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I Talebani metteranno davvero al bando la produzione di oppio?

L'hanno annunciato, ma non è detto che lo facciano davvero: dopo 20 anni di guerra l'Afghanistan è un Paese distrutto, e la coltivazione dell'oppio è la risorsa più facile da sfruttare

JAVED TANVEER/AFP via Getty Images

Nella loro prima conferenza stampa dopo la presa di Kabul i Talebani hanno dichiarato, tra le altre cose, che “l’Afghanistan non sarà più un centro per la coltivazione del papavero da oppio o per il business della droga”. L’oppio infatti si ottiene incidendo le capsule di papavero sonnifero, e l’Afghanistan è il primo paese al mondo nella coltivazione di questa pianta.

“Stiamo garantendo ai nostri connazionali e alla comunità internazionale che non produrremo nessun narcotico”, ha detto Zabihullah Mujahid,  portavoce del gruppo armato. “Nel 2001, se vi ricordate, avevamo portato a zero la produzione di narcotici, ma il nostro paese è stato purtroppo sotto occupazione da allora e la strada era spianata per la riproduzione di narcotici anche a livello di governo;  tutti erano coinvolti. Ma d’ora in poi nessuno potrà essere coinvolto nel contrabbando di droga”.

Ma c’è un però: il Paese potrà essere libero dalla droga solo se il resto del mondo collaborerà. “D’ora in poi, l’Afghanistan sarà un paese libero dai narcotici, ma ha bisogno di un aiuto internazionale”, ha detto Mujahid. “La comunità internazionale dovrebbe aiutarci, in modo che possiamo avere coltivazioni alternative. Noi possiamo fornire colture alternative. Poi, naturalmente, molto presto, potremo porvi fine”.

Insomma, vogliamo smettere di produrre droga ma non sappiamo se possiamo smettere. Non che i Talebani si siano dati alla produzione di droga: semplicemente ci guadagnano. Per capirlo – e per evitare le inesattezze che molti stanno scrivendo in proposito – bisognerebbe parlare con chi coltiva, come ha fatto il giornalista Nico Piro, che ne ha scritto nel suo libro Corrispondenze afghaneIl lavoro sporco, spiega Piro, non è svolto dai Talebani ma da persone colluse e autorizzate da loro a occuparsene. 

Vero è che nel 1997 i Talebani avevano reso illegale la coltivazione dell’oppio, motivando la decisione con il fatto che fosse contraria ai principi dell’islam. Ma più che una questione di principio, appunto, è una questione di convenienza, e una nuova messa al bando dell’oppio, se dovesse arrivare, andrebbe letta prima di tutto nel contesto della campagna di pubbliche relazioni con cui i Talebani stanno cercando di accreditarsi come forza moderata e legalitaria sul piano internazionale. 

In ogni caso, la prima conseguenza di una messa al bando dell’oppio sarebbe un aumento del suo prezzo. Nel 2000, dopo la messa al bando del 1997, il prezzo di un kg di oppio passò dai 30 ai 500 dollari. La seconda conseguenza sarebbe la spinta per i tossicodipendenti a cercare la sostanza per altre vie, portando a un boom di altre droghe di qualità peggiore e più pericolose. 

Tutto ciò è molto chiaro sia ai Talebani che agli stessi Stati Uniti – entrambi Paesi in cui l’abuso di droghe è un grosso problema sociale. In Afghanistan, secondo la World Federation Against Drugs, la dipendenza dall’oppio e dagli oppiacei riguarda una persona su 30; qui eroina e morfina sono usate anche per sopportare il dolore fisico causato dai ritmi di lavoro massacrante nei campi di papavero sonnifero. Mentre negli Stati Uniti l’overdose da oppiacei è la prima causa di morte, prima ancora degli incidenti d’auto e delle armi da fuoco. 

Se sotto i Talebani l’oppio era messo al bando, dall’invasione americana le cose sono cambiate drasticamente. I dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, creato proprio nel 1997, dicono che in Afghanistan le aree coltivate a papaveri da oppio sono sempre più estese. Al momento dell’invasione, nel 2001, erano 74mila ettari; oggi sono quattro volte tanto. Dopo 20 anni di guerra l’Afghanistan è un Paese distrutto, e la coltivazione dell’oppio è è la risorsa più facile da sfruttare.

I Talebani possono ricattare il resto del mondo anche attraverso la produzione di altre risorse di cui la terra che si sono presi ai danni degli afghani è ricca, come litio, uranio, oro rame, pietre preziose. Secondo la Banca Mondiale, il 61% delle famiglie afghane trae reddito dall’agricoltura, perciò basterebbe siglare accordi per favorire in modo massiccio altre colture. Ma che alle potenze mondiali non importi molto della salute dei cittadini, del resto, non è una novità.

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