Torturato per un post su Facebook: il caso Omerovic, una storia di malapolizia | Rolling Stone Italia
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Torturato per un post su Facebook: il caso Omerovic, una storia di malapolizia

Polsi legati con i cavi del ventilatore, coltelli da cucina branditi come armi, foto a torso a nudo e una caduta da 9 metri: le ricostruzioni del gip delineano un abuso gravissimo, basato sul più squallido dei chiacchiericci di quartiere e amplificato dai social

Torturato per un post su Facebook: il caso Omerovic, una storia di malapolizia

La mattina del 25 luglio 2022 Hasib Omerovic, un 36enne sordo di etnia rom, è precipitato dalla finestra della sua abitazione del quartiere di Primavalle, nella periferia nord–ovest di Roma.

Gli agenti – tre uomini e una donna, intervenuti senza un mandato di perquisizione – si erano presentati a casa sua verso mezzogiorno. Il motivo? Alcune segnalazioni raccolte nel quartiere: le chiacchiere del vicinato parlavano di Omerovic come di un molestatore – secondo le accuse, mai confermate, avrebbe infastidito alcune ragazze, anche minorenni, scattando alcune foto senza consenso; nei suoi confronti, però, non era mai stata presentata alcuna denuncia. Inoltre, un post comparso una settimana prima sul gruppo Facebook Primavalle, che ha un centinaio di iscritti, mostrava una foto di Hasib che trascinava un carrello della spesa. La foto era corredata da questa didascalia: «Fate attenzione a questa specie di essere perché importuna le ragazze, bisogna prendere provvedimenti» – uno degli agenti intervenuti la mattina del 25 luglio ha confermato al quotidiano Il Messaggero che il blitz nel condominio di via Aleandro era stato deciso anche per via di quel post, evidentemente considerato alla stregua di una fonte attendibile. 

La sorella dell’uomo, la 31enne Sonita, affetta da problemi cognitivi e presente in casa al momento dei fatti, ha raccontato di avere assistito a un pestaggio in piena regola: una mattanza eseguita dagli agenti ai danni del fratello prima che questi fosse scaraventato di peso fuori dalla finestra. Secondo i poliziotti, sarebbe stato invece Hasib a sollevare all’improvviso la tapparella e a lanciarsi nel vuoto, in un tentativo di suicidio o forse per sfuggire agli agenti.

Omerovic è rimasto in coma per due mesi e, attualmente, sta affrontando una lunga terapia riabilitativa. Nel frattempo, la vita della sua famiglia è cambiata radicalmente: ad esempio, i suoi genitori hanno lasciato l’appartamento di cui erano regolarmente assegnatari. In un’intervista concessa all’Essenziale, hanno spiegato che la loro è stata una decisione dettata dal sospetto: dopo la caduta di Hasib, hanno iniziato a temere per la propria incolumità, preferendo dormire per strada o nella loro station wagon. «Come potremmo dormire tranquilli la notte dopo quello che ci hanno fatto?» spiegava Mehmedalija, il padre.

Il 21 dicembre Andrea Pellegrini, uno dei poliziotti che hanno perquisito l’abitazione di Omerovic, è stato sottoposto agli arresti domiciliari con l’accusa di tortura. Hanno ricevuto avvisi di garanzia anche altri tre poliziotti coinvolti nei fatti del 25 luglio: le accuse sono di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici e depistaggio.

Le ricostruzioni contenute nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari (gip) – basate in buona parte sui resoconti forniti da Fabrizio Ferrari, uno degli agenti presenti durante la perquisizione – delineano un quadro scabroso. Pellegrini, insieme agli altri agenti, avrebbe infatti fatto irruzione nell’abitazione di Omerovic intimandogli di non azzardarsi mai più «a scattare foto a quella ragazzina» e tirandogli «due schiaffi nella zona compresa tra il collo e il viso». Successivamente, lo avrebbe minacciato con un coltello da cucina. A quel punto Omerovic, comprensibilmente spaventato, avrebbe deciso di rinchiudersi all’interno della sua stanza. Poco dopo, nonostante questi «si fosse prontamente attivato per consegnare le chiavi», Pellegrini avrebbe sfondato la porta costringendolo a sedersi, bloccandogli i polsi con il filo elettrico del ventilatore e continuando a minacciarlo con il coltello.

Quanto avvenuto, scrive il gip, avrebbe causato a Omerovic «un verificabile trauma psichico, in virtù del quale precipitava nel vuoto dopo aver scavalcato il davanzale della finestra della stanza da letto nel tentativo di darsi alla fuga per sottrarsi alle condotte violente e minacciose in atto nei suoi confronti». Omerovic, dunque, avrebbe individuato nella finestra della propria camera da letto l’unica via di fuga possibile per sottrarsi alla violenza degli agenti.

Ma i punti crudi della ricostruzione sono anche altri. Ad esempio, Omerovic è stato fotografato mentre era a torso nudo, sia durante l’identificazione, sia quando è stato costretto a rimanere seduto. Un aspetto che secondo il gip «assume senz’altro un effetto degradante, perché lesivo della dignità della persona. Traspare – si legge nell’ordinanza – l’intento di Pellegrini di infliggere sofferenze gratuite a Omerovic, strumentali alla volontà di punire il soggetto in quanto reo” di aver molestato delle donne per strada, così come appreso su un post su Facebook». Le foto, scattate da Pellegrini e mostrate come “prova” dell’incolumità di Hasib, hanno in realtà rafforzato i dubbi degli inquirenti, che hanno potuto verificare l’esistenza di segni rossi sui polsi di Hasib (quelli lasciati dai cavi del ventilatore).

Un abuso di malapolizia di entità gravissima, basato sul più squallido dei chiacchiericci di quartiere e giustificato in buona parte da un post rancoroso pubblicato su Facebook. Non dovesse bastare, il caso Omerovic ricalca tutte le storture della polizia nostrana che abbiamo conosciuto nel corso degli anni, dall’omertà al cameratismo, fino all’inscalfibilità della scala gerarchica. Ferrari, l’agente che ha collaborato, ha dichiarato di avere «provato un senso di vergogna» per non essere intervenuto durante la mattanza e di aver taciuto a lungo per via del timore di ritorsioni da parte di Pellegrini in quanto «pur sempre un suo superiore» di cui, in qualche modo, subiva il peso e gli atteggiamenti.