Nell’Italia di Giorgia Meloni le famiglie omogenitoriali non sono più famiglie | Rolling Stone Italia
«un governo di talebani e ayatollah»

Nell’Italia di Giorgia Meloni le famiglie omogenitoriali non sono più famiglie

La procura di Padova ha impugnato 33 atti di nascita relativi a figli di coppie omogenitoriali: c'è chi non potrà più andare a prendere suo figlio a scuola se non attraverso una delega, chi non potrà accompagnarlo dal pediatra e chi sarà costretto a rinunciare a un viaggio all'estero. Che la violenza burocratica abbia inizio

Nell’Italia di Giorgia Meloni le famiglie omogenitoriali non sono più famiglie

Foto di Mauro Ujetto/NurPhoto

Dopo meno di sei mesi, la circolare con cui il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha bloccato l’iscrizione all’anagrafe dei figli di coppie omogenitoriali è degenerata in una (prevedibile) forma di violenza burocratica.

Ieri la procura di Padova ha deciso di impugnare i 33 atti di nascita registrati dal sindaco Sergio Giordani dal 2017 al 2022. Non si tratta di una pura questione di forma, ma di una decisione destinata a peggiorare la quotidianità di queste famiglie in maniera concreta, visibile e immediata. La procura ha sostanzialmente chiesto di spezzare – in maniera perfettamente legale, purtroppo – queste famiglie e che questi bambini vengano dichiarati privi di un genitore e di tutta la parentela a esso collegata. Per intenderci, c’è chi non potrà più andare a prendere suo figlio a scuola se non attraverso una delega firmata dall’unico genitore riconosciuto, chi non potrà accompagnarlo dal pediatra, chi sarà costretto a rinunciare a un viaggio all’estero.

Il principio fondante è soltanto uno: per lo Stato il genitore “intenzionale” non esiste, è interamente assimilabile a un estraneo e, di conseguenza, considerato incapace di assolvere a qualsiasi compito di cura del bambino.

Un assioma certificato anche dalla delicata questione dei cognomi: i bambini potranno averne solo uno, ossia quello del genitore biologico. Questa la strada suggerita dal procuratore Valeria Sanzari, che ha chiesto a una coppia di donne di rettificare l’atto di nascita della propria figlia attraverso la «cancellazione» del nome della madre non biologica e la «rettifica» del cognome attribuito alla figlia attraverso l’eliminazione di quello della «seconda madre». Nel ricorso, Sanzari sostiene che una decisione di questo tipo – privare i bambini del cognome con cui sono conosciuti all’asilo o a scuola e quindi, come ha scritto Chiara Saraceni su Repubblica, di una «parte della loro identità sociale» – non produrrà effetti di alcun tipo sul piano della socialità.

A detta di Sanzari, infatti, la «giovane età» della bambina escluderebbe che la modifica del cognome «possa avere ripercussioni sulla sua vita sociale». Per tutta risposta, una delle due madri ha dichiarato all’Ansa: «Mi chiedo come possa un Tribunale, di uno Stato che professa la tutela dei minori come una priorità, escludere che una bambina di 6 anni iscritta alla scuola primaria possa accusare un cambio di cognome, un fratello e una mamma che nella forma smettono di essere famiglia», ha detto all’Ansa una delle due madri.

L’avvocato e giurista Alexander Schuster, noto per le sue battaglie a favore dei diritti delle famiglie arcobaleno, ha detto che «Andare indietro di sei anni è una scelta molto impegnativa per un magistrato perché sostanzialmente significa togliere retroattivamente una mamma, un genitore legale, a un bambino al sesto anno di vita. Un atto che deve far riflettere».

Il parlamentare padovano Alessandro Zan ha parlato (correttamente) di «scelte disumane» e di bambini destinati a rimanere «orfani di una madre per decreto».

Forse, però, la lettura più efficace ce l’ha regalata Emma Bonino: «Sembra un governo dei talebani e degli ayatollah». Come darle torto?