Trudeau ha ragione a preoccuparsi per i diritti LGBTQ+ in Italia? | Rolling Stone Italia
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Trudeau ha ragione a preoccuparsi per i diritti LGBTQ+ in Italia?

Per un cittadino del Canada, uno dei Paesi più gay friendly e inclusivi al mondo, avanzatissimo nelle legislazioni anti–discriminazione, osservare cosa succede nell'Italia del Family Day, dello stop alle trascrizioni per i figli di coppie omogenitoriali e del fondamentalismo cattolico può essere straniante

Trudeau ha ragione a preoccuparsi per i diritti LGBTQ+ in Italia?

Ieri, durante un incontro con la premier Giorgia Meloni che si è tenuto a Hiroshima, poco prima dell’avvio dei lavori per il G7, il primo ministro canadese Justin Trudeau si è detto «preoccupato» da alcune delle posizioni «che l’Italia sta assumendo in merito ai diritti LGBTQ». Per tutta risposta, la premier ha spiegato che il suo governo si sta limitando a «seguire le decisioni dei tribunali», senza discostarsi dalle precedenti amministrazioni.

Mentre i giornali danno largo spazio al botta e risposta di ieri, la presidente ha provato a ridimensionarlo: «È stata un frase sorprendente, nel senso che ci ha colto di sorpresa», ha spiegato, «on era tra i punti chiave del bilaterale, ma è stato solo un episodio e si è chiuso lì».


Trudeau faceva implicitamente riferimento a alcune tematiche che hanno tenuto banco negli ultimi mesi, su tutte la circolare del ministero dell’Interno che, lo scorso gennaio, aveva chiesto a tutti i sindaci di non trascrivere automaticamente i certificati di nascita dei figli nati all’estero con la gestazione per altri e la bocciatura della proposta della Commissione di realizzare un certificato europeo di filiazione – un documento che punta a uniformare le norme di riconoscimento in tutti gli Stati dell’Unione Europea, semplificando la vita di centinaia di famiglie cosiddette “non tradizionali”.

Dal punto di vista di Trudeau, lo stupore per l’atteggiamento del governo italiano è tutto sommato comprensibile. È una questione culturale prima ancora che politica: il Canada è infatti uno dei Paesi più avanzati al mondo sul fronte della tutela dei diritti delle persone LGBTQ+.

Ad esempio, le coppie omosessuali hanno cominciato a essere concesse unioni civili simili a quelle relative alle coppie eterosessuali già tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI secolo, mentre il matrimonio tra persone dello stesso sesso è stato legalizzato nei vari dipartimenti tra il 2003 e il 2005, portando il Canada a diventare il quarto Paese al mondo a concedere questa possibilità ai propri cittadini.

Non dovesse bastare, la discriminazione basata sull’orientamento sessuale in materia di occupazione, alloggi e strutture pubbliche e private è vietata per legge a livello nazionale, mentre gli atti discriminatori sulla base dell’identità di genere ed espressione vengono perseguiti da legislazioni che possono variare da zona a zona del paese.

Anche l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso è ai massimi livelli di modernità: è stata ammessa a livello giuridico in tutto il Canada, ma secondo regole specifiche che possono variare nelle diverse province e territori.

Il tema è parecchio sentito anche dalla società civile: poco meno di un anno fa, il Canada è diventato il primo Paese al mondo a raccogliere e a divulgare i dati del censimento sulle persone trans e non binarie, e a febbraio 30mila cittadini hanno firmato una petizione per concedere asilo alle persone trans e non binarie in fuga dai Paesi transfobici.

Un altro indice utile da visionare è la classifica pubblicata annualmente da Spartacus, una guida turistica internazionale dedicata alla comunità LGBTQIA+ che, sin dal 1970, pubblica il Gay Travel Index (GTI). Si tratta di un indice che prova a valutare le condizioni legali e di vita delle persone LGBTQ+ nei vari Paesi, basandosi su 17 categorie che spaziano dal matrimonio egualitario alla pena di morte per gli omosessuali.

Per classificare i Paesi, l’indice utilizza un sistema di colori: il verde indica le nazioni più liberali e queer-friendly, mentre il rosso rappresenta quelle più pericolose per chi ha orientamenti sessuali e identità di genere differenti dall’eterosessualità.

Prendiamo in esame i risultati del 2023: nella fascia “verde” della classifica si  posizionano i Paesi più liberali al mondo, quelli che si distinguono per i migliori punteggi in aspetti come la legislazione antidiscriminazione, il matrimonio egualitario, le unioni civili, le adozioni per famiglie omogenitoriali, i diritti per persone transgender, le leggi che vietano le terapie di conversione e il marketing rivolto alla comunità LGBTQ+. Ebbene: il Canada occupa il secondo posto, posizionandosi alle spalle di Malta. Altri Paesi che rientrano in questa fascia verde includono Australia, Danimarca, Nuova Zelanda, Portogallo, Uruguay, Germania, Islanda, Spagna, Regno Unito, Argentina, Austria e Colombia.

L’Italia, invece, si colloca nella classifica arancione, poco prima di nazioni come Bhutan, Thailandia, Vietnam e Bolivia.

In breve: parliamo di livelli che in Italia non abbiamo neppure mai sfiorato. Quindi, sì: piaccia o meno, Trudeau ha tutte le ragioni del mondo per sottolineare l’arretratezza del nostro Paese. Per un cittadino del Canada, uno dei Paesi più gay friendly e inclusivi al mondo, avanzatissimo nelle legislazioni anti–discriminazione, osservare cosa succede nell’Italia del Family Day, dello stop alle trascrizioni per i figli di coppie omogenitoriali e del fondamentalismo cattolico può essere straniante