E vissero per sempre senza figli e contenti | Rolling Stone Italia
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E vissero per sempre senza figli e contenti

Negli Stati Uniti il fronte dei ‘child-free’ solleva una questione non solo esistenziale, pure politica. E si fa promotore di un dibattito che coinvolge anche Alexandria Ocasio-Cortez. E arriva fino a noi (che stiamo benissimo da soli)

E vissero per sempre senza figli e contenti

Foto: Ricardo Moura/Unsplash

Non ricordo un singolo momento della mia vita in cui abbia desiderato un figlio. Non ho mai posseduto il madre-factor, nemmeno da piccola – amavo cambiare vestiti alle Barbie, non il pannolino a Sbrodolina – e non ho mai cambiato idea. A causa di (o grazie a) una pillola del giorno dopo presa in via emergenziale da ragazzina che mi fece vedere i sorci verdi, ho preferito affidare la mia contraccezione alla chimica anziché a salti della quaglia o a preservativi poco resistenti: così facendo, mi sono risparmiata – e ho fatto risparmiare al Servizio Sanitario Nazionale – uno o più eventuali aborti. Ho calcolato che, per prevenire una gravidanza indesiderata, spendo venti euro al mese da ventidue anni, per un totale di oltre cinquemila euro, tutti interamente a mio carico poiché la pillola anticoncezionale non è mutuabile (tenete a mente i cinquemila e rotti euro, poi ci torniamo).

Gli americani, che hanno una parola per ogni cosa, mi definirebbero child-free per differenziarmi dagli anti-natalist, ossia da coloro che reputano in generale «moralmente sbagliato» avere un figlio per tutta una serie di motivi. Secondo un sondaggio del Social Science Research Network, il 39% dei diecimila intervistati – appartenenti alla Generazione Z – si dichiara «esitante» di fronte alla procreazione per paura dell’apocalisse climatica, istanza portata avanti anche dalla loro paladina Alexandria Ocasio-Cortez. Altri, magari meno sensibili di fronte a catastrofi ambientali e simili, s’aggrappano a questioni più contingenti: le guerre, il razzismo, la criminalità, le disuguaglianze sociali, leggi maggiormente restrittive sull’aborto. Il succo rimane però il medesimo: ha senso mettere al mondo una vita, in un mondo che sta procedendo ad ampi passi verso lo sfacelo? Dato che si tratta di una vita destinata a soffrire, non sarebbe meglio accantonare il proprio egoismo, insieme all’istinto genitoriale?

In Italia, secondo il report dell’Istat sugli indicatori demografici 2020, si fanno sempre meno figli: il numero medio per donna (ebbene sì, in questo articolo si dà per scontato che la biologia esista e che a partorire siano le donne) risulta pari a 1,24, il livello più basso dal 2003. Non che altrove vada meglio: la media europea nel 2019 era di 1,53, in leggero calo rispetto al picco di 1,57 raggiunto nel 2007. Negli Stati Uniti lo scorso anno il numero di decessi ha superato quello delle nascite in venticinque stati; il tasso di matrimoni è ai minimi storici – il 56% dei Millennial non è sposato –; a San Francisco ci sono più cani che bambini. E la child-freedom ha creato un suo personalissimo gergo: brant, che sta per breeder rant, le spacconate su quanto sia meravigliosa la vita con bambini che le persone senza figli si sorbiscono da parte di quelli con. Mombie, la mamma-zombie consumata e stremata, persa nella terra dei pannolini, dei rigurgiti, dei vomiti e delle cacche. THINKER, l’acronimo di Two Healthy Incomes No Kids Early Retirement, letteralmente «due redditi sani, niente bambini, pensionamento anticipato», quindi coppie nullipare benestanti che a una certa decidono di mollare il lavoro e godersi la vita. Bingo-ing, le domande (inopportune) a cui i child-free sono ormai abituati: «E se tuo figlio trovasse una cura per il cancro?»; «E se poi te ne penti?»; «Chi si prenderà cura di te quando sarai vecchio?».

