I russi non credono più alle stronzate di Putin sulla guerra (e dovremmo smetterla anche noi) | Rolling Stone Italia
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I russi non credono più alle stronzate di Putin sulla guerra (e dovremmo smetterla anche noi)

La "mobilitazione parziale" di 300mila riservisti annunciata ieri dal leader del Cremlino ha generato un'ondata di proteste in diverse città russe: migliaia di giovani non intendono partecipare a una guerra che non considerano giusta. C'è chi si sta organizzando per lasciare il Paese e chi, per disertare, sarebbe disposto a rompersi un braccio. Putin non è mai stato così sfiduciato in patria

I russi non credono più alle stronzate di Putin sulla guerra (e dovremmo smetterla anche noi)

Scontri tra la polizia e alcuni manifestanti, scesi in piazza a San Pietroburgo per protestare contro la "mobilitazione parziale" annunciata dal presidente Vladimir Putin.
Foto di OLGA MALTSEVA/AFP via Getty Images

Ieri il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato la “mobilitazione parziale” di 300mila “riservisti” (ossia uomini che, pur non essendo militari di professione, hanno già servito l’esercito in qualche modo o ricevuto un qualche tipo di addestramento).

La decisione di introdurre nel conflitto personale militare non pienamente qualificato – i riservisti non sono preparati per combattere una guerra di queste proporzioni: in tempo di pace non svolgono servizio militare e, nella stragrande maggioranza dei casi, svolgono altri lavori per mantenersi – ha imbarazzato non poco i vertici del Cremlino, finendo per contraddire le dichiarazioni pubbliche delle ultime settimane – ad esempio, solo dieci giorni fa, il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, rassicurava gli animi sostenendo che la situazione in Ucraina fosse sotto controllo e che, di conseguenza, un’eventuale mobilitazione dei riservisti non era neppure da prendere in considerazione.

Ecco perché le parole pronunciate da Putin rappresentano uno spartiacque fondamentale nella storia di questo conflitto e sono destinate a scompaginare gli equilibri e la percezione della guerra sia fuori che dentro i confini nazionali.

Dal primo punto di vista, il Cremlino ha palesato un segnale di debolezza macroscopico: la controffensiva con cui, nelle scorse settimane, l’esercito ucraino ha ripreso ad avanzare nel nord est del Paese, riconquistando importanti porzioni di territorio e sfondando le linee di difesa russe, ha costretto Mosca a correre a correre ai ripari. Il regime ha ammesso implicitamente che le forze attualmente in campo non sono sufficienti: senza rinforzi, il rischio di perdere la guerra è più che concreto.

I veri problemi, però, Putin rischia di averceli in casa: ieri il presidente ha etichettato la mobilitazione come un passo da compiere “necessario”, non soltanto perché l’esercito russo sta affrontando “formazioni neonaziste”, ma anche perché l’operazione speciale in Ucraina ha acquisto le fattezze di una vera e propria lotta per la sopravvivenza della Russia e del suo diritto di esistere, una guerra di civiltà contro l’Occidente globalmente inteso.

Eppure, le sue parole non hanno sortito l’effetto sperato: la chiamata alle armi non ha ravvivato l’entusiasmo dei russi ma, anzi, ha indotto una porzione importante della popolazione sottovalutata dalle cronache – quella non allineata con i propositi di conquista del leader, che legge quotidiani indipendenti e osserva questa guerra con preoccupazione e spirito critico – a dissociarsi; il dato essenziale emerso nelle ultime ore è proprio questo: migliaia di giovani non intendono imbracciare i fucili per prendere parte a una guerra che non considerano giusta e non perdono occasione per rendere visibile il proprio malcontento, in spregio alle dure leggi russe che impediscono di criticare l’operato dell’esercito e gli sviluppi di una guerra d’aggressione venduta sin dal primo mento come “operazione militare speciale”.

