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Perché non c’è uno psicologo in tutte le scuole italiane?

Le associazioni studentesche spingono per rendere obbligatoria la figura del terapista tra le mura scolastiche, non solo per intercettare il malessere oggi così frequente tra i giovani, ma anche per svolgere vere proprie attività di educazione e formazione insieme a docenti e genitori. Ma la strada da percorrere è ancora lunga

Foto di Diana Bagnoli/Getty Images

Dopo la pandemia, la Dad e l’emergenza salute mentale (purtroppo in gran parte taciuta) che ha travolto la scuola, nessuno penserebbe che una legge per garantire la presenza di uno psicologo in tutti gli istituti del Paese possa ancora aspettare. O almeno nessuno che abbia in mente qual è la situazione nelle aule di tutto lo Stivale. Anche per questo il sindacato studentesco Unione degli universitari (Udu) e la Rete degli studenti Medi hanno fatto una proposta di legge che è stata anche illustrata alla Camera. È un tentativo per rendere finalmente obbligatoria la figura del terapista tra le mura scolastiche, non solo per intercettare il malessere oggi così frequente tra i giovani, ma anche per svolgere vere proprie attività di educazione e formazione insieme a docenti e genitori.

«Da un anno ci stiamo occupando di salute mentale a scuola, e fin da subito ci siamo resi conto di quanto sia difficile trovare non solo soluzioni, ma anche dati affidabili – dice a Rolling Stone Camilla Velotta, responsabile dei progetti di sostegno psicologico della Rete degli Studenti Medi – così abbiamo lanciato un sondaggio che ha ottenuto più di 30mila risposte e una percentuale schiacciante di queste segnalava malessere e desiderio di avere uno specialista tra le mura scolastiche. Il 22 marzo abbiamo presentato in conferenza stampa alla Camera questa proposta per rendere obbligatoria la figura di uno psicologo in tutte le scuole». Non si tratta di una proposta di iniziativa popolare (che richiederebbe la raccolta di almeno 50mila firme), ma Udu e Rete degli Studenti Medi hanno comunque presentato la legge ai parlamentari di centrosinistra, che si sono detti interessati. «Noi vogliamo che questa figura sia inserita a 360 gradi nel sistema scolastico – continua Velotta – quindi, ad esempio che possa tenere corsi di formazione all’interno di un team multidisciplinare di insegnanti e che sia anche un tramite efficace con le strutture esterne come i consultori e i servizi d’ascolto già esistenti per intervenire sui casi più gravi».

Basta fare una piccola ricerca, però, per scoprire che non è la prima volta che in Parlamento si prova a legiferare sull’argomento. Il 4 dicembre 2018 veniva depositata una proposta da Maria Teresa Bellucci (FdI) contenente 11 articoli per introdurre obbligatoriamente la figura dello psicologo in tutte le scuole di ordine e grado. Non è stata discussa in Senato. Ci ha riprovato Emilio Carelli (Insieme per il futuro) a maggio 2021. Anche in questo caso, niente passaggio al Senato. Infine è stato il turno di Patrizia Marrocco (Forza Italia) a novembre 2021; indovinate un po’: la legge non arriva a Palazzo Madama. Si direbbe che per la politica non si tratta di una priorità, o almeno fino ad oggi non lo è stata.

L’utilità di una norma del genere è però ovvia per un Paese dove il 91% degli studenti (dall’indagine Chiedimi come sto, condotta dall’Istituto di Ricerche Economiche e Sociali dell’Emilia-Romagna) ritiene sia indispensabile avere uno psicologo a scuola. L’Italia è anche l’unico Stato europeo a non avere ancora una normativa uniforme su tutto il territorio nazionale. Il punto è proprio questo: diverse scuole si sono attrezzate autonomamente, come sa chi è studente, insegnante o genitore, ma senza riconoscimento ufficiale e prassi stabilite per legge, ognuna sembra muoversi in ordine sparso.

«Senza una direttiva nazionale, ogni Regione sta trovando in autonomia gli strumenti normativi e finanziari per garantire questo servizio» – spiega lo psicologo Alberto Valsecchi, che da anni opera in diversi istituti del lecchese. «Però alla fine tutto è lasciato all’autonomia delle singole scuole che indicono bandi finanziati spesso con il fondo d’istituto (erogato dal Ministero per vari progetti progetti extra), oppure da associazioni familiari, fondazioni bancarie etc.». Durante il Covid l’Ordine Nazionale degli Psicologi e il Ministero dell’Istruzione avevano firmato un protocollo di intesa proprio per cercare di trovare una soluzione a questo caos, ma anche il quel caso le tranche di fondi che la scuola poteva richiedere erano divisi in due (settembre – dicembre e gennaio -giugno), e sostanzialmente si è mantenuto il difetto principale dell’intero sistema: la mancanza di continuità e la frammentazione delle risorse finanziarie.

«Il bando per lo sportello fisso nelle scuole ha solitamente durata annuale – continua Valsecchi a Rolling Stone – e già questo è problematico perché il paziente deve poter contare sulla continuità. In più ci sono altri bandi che hanno anche durata più breve: ad esempio, tutti i progetti sull’educazione sessuale, digitale e anche i laboratori che io stesso propongo per i genitori possono essere oggetto di bandi diversi e di diversa durata, tutti finanziati in modo diverso. Tutto ciò mi sta capitando quest’anno in una scuola di Colico in cui mi ritrovo ad operare: oggi in questo istituto svolgo un servizio di 100 ore complessive per nove mesi, contemporaneamente svolgo la mia attività in un’altra struttura scolastica: per fare ciò mi sono dovuto aggiudicare tre bandi diversi. L’anno scorso sono riuscito ad avere molte più ore in un singolo istituto: 240 totali, perché contemporaneamente seguivo il progetto orientamento, sportello e educazione ai social».

Bisognerebbe immedesimarsi in uno studente con delle fragilità: oggi, se si rivolge allo psicologo della scuola, probabilmente dovrà cambiarlo nel giro di un anno o forse anche meno (dipende dalla durata del bando, alcuni possono essere anche di pochi mesi). Probabilmente la persona che si occupa (per un numero misero di ore, tra l’altro) della sua educazione sessuale è diversa rispetto a quella che dovrebbe essere presente nei suoi momenti di difficoltà. Se ha dei dubbi a chi chiede? A questo punto, se può, gli conviene rivolgersi ad un privato. Se può.

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