Il diritto alla casa è il grande assente dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza | Rolling Stone Italia
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Il diritto alla casa è il grande assente dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

La pandemia dovrebbe averci fatto capire quanto avere una casa sia importante. Eppure, anche se la situazione in Italia è drammatica, a giudicare dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza il diritto alla casa non sembra rientrare nei programmi del governo

Il diritto alla casa è il grande assente dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Mario Cinquetti/NurPhoto via Getty Images

Nella giornata di ieri, il premier Draghi ha presentato alla Camera il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Ma a dispetto dell’enfasi posta sul tema della giustizia sociale e dell’inclusione – che dovrebbe essere una delle “missioni” del Piano – uno dei nodi cruciali nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale non sembra rientrare nei programmi del governo: il diritto alla casa.

La casa è diventata uno dei simboli della pandemia: un po’ perché siamo stati costretti a starci chiusi per lungo tempo, un po’ perché abbiamo assistito a una serie di misure repressive – coperte di clochard scaricate nei cassonetti, sgomberi di occupazioni abitative, multe a senzatetto perché non “stanno a casa” – che hanno messo il tema al centro del dibattito pubblico. Insomma, non siamo mai stati così convinti della necessità di dover garantire a chiunque un tetto sulla testa. 

Ma nelle 316 pagine del Pnrr mostrano scarsa attenzione per il tema: le previsioni di spesa riguardanti la qualità dell’abitare e l’edilizia pubblica appaiono irrisorie, con poco più di 7 miliardi destinati alla rigenerazione urbana e al potenziamento del cosiddetto “housing sociale” sugli oltre 220 totali. E di questi 7 miliardi quelli riservati all’aumento della disponibilità di alloggi sociali in senso stretto sono solo 0,5 – 500 milioni – una delle voci più basse in assoluto. Numeri troppo bassi se confrontati con quelli dell’emergenza abitativa in corso in Italia, dove l’offerta di case popolari è da anni estremamente misera.

Secondo un’indagine pubblicata dal Forum Disuguaglianze e Diversità, infatti, le domande di case popolari in attesa nelle liste comunali ammontano a 650mila, con un patrimonio abitativo pubblico sufficiente a soddisfare appena un terzo del reale fabbisogno. Una situazione sempre più estesa e in peggioramento anche per via del progressivo disimpegno pubblico e per via dell’aumento degli sgomberi, cresciuti del 57% negli ultimi 10 anni e per la maggior parte dovuti a morosità incolpevole – ossia, gente che non ha i soldi per pagare l’affitto. In questo contesto, il 30 giugno prossimo scadrà il blocco degli sfratti.

I problemi non riguardano solo chi è senza casa, ma anche chi la casa ce l’ha e nonostante questo vive poco al di sopra della soglia di povertà estrema. Anche in questo caso a parlare di una situazione drammatica sono i dati: in Italia le famiglie in condizioni di povertà energetica  ossia incapaci di pagare le bollette – sono quasi il 9%, una percentuale che varia molto da regione a regione. Quasi un terzo di chi vive in affitto è sovraccaricato dai costi delle abitazioni e il tasso di grave deprivazione abitativa – che tiene conto di situazioni come il sovraffollamento dell’alloggio e la mancanza di servizi igienici – è dell’11%, ossia quasi il doppio rispetto alla media dell’Unione Europea.

Secondo Walter De Cesaris, membro della segreteria nazionale di Unione Inquilini, il Pnrr potrebbe risolversi nell’ennesima occasione sprecata per stimolare una risoluzione della questione abitativa esacerbata fino al paradosso: “L’impianto proposto dal governo è totalmente scollegato dalla realtà, non soltanto per l’esiguità delle risorse messe a disposizione per garantire un tetto a ogni persona, ma anche per l’estrema noncuranza nei confronti del tema della sofferenza abitativa: sembra quasi che chi ha redatto il testo non abbia tenuto in considerazione le ricadute sociali disastrose della pandemia”.

Per De Cesaris, il problema principale del Pnrr sta nell’esiguo sostegno offerto alla cosiddetta Edilizia residenziale pubblica a canone sociale (Erp), ossia l’offerta pubblica di case gestite dall’IACP (Istituto Autonomo Case Popolari): un patrimonio con una media affitto di 150 euro al mese, riferito quindi a quei nuclei familiari che versano in condizioni di povertà e affollano le graduatorie dei Comuni. Di contro, il cosiddetto “social housing” si configura come un ibrido strano a metà strada tra l’edilizia popolare e la vendita privata, e intercetta una domanda differente – quella di una fascia “grigia”, troppo povera per potersi permettere una casa a prezzo di mercato ma, al contempo, un pelino troppo ricca per accedere agli alloggi dell’Erp.

“I destinatari del social housing all’italiana sono persone indigenti che vanno certamente sostenute, ma non rappresentano il cuore della sofferenza abitativa italiana”, prosegue De Cesaris, “il canone di queste abitazioni è rapportato a una cifra poco inferiore al prezzo di mercato e non al reddito. Peraltro, si tratta di un modello che si fonda su requisiti stabiliti da privati che, ovviamente, nella stragrande maggioranza dei casi preferiscono favorire le fasce di reddito più alte”.

Da questo punto di vista, il Pnrr attuale segna dei passi indietro rispetto alla bozza stilata dall’esecutivo Conte: “Nella bozza precedente, l’intervento doveva essere funzionale alla costruzione di 300.000 nuovi alloggi sociali, 150.000 da destinare all’Erp e 150.000 da riservare al social housing: non era abbastanza, ma avrebbe potuto avere un impatto strategico forte. Il governo Draghi ha cancellato, di fatto, l’intervento sull’Erp, mantenendo intatto quello sul social housing”.

L’unica formula di incentivo all’Erp esplicitamente prevista dal Piano è quella collegata all’ormai celebre “superbonus” del 110% – una detrazione per i lavori edilizi che migliorano la sostenibilità ambientale degli edifici, e che è stata estesa anche alle case popolari. In ogni caso, il bonus non rappresenta una misura mirata al contrasto dell’emergenza abitativa, quanto piuttosto un’agevolazione fiscale che permetterà di detrarre le spese sostenute per potenziare l’efficienza energetica degli immobili: un credito d’imposta importante che, però, non fornisce un reale sostegno a chi non ha accesso a un’abitazione.

Insomma, nulla di strano: il Pnrr – da cui per Draghi dipende “il destino del Paese” si pone in realtà in perfetta continuità con l’abitudine italiana a considerare la questione abitativa come una delle cose meno importanti delle politiche pubbliche. Per De Cesaris, è “l’ennesima occasione persa per ridurre il disagio abitativo e assicurare una casa dignitosa a tutte le persone”