Le proteste di piazza delle ultime ore sono la dimostrazione più evidente di come la macchina della propaganda del Cremlino stia facendo acqua da tutte le parti. Secondo il gruppo indipendente russo OVD-Info, che si occupa di denunciare le violazione dei diritti umani compiute all’interno del paese, più di 1.300 russi sono stati arrestati durante manifestazioni contro la mobilitazione parziale che, ieri, hanno preso piede in 38 città. A Mosca e San Pietroburgo centinaia di manifestanti hanno reso visibile il proprio dissenso intonando cori come “Putin in trincea”, “No alla guerra”, “Contro la mobilitazione” e sfoggiando slogan di dissenso  (“Abbracciami, se hai paura”), spingendo la polizia a intervenire per arrestare i dimostranti.

In un appello pubblicato sul suo sito web, il movimento pacifista Vesna (Primavera) ha criticato duramente la “mobilitazione parziale” evocata da Putin. «Le autorità dicevano che avrebbero combattuto solo i “professionisti” e che avrebbero vinto. Si è scoperto che non stavano vincendo e i detenuti hanno iniziato a essere reclutati al fronte. E ora è stata annunciata la mobilitazione», hanno ricordato gli attivisti, chiedendo all’esercito russo di «rifiutarsi di partecipare all’operazione speciale” o di arrendersi il prima possibile».

Il morale di coloro che, nelle prossime ore, potrebbero essere chiamati a prendere parte al conflitto è più fiacco che mai: ieri il Moscow Times ha raccolto diverse testimonianze di uomini russi che stanno cercando in tutti i modi di evitare la chiamata. In molti stanno pianificando di lasciare il Paese, altri stanno pensando di iscriversi all’università e c’è addirittura chi è disposto a rompersi un braccio per ottenere un’esenzione medica. I voli da Mosca verso le capitali di Georgia, Turchia e Armenia – che non richiedono visto per i cittadini russi – sono andati esauriti in pochi minuti dall’annuncio di Putin, secondo quanto riportato dal principale sito web russo di pianificazione dei viaggi, aviasales.ru., con prezzi saliti anche a migliaia di euro.

Anche diversi analisti russi stanno evidenziando tutte le fragilità della scelta di Putin: nelle ultime ore, il sito indipendente e anti–governativo Meduza ha raccolto le opinioni di alcuni importanti sociologi e politilogi russi in merito a tutti i rischi connessi a questa “mobilitazione parziale”.

Secondo la ricercatrice russa Margarita Zavadskaya, che insegna all’Università di Helsinki, «È possibile che 300mila soldati non saranno sufficienti e che, di conseguenza, dovremo fare i conti non con una “mobilitazione parziale”, ma con una mobilitazione generale». Zavadskaya ha poi sottolineato che si tratta di un evento inedito nella storia recente del paese: «L’ultima volta che abbiamo avuto una mobilitazione di massa in Russia risale a oltre mezzo secolo fa: molti pubblici ufficiali, compresi i funzionari militari, semplicemente non sanno come funziona. Ci saranno molti eccessi e molte violazioni dei diritti umani».

Il sociologo Nikolai Mitrokhin sostiene invece che «questa mobilitazione sarà solo “parziale” nella prima fase, ma la scala aumenterà fino a quando l’esercito russo in Ucraina sarà almeno paragonabile alle dimensioni delle forze armate ucraine» e che «Nessuno addestrerà i soldati mobilitati: verranno arruolati e inviati immediatamente alle loro posizioni».

Dei timori condivisi anche dall’analista del Carnegie Center di Mosca, Aleksandr Baunov. Intervistato dall’AGI, Baunov ha spiegato che «il problema maggiore dell’esercito russo oggi è che non ha uomini: la tattica di Putin – come con la lotta al Covid – di delegare a governatori, al ministero della Difesa, ai contractor il compito di reclutare volontari da mandare al fronte non è stata efficace».

Putin non è mai stato così sfiduciato in patria, e il rischia di perdere l’appoggio del suo popolo è più concreto che mai. Il popolo non è più disposto a credere alle sue bugie, a pagare sulla propria pelle il pezzo delle sue ambizioni geopolitiche. Chissà: forse anche i filoputiniani nostrani più radicali, finalmente, smetteranno di abboccare alla propaganda di regime.