Fin dove si spingerà Donald Trump per vincere? | Rolling Stone Italia
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Fin dove si spingerà Donald Trump per vincere?

La posta in ballo nel 2020 è più grande di decidere semplicemente chi occuperà la Casa Bianca per i prossimi quattro anni. La democrazia, la legge, la realtà stessa e forse anche il destino del pianeta sono in discussione

Fin dove si spingerà Donald Trump per vincere?

Illustrazione di Victor Juhasz/Rolling Stone

Lo scorso ottobre, sulla veranda di una casa a due piani che aveva decisamente visto tempi migliori, ho assistito a una delle conversazioni più sconvolgenti della mia vita. Ero inviato con un team di attivisti a Alamance County, in North Carolina, in pieno territorio di Trump. Qui il presidente nel 2016 ha vinto di 13 punti. Lo sceriffo aveva accusato ufficialmente i “migranti illegali” di “stuprare i nostri cittadini in molti modi” e la contea aveva appena ottenuto un contratto da 2,3 milioni di dollari con ICE per detenere i migranti che passavano la frontiera e si stabilivano nello Stato. Il gruppo neo-confederato locale aveva visto il numero dei suoi aderenti crescere negli ultimi anni, soprattutto per reazione alla polemica sulle statue confederate.

L’attivista che seguivo quel giorno si chiamava Sugelema Lynch, una ex maestra di scuola figlia di immigrati messicani che avevano lavorato come operai agricoli in tutta la costa ovest. Come attivista, andava in giro e parlava ai cittadini locali di problemi quali l’immigrazione e la sanità per tutti, in un esperimento sul fatto che le conversazioni faccia a faccia fossero in grado di sconfiggere pregiudizi e polarizzazione. 

La coppia che viveva nella casa dove eravamo era l’ultima tappa della giornata. All’inizio la moglie ci aveva guardati con sospetto, ma presto si era tranquillizzata ed era uscita in veranda. Il marito se n’era accorto e si era unito alla discussione. La coppia aveva annuito con approvazione quando Sug aveva parlato dell’avarizia delle grandi case farmaceutiche e della necessità di proteggere i membri più deboli della comunità, ma quando poi era stato il loro turno di parlare, le loro risposte sembravano uscite da uno show della Fox. Il “deep state” stava impedendo al presidente Trump di fare tutte queste cose. I democratici volevano dare la sanità gratuita ai migranti illegali e toglierla a tutti gli altri. Avevano fatto anche un paio di riferimenti al miliardario George Soros, al centro di tutte le teorie del complotto di estrema destra, e a Hillary Clinton. Quando io o Sug gli chiedevamo da dove gli arrivavano quelle informazioni o provavamo a ribattere, loro erano gentili ma fermi, certi delle loro idee. 

Per quasi un’ora la conversazione era andata avanti in quel modo, mentre le ultime luci del sole tramontavano. La coppia ci aveva ringraziati per la visita e la moglie aveva abbracciato forte Sug. Mentre tornavamo al nostro furgone, eravamo sgomenti. “Mi fa male la testa”, mi aveva detto Sug. Ho riascoltato mentalmente la converazione tantissime volte. Ma fino a poco tempo fa non ero mai riuscito a capire come quello scambio di battute a Alamance County fosse esemplificativo della dinamica centrale delle elezioni presidenziali 2020. 

La sfida tra Trump e Biden non è una scelta tra due diverse proposte o ideologie politiche. E una scelta tra la realtà e l’anti-realtà. I fatti contro la fantasia. In mezzo a una pandemia che ha ucciso più americani della prima guerra mondiale e della guerra del Vietnam messe insieme, a una recessione economica paragonabile alla Grande Depressione e a un’esplosione di razzismo sistemico e violenza poliziesca, il piano di Trump per vincere le elezioni è vendere agli americani non una visione del futuro ma una realtà alternativa per il presente. 

