Il Burioni-gate è la prova definitiva: scappiamo dai social, prima che sia troppo tardi | Rolling Stone Italia
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Il Burioni-gate è la prova definitiva: scappiamo dai social, prima che sia troppo tardi

Ovvero: come una connessione internet, troppo tempo libero e l'illusione di "blastare" la gente possono farti passare dalla parte del torto

Il Burioni-gate è la prova definitiva: scappiamo dai social, prima che sia troppo tardi

Foto via Getty

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Come (purtroppo) accade spesso, ieri il ciclo delle notizie è stato dominato da Roberto Burioni e dalla sua condotta social non proprio equilibratissima.

Nelle ultime ore i feed sono quasi interamente monopolizzati da sfoghi e reprimende da 280 caratteri indirizzati al virologo più famoso del sistema mediatico italiano: c’è chi ne chiede l’estromissione immediata dall’Ordine dei medici (una richiesta messa nero su bianco anche dal Codacons, con una nota ufficiale), chi lo etichetta come “un piccolo uomo” e chi rovista nel suo passato per riportare alla luce alcune sue prese di posizione ambigue – come la stramba “teoria” sulle donne brutte che espose qualche anno fa.

Per chi fosse poco avvezzo alla questione (beati voi), ecco un breve riepilogo: ieri il deputato leghista Alex Bazzaro – che ha espresso spesso opinioni scettiche sui vaccini anticovid – ha scritto che eviterà di sottoporsi alla quarta dose che l’Istituto Superiore di Sanità raccomanda per gli over 50.

Il tweet ha attirato l’attenzione di Burioni, che – seguendo una consuetudine ormai consolidata – ha scelto di intervenire con il pugno duro e di dire la sua: «Non posso credere che un irresponsabile disinformatore orgoglioso della sua purissima ignoranza come lei sia nello stesso partito di persone per bene come Luca Zaia e Massimiliano Fedriga», ha scritto, preparando inconsapevolmente il terreno per la polemichetta di giornata.

Nel “dibattito” (…), infatti, si è inserita anche Alessia, una ragazza con disabilità attivissima sui social, che ha espresso le proprie simpatie per Bazzaro. Per tutta risposta, Burioni si è preso la briga di rubare la sua foto profilo, ingrandirla e pubblicarla in un tweet di risposta, accompagnandola con un commento sarcastico («Capisco») in cui in tanti – e forse a ragione – hanno letto una volontà di dileggiarla per via del suo aspetto fisico.

Da lì in poi (sigh) ha preso forma il solito delirio post-moderno: la risposta del virologo si è tramutata immediatamente in un piccolo caso mediatico, è stata ripresa dai giornali ed è stata ripubblicata a oltranza da diversi esponenti politici, soprattutto di destra.

Lo stesso Bazzaro, da ore, sta rilanciando senza sosta appelli per spingere “la sinistra”, la Rai (dove Burioni è un volto noto) e l’Ordine dei medici a condannare pubblicamente l’operato del virologo, che nel frattempo è diventato il bersaglio privilegiato di tutta la destra del fronte politico: Giorgia Meloni e Matteo Salvini hanno condannato il gesto e chiesto la pubblica ammenda, trovando il prevedibile appoggio di uno degli anti-burionani nostrani più celebri e attivi, il senatore Alberto Bagnai. C’è anche chi sta calcando (moltissimo) la mano sulla disabilità della ragazza, sottolineandola in continuazione per strumentalizzare a dovere la faccenda, come ad esempio il senatore leghista Claudio Borghi (per intenderci, parliamo di uno che commentava lo sbarco dei migranti a Lampedusa così: «Mi raccomando, in Sicilia zona gialla quindi non più di quattro al tavolo al ristorante e mascherine all’aperto»; non proprio un alfiere del politicamente corretto, per usare un eufemismo. Eppure Burioni, con il suo talento sopraffino, è riuscito nell’impresa di subire una ramanzina persino da lui).

