciali.

Visto questo contesto viene da chiedersi su chi bisogna riporre le speranze per il rilascio di Patrick Zaki, arrestato all’aeroporto del Cairo mentre stava tornando in visita dalla famiglia. Il ​suo avvocato​ ha raccontato che “è stato bendato e trattenuto per 17 ore all’interno dell’aeroporto dai funzionari della National Security Agency, e poi trasferito in una prigione di Mansura, la sua città d’origine, dove è stato picchiato, spogliato e sottoposto a scosse elettriche sulla schiena e sulla pancia. È stato anche abusato verbalmente e minacciato di stupro”. Solo successivamente è stato interrogato in presenza del suo avvocato: gli agenti avevano degli screenshot della sua pagina Facebook e lo hanno accusato di aver pubblicato notizie false, incitato alla protesta e di gestire un account che mira a “minacciare l’ordine sociale e la sicurezza e a incitare alla violenza e ad atti terroristici”.

Arresti come quello di Patrick Zaki non sono una novità in Egitto e sono solo la punta dell’iceberg. Dopo anni di disordini iniziati in seguito alle proteste di massa del 2011 contro lo stato d’emergenza imposto da trent’anni dal presidente Mubarak, nel 2014 è diventato presidente Abd el-Fattah al-Sisi, ex capo dei servizi segreti militari. Sotto il suo governo, attraverso una severissima legge sulla lotta al terrorismo, i diritti alla libertà d’espressione e di associazione sono stati ridotti ulteriormente, conferendo al presidente molti più poteri. E negli ultimi anni decine i migliaia di dissidenti sono stati arrestati o condannati a morte, spesso senza processo o dopo processi farsa.

Secondo la normativa egiziana, la detenzione può essere prorogata automaticamente di 15 giorni fino a un massimo di 150, dopo i quali iniziano rinnovi più lunghi autorizzati da un giudice. Complessivamente può durare fino a due anni, dopodiché si va a processo o si viene rilasciati. Torture e maltrattamenti sono spesso usati per estorcere confessioni, mentre anche gli avvocati trovano difficile svolgere il proprio lavoro perché sono spesso costretti a lasciare l’incarico perché minacciati, molestati o accusati a loro volta di altri reati. Per il governo egiziano Patrick Zaki è egiziano, non italiano, e quindi l’Italia non c’entra. La stampa filogovernativa egiziana ha calcato sulla sua omosessualità – illegale in Egitto – per farne un ritratto ingannevole, affermando che lavorasse in un’organizzazione per la promozione dell’omosessualità e dipingendolo come un terrorista.

“La strategia del governo per noi è fallimentare”, spiega a Rolling Stone Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International. “L’Italia ha perseguito una strategia a costo politico pari a zero, evitando screzi, tensioni, provvedimenti o malcontento diplomatico. A parte quei pochi mesi in cui l’ambasciatore non è stato al Cairo, ci sono stati quattro anni di buoni rapporti, scambi sempre più fitti, di affari, incontri bilaterali, cortesie, e non abbiamo ottenuto nulla”.

Secondo Noury inoltre  il governo italiano non sta tenendo conto di un’urgenza: Patrick è asmatico e dunque soggetto a un rischio maggiore per il coronavirus. Durante l’udienza del 15 febbraio, Zaki aveva raccontato di essere detenuto in una cella con “35 persone, una sola latrina e una finestra piccolissima”.  Il tutto mentre in Egitto la pandemia è fuori controllo, il sistema sanitario è al collasso e l’attività giudiziaria è ferma. Per questo motivo, Amnesty International ora sta cercando di giocarsi la carta della scarcerazione per motivi di salute, sollecitata all’inizio di aprile anche dall’Alta commissaria ONU per i diritti umani.

Il modo in cui l’Italia sta gestendo il caso rischia di sortire l’effetto di normalizzare una situazione intollerabile – che è esattamente quello che interessa all’Egitto. Come spiega a Rolling Stone Giuseppe Civati di Possibile, che attraverso la sua casa editrice sta curando un ​diario di aggiornamenti dedicato a Patrick Zaki​, nonostante non dipenda da noi, il nostro ruolo è quello di “ricordarlo e ricordare le ragioni per cui lo facciamo, che sono sì ragioni che riguardano la vita di una persona, ma hanno soprattutto un valore politico”.

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