In quella realtà, Trump è il presidente di legge e ordine, anche se fomenta la violenza per le strade di Portland e Washington D.C. – o, come nel caso dei fatti di Kenosha, difende un vigilante 17enne suo sostenitore che ha sparato a tre persone uccidendone due. La gestione di Trump della pandemia è un “grande successo” per citare suo genero Jared Kushner, non importa se il numero dei morti negli Stati Uniti è decisamente superiore a qualsiasi altra nazione sviluppata. Ha ereditato un’economia “stagnante” (non è vero) e l’ha trasformata nella “più grande economia della storia mondiale” (non è vero) solo per vederla poi crollare di fronte a una malattia che aveva promesso “sarebbe scomparsa”  da un giorno all’altro (non è successo). Ma soprattutto, Trump continua ad aggrapparsi all’idea di essere un outsider della politica in grado di scardinare l’ordine politico esistente, nonostante abbia riempito la sua amministrazione di lobbisti, lavorato per gli interessi delle grandi aziende estrattive e riempito di soldi il complesso militare-industriale e i miliardari. I grandi traguardi della sua presidenza – la riduzione delle tasse per le aziende e la nomina di più di 200 giudici di destra – sono stati resi possibili dalla fedeltà di uomini influenti dell’establishment come il leader di maggioranza al Senato Mitch McConnell. Eppure Trump aafferma di aver “spezzato il dominio della classe politica” precedente. In una vita piena di frodi e bugie, la proposta di Trump per il 2020 potrebbe essere la sua menzogna più audace. Tranne che adesso invece di mandare in bancarotta le sue aziende rischia di mandare in bancarotta il Paese.

L’uomo che sta tra noi e il trionfo della realtà di Trump è lui stesso una creatura della classe politica, un sei volte senatore e tre volte candidato alla presidenza che ha lavorato in politica per tutta la sua vita. Per sconfiggere un presidente in carica che non si piega ai fatti, alla verità e alla realtà, Joe Biden sta cercando di tenere insieme un centro che potrebbero non esistere più nello scenario politico americano e salvare il Paese prima che si spacchi definitivamente in due. 

Sulla carta, Biden entra nell’ultimo tratto di questa campagna elettorale in una posizione di vantaggio che mai nessuno sfidante per la presidenza ha mai avuto. Il suo avversario non ha mai raggiunto il 50% di approvazione. Sotto Trump, in pochi mesi il COVID-19 ha vaporizzato il PIL nazionale facendolo crollare del 33% e fatto perdere 20 milioni di posti di lavoro, cancellando tutti i posti di lavoro ricreati dopo la crisi finanziaria del 2008. L’animosità profonda che moltissime persone – tra cui anche molti democratici – provavano per Hillary Clinton non sembra applicarsi a Biden. La voglia tra i democratici di sconfiggere Trump è così forte che Biden e la sua vice, la senatrice Kamala Harris, prima donna nera in quel ruolo, hanno raccolto 364 milioni di dollari di donazioni solo ad agosto, un nuovo record. La demografia del Paese avvantaggia Biden. Il partito Repubblicano ha vinto il voto popolare in un’elezione presidenziale solo due volte negli ultimi 32 anni. Senza il collegio elettorale, due tra i presidenti più distruttivi della storia recente, George W. Bush e Donald Trump, non sarebbero stati eletti. 

Ma il collegio elettorale esiste, e ciò significa che Biden non può permettersi una vittoria sulla lama del rasoio nel voto popolare e una ripetizione del 2016 o del 2000. In termini pratici, la sfida di fronte a Biden non è solo galvanizzare gli elettori più affidabili del suo partito in città come Milwaukee, Detroit e Philadelphia, ma anche vincere tra gli elettori neri nelle periferie e nelle contee rurali dove Trump ha sconfitto Clinton quattro anni fa. 

Con questi elettori Biden tocca i valori tradizionali e il patriottismo più di qualsiasi proposta politica precisa. Dal giorno in cui si è candidato 18 mesi fa, ha promesso di “restaurare l’anima della nazione” e ridare decenza alla preidenza. La sua campagna ha svelato proposte ambiziose sull’energia pulita, la transizione ecologica, le case popolari, la diminuzione della forbice di reddito tra bianchi e neri, ma non ha mai menzionato nessuna di queste cose nei suoi discorsi. Il messaggio che anima la sua candidatura è il ritorno a un’era più gentile, calma e pacifica – ed è una forma di pensiero magico, un rito nostalgico per riavere indietro un’era che è finita.

