DJ Fabo: la Consulta chiede si faccia la legge sul fine vita | Rolling Stone Italia
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DJ Fabo: la Consulta chiede si faccia la legge sul fine vita

La Corte Costituzionale ha rimandato tutto a settembre 2019, chiedendo al Parlamento di riempire il vuoto legislativo sul fine vita. Al momento vige una legge del 1930 per cui aiutare una malato a porre fine alla sofferenza equivale a istigarlo al suicidio.

DJ Fabo: la Consulta chiede si faccia la legge sul fine vita

Foto di Enrico Brandi / Fotogramma/ IPA

«Un’occasione di chiarezza che abbiamo ottenuto con Fabiano, agendo pubblicamente e non clandestinamente, comunque vada in corte sarà poi responsabilità della politica», aveva dichiarato Marco Cappato a poche ore dalla sentenza della Consulta della Corte Costituzionale, chiamata oggi a decidere se aiutare un malato terminale a porre fine alla propria vita sia reato oppure un atto di umanità per permettere a chi soffre di scegliere una morte dignitosa.

È arrivata pochi minuti fa il verdetto con cui la Consulta, di fatto spedisce la patata bollente al Parlamento, rimandando a settembre 2019 una decisione che doveva essere presa oggi in merito alla costituzionalità dell’articolo 580 del codice penale, una norma del 1930 che regola il reato di aiuto al suicidio con una condanna che prevede fino a 12 anni di carcere. Reato per cui cui dovrà essere giudicato Marco Cappato, esponente dei radicali e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, da sempre in prima linea nel battaglia per il diritto all’eutanasia legale. Cappato è sotto processo dall’8 novembre 2017, dopo che questi si costituì ai Carabinieri per aver accompagnato in Svizzera Fabiano Antoniani (conosciuto come DJ Fabo), deciso al suicidio assistito in modo da porre fine a un calvario iniziato nel 2014, dopo l’incidente d’auto che lo aveva reso cieco e tetraplegico.

Nel gennaio 2017 Cappato e l’Associazione Coscioni erano stati infatti gli unici ad accogliere l’urlo disperato di DJ Fabo, che ripetutamente aveva affidato ai media il proprio grido di soccorso rivolto alla politica affinché gli fosse concesso di accedere all’eutanasia e porre fine a una condizione che non giudicava più dignitosa. Appello caduto, come prevedibile, nell’oblio, nel vortice di silenzio che da decenni avvolge la questione de fine vita, tra sentenze, rimandi e rinvii più consoni a un processo kafkiano che a un discorso sui diritti umani cui tantissime persone come DJ Fabo hanno ‘prestato’ la propria disperazione, perché il rumore della malattia e del dolore squarciasse le esitazioni in aula.

Anche per questa ragione, per amplificare l’urgenza di un disegno di legge in merito – urgenza successivamente mitigata con la norma sul biotestamento, in vigore da gennaio 2018 – Cappato decise di denunciare la propria “disobbedienza civile” consegnarsi ai Carabinieri appena rientrato in Italia dopo aver accompagnato DJ Fabo in Svizzera, Paese in cui è legale il suicidio assistito, una forma di eutanasia in cui, sotto stretto controllo medico, la persona è resa autonoma di iniettarsi il farmaco, senza ricorrere all’aiuto di terzi.

Il 27 febbraio 2017 moriva DJ Fabo e Marco Cappato veniva incriminato per aver violato l’articolo 580, una normativa che considera equivalenti l’aiuto e l’istigazione al suicidio, norma definita “obsoleta” dalla difesa, ormai “disancorata dal suo aspetto criminogeno” ma ciò nonostante applicata anche nei casi in cui una persona venga aiutata a liberarsi da “un corpo diventato oramai ‘prigione’, che fornisce soltanto sofferenza”, come nel caso Cappato-DJ Fabo. Difesa accolta dalla Corte d’Assise di Milano che il 14 febbraio 2018 assolveva Cappato dall’accusa di istigazione al suicidio prevista dal 580, inviando gli atti alla Corte Costituzionale perché dell’articolo decidesse la legittimità.

Decisione arrivata pochi minuti fa, con la sentenza che ha lasciato in bilico l’articolo 580, affermando che “l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione”, invitando quindi il Parlamento a “intervenire con un’appropriata disciplina”. L’articolo 580 rimarrà inviolato fino all’udienza prevista al 24 settembre 2019, per l’ennesimo rimando in cui chi dovrebbe decidere, davanti al dolore decide di mettere la testa sotto la sabbia anche se, almeno questa volta, un risultato è arrivato.

A commentare la decisione è stato infatti lo stesso Marco Cappato, con una nota diffusa sul sito ufficiale dell’Associazione Coscioni: “Il pronunciamento della Corte Costituzionale dà un anno di tempo al Parlamento per fare ciò che chiedevamo da 5 anni. È un risultato straordinario, arrivato grazie al coraggio di Fabiano Antoniani e alla fiducia che Carmen e Valeria mi hanno fatto per la mia azione di disobbedienza civile. Ora il Parlamento ha la strada spianata per affrontare finalmente il tema, e per discutere la nostra proposta di legge di iniziativa popolare per l’eutanasia legale”.

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