Cosa ci insegna questa storia? Con ogni probabilità, assolutamente nulla: a nessuno interessa davvero la condizione di disabilità della ragazza (altrimenti, perché cucirle addosso il ruolo della vittima a ogni costo e trasformarla in un agnello sacrificale all’insegna del pietismo benpensante della peggior specie? Dai); il resto è già sotto gli occhi di tutti da tempi non sospetti: i social ci fanno impazzire, il divario che separa la nostra identità digitale da quella di ogni giorno è sempre più ampio e incolmabile e il postaggio acchiappacuoricini di natura ossessivo-compulsiva genera mostri – peraltro, un piccolo appello per gli antropologi e i sociologi del futuro: prima o poi, dovrete aiutarci a individuare il brodo primordiale che, per qualche assurdo motivo, ha fatto pensare a una platea sempre più ampia di homo sapiens tendenzialmente istruiti che, sì, andare alla ricerca di sprovveduti da rimettere in riga sui social agitando il bastone della competenza, in fondo, potesse essere una buona idea: buona fortuna.

Quello di Burioni è un caso paradigmatico di come possa essere facile rimanere intrappolati nell’archetipo narrativo che scegliamo di dare in pasto ai social, anche a discapito dei meriti che, teoricamente, avremmo nella vita reale. Ormai da anni, il fondatore di Medical Facts ha abbandonato parzialmente la sua fama di accademico stimato e divulgatore prezioso (cosa che effettivamente è) per cambiare pelle e indossare i panni del difensore del rigore scientifico a ogni costo, sdoganando la – pessima – abitudine di vivere il “dibattito” (anche qui, la questione è sempre la stessa: possiamo davvero parlare di “dibattito”, con soli 280 caratteri a disposizione?) come uno scontro e di comunicare la scienza a suon di schiaffoni. Il risultato? Rinunciare al silenzio e all’autorevolezza di cui dovrebbe godere per cedere alla tentazione del placet degli utenti.

E così, l’accademico ha deciso di scendere dalla torre d’avorio per contaminarsi con il “volgo” e prodigarsi in epopee al limite del bullismo digitale, crogiolandosi negli applausi della sua claque e utilizzando i propri canali con l’entusiasmo infantile di un dodicenne alla costante ricerca dell’approvazione degli amici del parchetto. Come scrisse Antonio Scalari nel lontano 2017, augurandosi che la moda del blastaggio potesse scomparire il prima possibile (ahinoi, si sbagliava): «La filosofia della comunicazione della scienza adottata da Burioni si può riassumere così: «Io sono l’esperto, voi il pubblico. Io studio queste cose, voi no, perciò non è possibile alcuna discussione alla pari con me, cosa che può avvenire solo con altri esperti». Chi è escluso dal cerchio magico burioniano perché privo degli adeguati strumenti di comprensione non viene accolto e accarezzato, come dovrebbe accadere in un mondo ideale, ma emarginato e stigmatizzato brutalmente, invitato a prendere il proprio posticino nel girone degli stolti. Questa strategia può essere utile per solleticare l’ilarità di un segmento di pubblico, ma alla lunga non paga: come ha ricordato Matteo Pascoletti, la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità sconsiglia caldamente, nelle sue linee guida, l’utilizzo di humour e gli approcci aggressivi nella comunicazione della scienza, dato che potrebbero «danneggiare la credibilità, e minare la competenza percepita dell’oratore quando usato in un contesto inappropriato». Dei consigli che Burioni, però, ha scelto di chiudere nel cassetto per continuare a rivendicare il diritto di urlare a gran voce che «Io sono competente» e voi, be’, lo sapete.

Insomma, i fatti di ieri non sono altro che il giusto effetto boomerang generato da un ethos, quello del blastaggio in pubblica piazza, che ha ormai smarrito ogni cornice di senso (sempre che ne abbia mai avuta una, s’intende).

Una citazione (parecchio inflazionata) di Umberto Eco evidenziava in maniera lungimirante che «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino». Verissimo, ma forse si era scordato di aggiungere che una connessione internet e troppo tempo libero possono riuscire a far passare uno scienziato dalla ragione al torto: scappiamo dai social, prima che sia troppo tardi.