Di fronte alla strategia di Trump che consiste nel mobilitare la sua base di sostegno più leale, Biden sta facendo appello a un pubblico più ampio e cercando di dare l’impressione che il partito Democratico sia la nuova casa degli elettori repubblicani disillusi da Trump e degli indipendenti. Alla convention nazionale dei democratici l’ex governatore repubblicano John Kasich, un convinto antiabortista che odia i sindacati, ha parlato fianco a fianco alla stella della sinistra del partito Democratico Alexandria Ocasio-Cortez.

La Florida, lo stato più importante nelle prossime elezioni, illustra bene sia i lati positivi che quelli negativi dell’approccio di Biden. Steve Schale, stratega politico che lavora per i democratici in Florida, afferma che Biden ha più sostegno di quanto ne avesse Clinton nel 2016 tra gli elettori bianchi con un’istruzione universitaria e tra le elettrici bianche senza laurea, ma ne ha di meno nella comunità ispano-americana. Vincere in Florida, spiega Schale, dipenderà tutto da contee come Pasco, una periferia di Tampa dove abita un milione di persone e dove un candidato democratico non vince dal 2000. Biden quasi certamente non vincerà a Pasco, tutto sta nel vedere di quanto perderà. Barack Obama perse di 8000 voti nel 2008 e di 14000 nel 2012; Clinton di 52000. “In un posto come Pasco, faremo il risultato che fece Obama? No”, afferma Schale. “Ma se riusciamo a riprenderci 3-4 punti percentuali, è già tanto”.

La stessa cosa può valere per posti come il Michigan, la Pennsylvania, il Wisconsin, dove le vittorie ottenute da Trump nelle periferie e nelle aree rurali nel 2016 avevano cancellato le vittorie di Clinton nelle città. In Wisconsin la periferia di Milwaukee che un tempo era una solida base repubblicana si è spostata a sinistra, afferma Charles Franklin, sondaggista della Marquette University. Ciò è in parte dovuto all’estremismo di Trump, ma è anche il risultato del lavoro sul campo fatto dai democratici. La sfida per Trump è ricreare il sostegno invisibile ai sondaggi nelle zone nord e ovest del Wisconsin – che nel 2016 gli hanno dato un grande vantaggio ma che nelle elezioni per il governatore del 2018 hanno sostenuto i democratici – senza allo stesso tempo concedere troppo ai democratici nelle contee suburbane.

Il rischio che Biden deve affrontare con il suo approccio centrista è quello di respingere i giovani progressisti e gli afroamericani, che vogliono qualcosa di più che promesse di un cambiametno strutturale e appelli a restaurare l’anima di un Paese che non li ha mai trattati bene. Quest’estate ho incontrato il sondaggista democratico Cornell Belcher, che ha lavorato nelle due campagne di Obama. Da una parte, afferma Belcher, uno spostamento di voti ingente verso Biden nelle aree suburbane potrebbe riallineare i due maggiori partiti poltici e portare a un esodo di elettori moderati dal partito Repubblicano simile a quello dei voti democratici del sud andati ai repubblicani negli anni Settanta e Ottanta. Ma si è detto anche preoccupato della capacità di Biden di galvanizzare quella base elettorale diversa, multigenerazionale e interclassista che ha portato Obama alla Casa Bianca.

“Se guarid Biden oggi, vedi che non ha l’appeal di Obama tra gli elettori sotto i 35 anni, tra i latinoamericani e i neri”, afferma Belcher. “Questa elezione non può essere solo contro Trump. Devi dare alla gente qualcosa per cui votare”. 

Karen Finney, consulente che ha lavorato per la campagna di Clinton nel 2016, mi ha detto che la scelta di Biden di Kamala Harris come sua vicepresidente servirà a mobilitare la base elettorale democratica. Ma Biden non può fermarsi lì nel fare appello a quegli elettori, e non può dare per scontato che quella base elettorale andrà a votare in massa. “La più grande lezione che ho imparato dal 2016 è che non bisogna dare niente per scontato e che i tradizionali modelli che pensavamo di conoscere non valgono più, specialmente con il coronavirus”, mi ha detto Finney.

