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Finalmente l’Unione Europea ha deciso di fare qualcosa per i rider

Una nuova proposta introduce dei parametri chiari per consentire ai rider di venire assunti come dipendenti subordinati, con tanto di stipendio minimo, ferie retribuite e contributi pensionistici

Foto: Getty Images

Chiunque abbia sfogliato un giornale avrà notato come il tema del “capitalismo delle piattaforme” sia diventato sempre più centrale nel dibattito pubblico. Se ne parla così tanto non soltanto per via del giro d’affari generato dalle informazioni che ogni utente lascia dietro di sé durante le sue navigazioni in rete, ma anche perché le delicate condizioni contrattuali dei rider di Ubereats, Glovo e Foodora e degli altri colossi del food delivery sono ormai sotto gli occhi di tutti. 

Le difficoltà di queste maestranze sono tantissime, anche a causa della scarsa sindacalizzazione di una categoria così giovane, che negli ultimi anni ha provato a mobilitarsi per raggiungere alcuni obiettivi, come ad esempio l’abolizione del cottimo, la richiesta di una paga oraria e la garanzia di una maggiore trasparenza rispetto all’uso dell’algoritmo e dei dati da parte delle piattaforme. Una mobilitazione che, in alcuni casi, ha portato a qualche risultato concreto, come accaduto lo scorso febbraio, quando un tribunale ha riconosciuto per la prima volta l’assunzione a tempo indeterminato di un rider, pronunciando una sentenza che è stata salutata come “storica”. 

Un passo in avanti importante è stato compiuto anche lo scorso 9 dicembre, questa volta non a livello nazionale, ma comunitario: la Commissione Europea ha infatti presentato un progetto di direttiva che punta a garantire maggiori tutele a una classe lavorativa ancora troppo fragile. 

La proposta introduce dei parametri chiari per consentire ai rider di venire assunti come dipendenti subordinati, con tanto di stipendio minimo, ferie retribuite e contributi pensionistici. Inoltre, il testo elaborato dalla Commissione vorrebbe intervenire anche sul meccanismo che le aziende utilizzano per la valutazione del servizio, introducendo il controllo umano degli algoritmi per evitare che le formule informatiche decidano il carico di lavoro, la valutazione dell’impegno, l’imposizione di sanzioni o la distribuzione di incentivi. L’altro asse di intervento riguarda la cosiddetta “inversione dell’onere della prova dell’autonomia del rapporto di lavoro”: in parole povere, nel caso in cui dovessero aprirsi delle controversie legali, saranno le aziende a doversi attivare per dimostrare che il lavoratore sia dipendente o autonomo – un’evoluzione di non poco conto, considerando che finora è accaduto l’esatto opposto. 

Stando ai parametri fissati dalla Commissione, dovranno essere considerati dipendenti i lavoratori di quelle piattaforme che determinano il livello di remunerazione o ne fissano i limiti massimi, monitorano la prestazione di corrieri o conducenti attraverso l’utilizzo di mezzi elettronici, limitano la possibilità di scelta degli orari di lavoro, impongono delle regole specifiche su come i lavoratori si debbano vestire o comportare nei confronti dei clienti o impediscono ai rider di lavorare anche per altre aziende. 

Se una piattaforma rispetta almeno due di questi criteri, allora sarà automaticamente considerata un datore di lavoro a tutti gli effetti – tuttavia, le aziende possono opporsi alla decisione attraverso uno strumento chiamato “rebuttal”, ma come anticipato in questo caso l’onere della prova spetterebbe a loro. 

Anche se gli intenti sono buoni, la proposta ha ricevuto alcune critiche, soprattutto per via dell’effettivo numero di lavoratori che beneficerebbero dell’entrata in vigore della legge, che dovrebbe riguardare un massimo di 4,1 milioni di occupati a fronte di un totale di 28 milioni di lavoratori. Gli altri dubbi riguardano l’effettiva efficacia del provvedimento: ad esempio, secondo la Federatie Nederlandse Vakbeweging – in sindacato che ha vinto battaglie legali contro Uber e Delivero in Olanda – le piattaforme potrebbero facilmente aggirare i parametri previsti dalla Commissione, dato che “Il loro intero modello di business”, riporta il sindacato olandese, è fondato sull'”evitare i costi di occupazione”. Un’altra criticità riguarda le tempistiche: prima di diventare legge, la bozza dovrà infatti essere discussa dal Parlamento europeo e, successivamente, ottenere l’approvazione degli stati membri dell’Unione Europea, che dovranno adeguare la loro legislazione nazionale alle nuove norme, probabilmente applicando alcune modifiche. 

Quel che è certo è che la proposta ha scompaginato i piani dei colossi del delivery, generando non poche preoccupazioni. A confermarlo è anche l’andamento dei mercati: come ha riportato Bloomberg, dopo la pubblicazione del testo, le azioni di Just Eat hanno perso il 3,7%, quelle di Deliveroo il 2,8% e quelle di Delivery Hero dell’1,7%. 

A prescindere da come andrà a finire, la bozza elaborata dalla Commissione ha l’indubbio merito di stimolare una riflessione sullo stato dell’arte dei lavoratori della gig economy, che continuano a fare notizia soprattutto per le gravi condizioni di precarietà con cui sono costretti a convivere.

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