“L’utero è mio ma lo gestisce Ezio Greggio” | Rolling Stone Italia
Una storia sbagliata

“L’utero è mio ma lo gestisce Ezio Greggio”

Diritti delle donne, libertà di scelta non pervenuta e benpensaggio a ogni costo: cosa dice di noi il tamatam mediatico creatosi attorno alla storia di Enea

“L’utero è mio ma lo gestisce Ezio Greggio”

Foto: Twitter

Il tamatam mediatico creatosi attorno alla delicata storia di Enea, il bambino lasciato alla “Culla per la vita” della clinica Mangiagalli di Milano – una struttura in cui le madri possono lasciare il neonato in completo anonimato e in assoluta sicurezza – il giorno di Pasqua, è un indicatore importante di quanto il dibattito pubblico italiano sia ancora (per usare un eufemismo) poco maturo quando si parla di libera scelta da parte delle donne.

Su Twitter #Enea è diventato un trend, la sua vicenda è diventata un caso di interesse nazionale che (ahinoi) ha scomodato l’opinione di tutti, dal sottobosco twitterindignato a Ezio Greggio, che con fare paternalistico è intervenuto con un video social rivolgendosi direttamente alla madre: «Torna, resterai anonima e ti daremo una mano», ha detto. Il suo appello ha creato non poche polemiche perché, nel video, definisce la donna come una mamma di serie A, una sorta di mamma vera da contrapporre a quella adottiva. «C’è tutto il reparto che ti sta aspettando nell’anonimato, nessuno dirà nulla… nomi, cognomi. Avere un bambino è una grande fortuna. Ci metteremo in tanti a darti una mano. Prendi il tuo bambino che merita una mamma vera, non una mamma che poi dovrà occuparsene ma non è la mamma vera». Un richiamo che, ovviamente, ha scatenato una vera e propria tempesta di meme (uno, in particolare, recita: «L’utero è mio, ma lo gestisce Ezio Greggio, e ha ispirato il titolo di questo pezzo).

Partiamo dal primo punto: in barba a tutto il benpensaggio nostrano, la madre biologica di Enea ha dimostrato di essere una persona altamente civile, razionale e – soprattutto – contemporanea. Per rendersene conto, basta leggere la lettera che ha scritto per motivare la sua decisione: quelle messe nero su bianco sono le parole di una persona che, conscia di una condizione di difficoltà economica oggettiva, decide di mettere davanti a tutto il futuro di suo figlio, anche a costo di separarsene (le altre motivazioni non le conosciamo, né possiamo salire sul pulpito e arrogarci il diritto di giudicarla).

Passiamo al secondo aspetto, quello più triste: nei j’accuse dei commentatori da social, il benessere di Enea è passato assolutamente in secondo piano. Come accennato in apertura, le «Culle per la Vita» sono strutture concepite per permettere alle madri in difficoltà di lasciare un neonato in piena la sicurezza; inoltre, riflettono una modalità che si differenza dal parto in anonimato, che lascia uno spiraglio nel caso il genitore naturale o il figlio vogliano un giorno ristabilire un contatto. Questi strumenti, invece, sono pensati per impedire totalmente di rintracciare le origini.

Come ha spiegato Monya Ferritti, presidente del coordinamento Care, in un’intervista concessa a Vita, esporre così platealmente il bambino è una scelta potenzialmente pericolosa: «Se utilizzare le strutture più sicure per lasciare un bambino ti mette al centro di un dibattito politico e mediatico di questa portata», ha spiegato Ferritti, «c’è il rischio che altre donne optino per strade meno sicure. La scelta di questa donna, o ragazza, mi sembra lucida, sulla base di quello che purtroppo è trapelato sulla stampa, non mi sembra emergenziale, presa sull’onda dell’emotività: ha deciso di non voler essere madre in questo momento e questa decisione va rispettata».

Infine, ovviamente, c’è un problema culturale grosso come una casa, contrassegnato da un conservatorismo posticcio di proporzioni spaventose. Un problema ben circoscritto da Assia Neumann Dayan, che su Linkiesta ha descritto alla perfezione l’ethos che informa i travasi di bile che la Nazionale Italiana Bacchettoni ha pensato bene di indirizzare a questa donne, ovviamente senza conoscerne passato e motivazioni. «La gente questa cosa non la accetta, perché l’unico concetto che abbiamo imparato e che consideriamo valido è: dove si mangia in due si mangia anche in tre. Quindi la gente, che comprende il primario, le mamme, le nonne, Ezio Greggio, non ci sta: i soldi te li diamo noi, non devi lasciare tuo figlio visto che hai scritto una lettera tanto caruccia. Inizia quindi il cortocircuito: non devi abortire, però attenta, se lo dai in adozione ripensaci, ti aiutiamo noi, noi che non abbiamo problemi di soldi». Provate a darle torto.