Almeno per ora, i democratici sembrano essere più uniti dietro il loro candidato di quanto non fossero quattro anni fa, e sembrano avere più voglia di cacciare Trump dalla Casa Bianca. Franklin, il sondaggista del Wisconsin, fa notare che nel suo stato ci sono meno elettori incerti del 2016 e che i supporter di Sanders si sono messi a sostenere Biden, qualcosa che non avevano fatto con Clinton. 

 

In Pennsylvania, il partito Democratico ha la possibilità di riguadagnare il controllo di entrambe le camere dello Stato, e questa possibilità ha infuso energie in attivisti e donatori. Il che, secondo Joe Corrigan, consulente del partito Democratico di Philadelphia, dovrebbe migliorare la posizione di Biden. “Il vero tema qui è che i democratici sono uniti come non erano mai stati in passato,” afferma. “Non si fanno più fregare dai repubblicani. Riconoscono che i repubblicani sono complici di Trump”.

La risposta di Trump finora è stata provarle tutte e vedere cosa funziona. La sua campagna e i suoi alleati hanno cercato di dipingere Biden contemporaneamente come un vecchio con la demenza senile in mano all’establishment e come un pericoloso socialista. Ultimamente Trump ha cercato di corteggiare gli elettori suburbani chiamando Biden “il candidato più di sinistra della storia” che vuole “abolire la polizia”. Ma questi attacchi si basano su una visione datata di chi sono gli elettori suburbani americani e mentre i sondaggi subito dopo la convention mostravano un’elezione in bilico, ci sono poche prove a sostegno del fatto che la strategia di Trump stia funzionando. 

La campagna di Biden scommette sul fatto che gli elettori vedano le tattiche di Trump per quello che sono – un tentativo disperato di distrarli dai fallimenti della sua amministrazione. In altre parole, conta sul fatto che i fatti, la pandemia siano qualcosa di troppo viscerale e spaventoso da cancellare sotto la realtà alternativa proposta da Trump. “È molto difficile convincere le persone che va tutto bene quando i loro figli sono a casa e loro non vanno a lavoro e c’è una crisi profonda che il presidente vuole ignorare”, afferma Ben Wikler, segretario del partito Democratico in Wisconsin. “È raro che ci sia un collegamento così diretto tra l’esperienza di tutti i giorni degli americani e le azioni del presidente”.

Verrà ricordata come una delle immagini più esemplificative della presidenza Trump. L’ultima notte della convention repubblicana, circa 1500 trumpisti, per la maggior parte senza mascherina, si sono riuniti alla Casaa Bianca. Hanno ascoltato Trump raccontargli di come la sua amminsitrazione ha affrontato una grave crisi, presiedendo alla “più grande mobilitazione nazionale dalla seconda guerra mondiale” per sconfiggere “un nemico invisibile” e dare l’esempio al resto del mondo. 

Guardando quello spettacolo, ho pensato a una cosa che Rush Limbaugh, per decenni la voce dell’america repubblicana, aveva detto nel 2009. Limbaugh aveva spiegato ai suoi ascoltatori che loro e i loro avversari vivevano “in due diversi universi”. Uno dei due, aveva detto, “è una menzogna. Tutto ciò che la sinistra gestisce o controlla nel mondo è falso”. L’altro universo, quello in cui viveva il suo pubblico, è “quello dove regna la realtà. E di rado questi due universi si sovrappongono”.

Limbaugh aveva ragione, anche se al contrario. Per molti americani il 2020 è stato un anno orribile, un incubo di lockdown e disoccupazione, infezioni e sfratti, confusione e disperazione e morte. Ma alla Casa Bianca quell’ultima sera di convention c’era solo gioia, un senso di soddisfazione, e uno show di fuochi d’artificio degno del 4 luglio per sottolinearlo. Quel giorno, 1129 americani erano morti di coronavirus.

