Fame, propaganda, sorveglianza di massa: la disperazione degli italiani intrappolati a Shanghai | Rolling Stone Italia
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Fame, propaganda, sorveglianza di massa: la disperazione degli italiani intrappolati a Shanghai

Alcuni italiani stanno raccontando il lockdown surreale che, da circa due settimane, ha trasformato Shanghai in una città distopica e dall’atmosfera cupissima, lontana dai fasti della "Parigi d'Oriente" e più simile alla metropoli fittizia di un romanzo di Philip K. Dick

Fame, propaganda, sorveglianza di massa: la disperazione degli italiani intrappolati a Shanghai

Foto di Hector Remal/AFP via Getty Images

Urla di disperazione dai grattacieli, sorveglianza di massa iper pervasiva, tentativi di sfondamento dei cordoni di sicurezza, nei casi più estremi addirittura suicidi: è questo il clima surreale che, da circa due settimane, ha trasformato Shanghai in una città distopica e dall’atmosfera cupissima, lontana dai fasti della  “Parigi d’oriente” e più simile alla metropoli fittizia di un romanzo di Philip K Dick.

Nell’ottica di contenere i danni generati dall’ondata di contagi più grave dai tempi di Wuhan (28mila nella sola giornata di ieri), nella capitale economica cinese più di 25 milioni di persone sono rinchiuse in casa, in gran parte dei casi quasi prive di cibo e acqua.

Le carenze di generi di prima necessità sono direttamente connesse alle criticità strutturali di una città estesissima (più di 6340 chilometri quadrati, quasi cinque volte la superficie di Roma) e dalla densità di popolazione altissima (4 709 abitanti per chilometro quadrato); infatti, anche se il governo ha provato a prendere le adeguate contromisure, le consegne di razioni avvengono soltanto di rado, dato che raggiungere una piena efficienza nelle consegne in un contesto urbano così ampio e popolato è difficilissimo.

Negli ultimi giorni, come da previsioni, l’apparato di sorveglianza cinese –  il più avanzato al mondo – sta mostrando più che mai i muscoli: alcuni cani-robot muniti di megafono pattugliano le strade invitando gli abitanti a rimanere in casa, lavarsi le mani e controllare la temperatura, mentre i droni hanno colonizzato i cieli di Shanghai lanciando messaggi allo scopo di tranquillizzare la popolazione, all’insegna di slogan come «Controllate il desiderio di libertà della vostra anima».

Per garantire il rispetto delle misure di contenimento, il governo ha inviato l’esercito in alcune zone di Shanghai: in particolare, l’attenzione dei militari è rivolta ai campi di isolamento centralizzati, delle strutture realizzate appositamente per le quarantene. Com’è possibile notare da alcuni video diffusi sui social, i metodi impiegati dalle forze dell’ordine sono parecchio severi: il pugno duro è all’ordine del giorno, e non è raro osservare ufficiali richiamare all’ordine quei cittadini che si rifiutano di rispettare le regole, anche nel caso in cui non stiano indossando le mascherine all’aperto nelle aree comuni dei loro complessi abitativi – per farlo, lo strumento più utilizzato è un grosso bastone simile a una forca, impiegato per costringere chi si rifiuta di obbedire a fare rientro nella propria abitazione. 

Nei centri di detenzione, le condizioni igienico-sanitarie sono pessime: a documentarlo è stato un nostro connazionale, il musicista e producer italiano Alessandro Pavanello, che ha postato alcune storie Instagram particolarmente preziose; pochi secondi che offrono un punto di vista privilegiato sul reale stato dei padiglioni: le persone dormono in gruppi di 4 e le strutture sono sprovviste di docce; per l’igiene personale bisogna aggiustarsi con quello poco che si ha a disposizione e con un secchio che viene fornito a ogni “ospite”, insieme a un po’ di sapone. Dormire è difficile, perché le luci non vengono mai completamente spente e perché il “vicino di letto” guarda video a tutto volume fino a tarda notte. Una nota positiva è il cibo che non manca mai: ci sono ben 3 pasti al giorno, mentre paradossalmente le persone che si trovano chiuse in casa hanno difficoltà a reperire da mangiare.

Anche Claudio Prataviera, un ristoratore 38enne che vive a Shanghai, ha vissuto in prima persona la quotidianità dei centri di detenzione: intervistato da Open, Prataviera ha raccontato la sua esperienza all’interno degli hangar: la sua Odissea ha avuto inizio il 27 marzo quando, prima di prendere un aereo, è risultato positivo al covid: «Mi hanno detto di stare a casa, peccato che qualche giorno dopo, all’improvviso, mi hanno detto “passiamo a prenderti, fatti una valigia in 20 minuti e ti portiamo in ospedale”», ha raccontato a Open. Il trasferimento in ospedale è arrivato tre giorni dopo: «Avevo un herpes agli occhi, fortissimo, e loro non avevano medicinali per curarmelo. Da qui la decisione di chiamare il consolato italiano e di chiedere aiuto». In ospedale, però, è restato appena tre ore. Subito dopo, infatti, è stato trasferito ancora una volta in un’altra struttura, più piccola, «più vicina al centro della città, dove la situazione era sostanzialmente la stessa» e dove «non c’erano neppure finestre». «Sembrava di stare in un teatro con le luci da stadio. Non dicevano nulla sul mio stato di salute, si limitavano a un “devi aspettare”, “non so”. Ma la cosa più assurda è che l’unico “agitato” ero io, gli altri sembravano accettassero questa situazione».

Sempre nell’intervista concessa a Open, Prataviera ha confermato le criticità che Shanghai sta riscontrando nella somministrazione di generi di prima necessità: «Bisogna far in fretta quando uno store è aperto, altrimenti si rischia di non trovare nulla. Per carità, nessuno sta morendo di fame, il governo ogni tanto manda pollo, anatre, verdure e riso a casa, ma c’è difficoltà a cercare cibo. Poi i prezzi sono aumentati, i delivery introvabili. Siamo arrivati al punto che qualcuno scambia le uova per altro… come carne o olio».

 

La drammaticità della situazione sta concedendo qualche spiraglio anche alla disinformazione: ad esempio, la diffusione di un video circolato nelle scorse ore – che mostrava l’uccisione di un cane con alcune bastonate – aveva indotto qualche fonte a ritenere che i cinesi stessero adottando una sorta di soluzione finale contro tutti gli animali domestici, perché ritenuti  erroneamente vettori di contagio; in realtà, come ha spiegato Butac, da nessuna parte sono state date indicazioni di uccidere gli animali a causa della pandemia: si tratta di un caso isolato, per il quale sono già state inviate scuse pubbliche da parte dell’amministrazione.

In ogni caso, il caos imperante a Shanghai è un duro colpo per la reputazione della Cina, che negli ultimi due anni non ha perso occasione per elogiare gli effetti positivi della sua strategia “Zero-Covid”.

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