Fino a non tantissimo tempo fa, la riproduzione era considerata il fine ultimo – e insieme il più importante – dell’esistenza umana. Donne e uomini desideravano avere dei bambini, e non riuscire a concepirli li poneva in automatico un gradino sotto la “normalità”: la continuità della specie d’altronde dipende da questo, siamo «biologicamente programmati» per andare incontro a un destino di svariati accoppiamenti (il che spiega perché la monogamia rappresenti un costrutto sociale che rema contro la nostra stessa natura, ma non divaghiamo). Certo, donne e uomini pretendevano però anche altre cose oltre a maternità e paternità, e la grande sfida post-femminista era appunto come fare ad avere tutto: il giusto equilibrio tra lavoro e privato; uno o più figli; una carriera; degli amici; una relazione stabile; una vita sociale; un pizzico d’avventura. Poi, qualcosa s’è incrinato fino a rompersi: la domanda, adesso, non è più «come fare ad avere tutto», bensì «perché dovrei volere tutto?». Le nostre vite sono già abbastanza difficili ed estenuanti, le gioie arrivano col contagocce, realizzarsi in quanto singoli individui in grado di contare sulle proprie forze e capacità è massacrante: date le premesse, ha senso aggiungere il carico da novanta di un bambino? Per un numero crescente di persone, la risposta è «assolutamente no».

Negli Stati Uniti, dove ogni cosa si trasforma in una questione di principio, si sta assistendo a un fenomeno bizzarro, come racconta Suzy Weiss su Common Sense: un netto aumento dei giovani che si sottopongono volontariamente a vasectomie e sterilizzazioni tubariche – cioè permanenti – entro i trent’anni. Nel 1976, il Department of Health Education and Welfare ha sviluppato un protocollo per le sterilizzazioni finanziate da Medicaid per prevenire ulteriori procedure coercitive o non consensuali: è vietata la sterilizzazione di donne di età inferiore a ventun anni e di donne con disabilità mentali; è obbligatorio l’utilizzo di un modulo di consenso standardizzato; devono trascorrere trenta giorni tra la firma del modulo di consenso e l’operazione. Tuttavia, molti chirurghi si rifiutano di sterilizzare giovani donne senza figli perché alcuni studi indicano alti tassi di pentimento post-intervento, dunque trovare un medico disposto a eseguire la chiusura o legatura delle tube potrebbe non rivelarsi semplice (aperta parentesi: gli uomini americani, scrive Dianne Lalonde su The Conversation, non devono combattere le stesse perplessità e opposizioni se richiedono una vasectomia, a qualsiasi età).

Il dubbio resta lecito: quand’è “anagraficamente giusto” rivendicare il proprio diritto a essere sterilizzati? Chi stabilisce che per la me venticinquenne fosse troppo presto? Le persone che sghignazzavano se dicevo che non avrei mai accondisceso il desiderio di un uomo di diventare padre, piuttosto sarei rimasta sola? In Italia, la legge 194/78 pone le basi giuridiche a favore della liceità della sterilizzazione tubarica e della vasectomia volontarie, riconoscendo ai cittadini «il diritto alla procreazione cosciente e responsabile» e depenalizzando gli atti intesi a produrre incapacità a procreare. Sterilizzazioni tubariche e vasectomie che, nel nostro Paese, sono i sistemi contraccettivi meno usati (italiani, popolo con una tra le più basse incidenze di contraccezione in Europa) e la cui legittimità – in assenza di indicazioni strettamente terapeutiche – è oggetto di un dibattito d’ordine etico, deontologico e giuridico. La 194 infatti non è chiara e specifica in merito, nonostante la giurisprudenza recente indichi la liceità delle procedure e il Servizio Sanitario Nazionale ne riconosca l’appropriatezza del ricovero, sia in regime ordinario che di day surgery, prevedendone la relativa remunerazione in specifici DRG.

Senza urlare al complotto, è chiaro che l’idiosincrasia tutta italiana nei confronti della sterilizzazione e della contraccezione obbedisce a ragioni non solo etico-religiose, ma pure economiche: io child-free faccio girare meno soldi di una persona con uno o più figli, che riproducendosi assicura futuri consumatori al nostro sistema capitalistico. O forse no. Fosse stato per me, avrei preferito di gran lunga farmi legare le tube gratuitamente in ospedale e risparmiarmi sia il bombardamento di estrogeni e progestinici, sia i cinquemila e rotti euro (ricordate? Ecco che ritornano) spesi per i suddetti ormoni – che sono destinati a lievitare fino a data da destinarsi, menopausa permettendo. Li avrei certamente reinvestiti – guarda caso l’adorata Chanel 11.12 in pelle nera costa circa quella cifra, euro più, euro meno – e avrei vissuto così, come sogno sin dall’adolescenza: per sempre senza figli, contenta e con una borsa della madonna.

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