È già passato un anno | Rolling Stone Italia
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È già passato un anno

365 giorni fa, i primi casi di coronavirus a Codogno e Vo' Euganeo. A distanza di un anno, cosa abbiamo imparato?

È già passato un anno

MIGUEL MEDINA/AFP via Getty Images, collage via YouTube

Questo fine settimana, a Codogno è stato inaugurato un memoriale in ricordo delle vittime del Covid-19. A Vo’ Euganeo, il piccolo comune in provincia di Padova diventato l’altro primo focolaio italiano del coronavirus, è stato piantato un ulivo commemorativo. Il sindaco di Codogno ha invitato i cittadini a “stringere i denti” in attesa del vaccino. “È stato un anno veramente difficile, sia dal punto di vista sociale che economico”, ha detto quello di Vo’. Un anno, sì. 365 giorni fa, dopo averlo osservato da lontano per circa due mesi, dopo gli episodi di razzismo verso i cinesi, il coronavirus arrivava ufficialmente in Italia, rilevato nel tampone di Mattia Maestri, il famoso “paziente 1”, che a distanza di un anno dice di voler “solo dimenticare”. 365 giorni dalle prime code ai supermercati, 365 giorni dai ragazzi di Vo’ che intervistati alla tv all’ora dell’aperitivo dicono di non essere preoccupati, “noi abbiamo l’alcol che ci protegge”.

Nei giorni successivi, nella zona del lodigiano sarebbero stati trovati rapidamente centinaia di altri casi di coronavirus. Il 23 febbraio sarebbe stato scoperto il primo caso in provincia di Bergamo e ci sarebbe stata la famosa chiusura e poi riapertura del pronto soccorso di Alzano Lombardo, episodio che ha probabilmente causato il disastro sanitario che ha portato la val Seriana e la provincia di Bergamo a diventare il punto più caldo al mondo per l’epidemia. 365 giorni dopo, i casi di coronavirus in Italia sono quasi 3 milioni, i morti sono 95.718. Ma quel senso di shock, di panico che avevamo addosso nei giorni immediatamente successivi alla scoperta dei primi casi italiani a Codogno e Vo’ Euganeo non c’è più. Migliaia di casi e centinaia di morti al giorno non sono in grado di sconvolgerci quanto ci hanno sconvolto quei pochi casi, un anno fa. Ci siamo abituati. 

È già passato un anno dalla crisi più grave che il Paese abbia attraversato dal dopoguerra ad oggi. Una crisi fatta prima di diniego (ricordate #MilanoNonSiFerma?) e incompetenza, di misure quasi draconiane come il lockdown totale con multe e autocertificazioni, di paura e suggestioni di mobilitazione totale. Ma, sopratutto, 365 giorni di una crisi fatta di un fondamentale conflitto tra economia e salute pubblica. A partire dalla mancata zona rossa in val Seriana, con il sospetto che non sia arrivata per le pressioni degli industriali locali, e dal caso del pronto soccorso di Alzano, per cui la Procura di Bergamo ha iscritto nel registro degli indagati l’ex direttore generale della sanità lombarda Luigi Cajazzo. Un conflitto inevitabile e ancora presente nelle continue discussioni e compromessi tra governo e regioni sull’attuale sistema a zone colorate, sui parametri che lo regolano. Un conflitto che il governo Conte bis aveva gestito in modo sicuramente non perfetto ma nemmeno così tragico, almeno in prima battuta, logorandosi però sul lungo periodo. 

365 giorni dopo, si può dire che la prima fase della pandemia in Italia si sia definitivamente conclusa. Non c’è più quel senso di paura diffusa, ma ci siamo abituati a quella “nuova normalità” di cui parlavamo lo scorso marzo. L’assetto politico è cambiato, con la crisi aperta da Renzi, la fine dell’esperienza Conte, l’insediamento di un Draghi che è stato incensato dalla stampa come il padre della Patria ma che ha lasciato non pochi dubbi fin dal primo momento in cui ha presentato la sua squadra di ministri. L’inizio della tanto attesa campagna vaccinale, anche se con tutti i ritardi del caso. Addirittura, Salvini ieri ha chiesto a Draghi di licenziare Domenico Arcuri, il Commissario straordinario per l’emergenza coronavirus che è stato uno dei protagonisti degli ultimi 365 giorni: “Basta con gli annunci che seminano paura, rimettiamo al centro salute e lavoro, libertà e vita”.

La volontà di riaprire e di ricominciare è sempre più diffusa nel Paese, come si è visto anche dalle proteste anti-restrizioni dello scorso inverno e dalle più recenti proteste dei ristoratori. In parte è perché 365 giorni dopo siamo stremati – tutti mentalmente, tanti anche dal punto di vista economico. In parte è perché abbiamo meno paura di prima. Ma di certo c’è che la situazione della pandemia, dal punto di vista dei meri numeri, è ancora grave: in questi 365 giorni, fatto salvo un breve periodo estivo, il sistema sanitario nazionale è stato tenuto perennemente sotto pressione da un numero di nuovi casi sempre piuttosto alto, e con il numero dei morti che non è mai arrivato a zero. Ieri i nuovi casi erano 13.452, i morti 232, il numero delle terapie intensive +132. Insomma, è già passato un anno. E 365 giorni dopo, di certo c’è che la “guerra contro il Covid” non è stata la blitzkrieg che ci aspettavamo, ma una guerra di logoramento e di lunga durata.