Quello che sappiamo di Trump ci suggerisce che se Biden dovesse vincere, Trump non accetterebbe la sconfitta pacificamente – non se avesse una scusa, per quanto tirata, per mettere in dubbio il risultato. Proprio come sta vendendo una realtà alternativa ai suoi sostenitori riguardo a quello che ha ottenuto da presidente, non c’è niente che gli impedisca di ordinare alla sua falange di avvocati di presentare ricorsi su ricorsi mettendo in dubbio il conteggio dei voti e nel frattempo di incoraggiare la sua base elettorale a non accettare il risultato delle elezioni. 

La strategia di Trump per farsi rieleggere suona molto meno audace e campata in aria se pensiamo che probabilmente a questo punto un buon terzo del Paese non crede a quello che vede o che sente a meno che non venga da Fox News o da altri pilastri della camera dell’eco trumpiana, o dallo stesso Trump. Ricordate sempre: un miliardario di New York con tre matrimoni alle spalle e una lunga storia di bancarotte e menzogne è riuscito a presentarsi come il candidato dell’uomo qualunque. Il partito di Trump – perché ha scalato definitivamente il partito Repubblicano – nega il cambiamento climatico e ha trasformato la più semplice precauzione sanitaria, indossare una mascherina, in una battaglia politica, preferendo rischiare di ammalarsi e morire se si tratta di opporsi ai liberal e sostenere il presidente. Sempre più candidati del partito Repubblicano sono sostenitori di QAnon, l’enorme teoria del complotto secondo cui una cricca di pedofili governerebbe il mondo. Una di loro, Marjorie Taylor Greene, candidata in Georgia, probabilmente vincerà.

Trump è dunque il candidato perfetto per quello che sono diventati i repubblicani. Tony Schwartz, coautore del più famoso libro di Trump, The Art of the Deal, ha detto che Trump ha vissuto in una bolla per talmente tanto tempo che “da per scontato di poter fare qualsiasi cosa voglia, quando vuole, senza subire le conseguenze delle sue azioni”. Ciò che rende Trump pericoloso, secondo Schwartz, è che lui stesso crede alle sue bugie. “Ha una capacità infinita di mentire a se stesso, e una capacità infinità di mentire agli altri”.

Con milioni di americani che voteranno per posta in mezzo a una pandemia, Trump ha lanciato un attacco al voto per posta dicendo che causerà “brogli e abusi” (non ci sono prove a sostegno di queste affermazioni). Ha anche considerato l’idea di posporre le elezioni, una cosa che a norma di legge non può fare, e incoraggiato i suoi sostenitori a votare due volte – una volta per posta e una volta di persona – per mettere alla prova “il sistema”. Non è difficile immaginare uno scenario in cui Trump emerge vincitore all’inizio dello spoglio nella notte delle elezioni, per poi vedere il suo vantaggio ridursi man mano che vengono contati i voti per posta, e quel punto incita i suoi sostenitori a protestare allo stesso modo in cui li aveva incitati a “liberare” gli Stati a guida democratica che avevano preso precauzioni contro il coronavirus, portando milizie armate di suoi sostenitori a presentarsi di fronte ai palazzi governativi degli Stati in questione. 

Gli attacchi di Trump al voto rappresentano “un pugnale puntato al cuore della democrazia”, afferma Steven Levitsky, uno scienziato politico e professore ad Harvard. “Se qualcuno continua a insinuare dubbi al riguardo per quattro anni e convince il 35, il 40 o il 45 percento della popolazione che le elezioni sono truccate, il danno è incalcolabile”.
 
I primi quattro anno di presidenza Trump l’hanno visto comportarsi come un test per il corpo politico americano, un test che ha spinto la nostra democrazia fino al punto di rottura. Oggi, quel corpo politico è a rischio. La posta in ballo nel 2020 è più grande di decidere semplicemente chi occuperà la Casa Bianca per i prossimi quattro anni. La democrazia, la legge, la realtà stessa e forse anche il destino del pianeta sono in discussione. Dal punto di vista della Storia, quattro anni di Trump possono diventare una semplice aberrazione. Otto anni della sua presidenza sarebbero qualcosa di molto diverso.

Questo articolo è apparso originariamente su Rolling Stone US