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Dopo il carbone, la plastica

Secondo un nuovo report, la produzione di plastica è il piano B delle aziende petrolifere , ed entro il 2030 supererà il carbone come prima causa dei cambiamenti climatici

Christopher Pike/Bloomberg/Getty Images

Chiunque sia abbastanza consapevole da comprendere la gravità della crisi climatica in atto probabilmente sa già che gli oceani del mondo sono la destinazione finale della plastica e che le bottiglie, i sacchetti di plastica e gli imballaggi stanno strangolando l’ambiente. 

Ma la mia sensazione è che se ne parli troppo poco. La plastica e la crisi climatica sono spesso considerate due cose separate. La crisi climatica ci fa parlare di cose come l’impronta ecologica, l’impatto dei prezzi del gas naturale e il consumo di carbone. La plastica ci fa parlare del riciclaggio e delle tartarughe che muoiono per i sacchetti della spesa. Ma raramente si mettono in comunicazione le due cose. 

Un nuovo report di Beyond Plastics, iniziativa del Bennington College per ridurre l’inquinamento da plastica, punta a cambiare questa situazione. “Vediamo che il mondo si prepara alla COP [la conferenza dell’ONU sul clima] di Glasgow e vediamo che i Paesi discutono di politiche sul clima”, afferma Judith Enck, presidente di Beyond Plastics. “Il nostro scopo con questo report è di far entrare la plastica in quelle discussioni – perché è il posto dove deve stare”.

Potrebbe funzionare. Il report è il primo studio sull’impatto complessivo della plastica sul clima, frutto dell’analisi di dati disponibili al pubblico su 10 stadi della produzione, dell’uso e dello smaltimento della plastica. I risultati sono sconvolgenti. Ecco alcune delle cose che sono emerse: 

La plastica si produce a partire dai combustibili fossili. La materia prima più richiesta è il gas naturale, le cui molecole vengono rotte in appositi impianti e riassemblate per ottenere un po’ di tutto, dalla tastiera con cui sto scrivendo alla montagna di bottiglie di plastica alta 30 metri che una volta ho visto su una spiaggia a Lagos, in Nigeria. Le aziende petrolifere come la ExxonMobil hanno anche enormi interessi nel settore della plastica – interessi che stanno ulteriormente aumentando. 

Secondo Enck, il progetto a medio termine dell’industria petrolifera, di fronte alla transizione a forme di energia più pulite e meno costose e di fronte all’obbligo di ridurre le emissioni, è quello di spostare le proprie operazioni nel settore della plastica. “Stanno perdendo soldi con l’energia e l’ascesa delle auto ellettrice”, afferma, “quindi sottotraccia hanno già cominciato a investire miliardi in una branca petrolchimica che poche persone conoscono, salvo le comunità direttamente coinvolte”.

Come sottolinea il report, l’impatto sulla salute delle emissioni prodotte dall’industria della plastica è più grave per le comunità più povere – il 90% di tale inquinamento negli Stati Uniti riguarda 18 comunità sulla costa della Louisiana e in Texas. Le persone che vivono nei pressi di tali impianti petrolchimici guadagnano il 28% in meno della media americana e sono spesso nere.

Anche lasciando perdere il clima, la lotta di queste comunità per l’aria e l’acqua pulita è una lotta di Davide contro Golia. Nella città di Corpus Christi, Rolling Stone ha documentato come i residenti stiano cercando di fermare la costruzione di un nuovo impianto petrolchimico della Exxon tagliandogli l’accesso alla rete idrica. Per capire come si sentono gli abitanti di queste comunità, prendetevi qualche minuto per guardare questo video di Yvette Arellano, fondatrice di Fenceline Watch, un gruppo per la giustizia sociale e ambientale del Texas. 

Ma l’impatto della plastica è globale. Come ha scritto tempo fa Tim Dickinson su Rolling Stone in Plastic Planet, la sua indagine su come la plastica ha cambiato la vita moderna, ogni essere umano sulla terra ingerisce circa 2000 particelle di plastica ogni settimana. “Per quanto riguarda i rifiuti plastici, siamo ben oltre il punto di non ritorno della crisi”, ha detto a Dickinson l’ex senatore del New Mexicco Tom Udall. 

Il report di Beyond Plastics sfata anche le affermazioni dell’industria per quanto riguarda il riciclo. Il riciclaggio infatti negli Stati Uniti è bloccato da tempo alla percentuale del 9%. Oggi l’industria della plastica sta promuovendo il “riciclaggio chimico”, un termine usato per descrivere la trasformazione dei rifiuti plastici in combustibile. Al momento ci sono pochi impianti di riciclaggio chimico attivi negli Stati Uniti, ma entro il 2025 i nuovi impianti produrranno 18 milioni di tonnellate di gas serra l’anno – l’equivalente di 9 impianti a carbone. 

Enck prevede che l’industria petrolchimica metterà in dubbio i numeri contenuti nel report e affermerà che dato che la plastica è più leggera di altri materiali è più facile da spedire e quindi meno impattante sul clima. “È quello che dicono sempre, ma non è vero”, afferma Enck, che ha una lunga esperienza con i maghi delle PR dell’industria dei combustibili fossili. 

“La buona notizia”, afferma Enck, “è che ci sono un sacco di alternative alla plastica”. Per esempio, afferma, nello stato di New York un tempo si usavano 23 miliardi di sacchetti di plastica l’anno. Oggi, grazie alla messa al bando dei sacchetti di plastica monouso, se ne usano molti di meno. La Pepsi ha comprato SodaStream, un’azienda che produce un sistema per rendere frizzante l’acqua e che permette di farti la Pepsi in casa, il che riduce il bisogno di milioni di bottiglie di plastica monouso. “È una rivoluzione che sta partendo dal basso”, afferma Enck. “La gente vede ciò che la plastica sta facendo al mondo e vuole cambiare le cose”.

Con questo report, adesso possiamo vedere anche quello che la plastica sta facendo al clima. “La plastica è il piano B dell’industria dei combustibili fossili”, scrive Enck nell’introduzione al report. “Ma non c’è un piano B per il resto di noi”. 

Questo articolo è apparso originariamente su Rolling Stone US

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