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Il Brasile punirà il razzismo nel calcio con dei punti di penalità: prendiamo esempio

Una posizione netta, decisa e all’avanguardia su scala globale, che nessuno era stato mai in grado di prendere prima. E in Italia?

Foto di Charlotte Wilson/Offside/Offside via Getty Images

Quand’era in vita, Nelson Mandela diceva che lo sport è in grado di fare un sacco di cose buone, ma che fra queste ce n’è una più forte di tutte: ha il potere di cambiare il mondo. Una qualità che Ednaldo Rodrigues, Presidente della Confederazione brasiliana di calcio (CBF), ha deciso di provare a “sfruttare” per davvero.

Il Brasile sarà infatti il primo Paese al mondo a punire gli episodi di razzismo nei suoi stadi «praticati da dirigenti, rappresentanti e professionisti del club, calciatori, allenatori, membri dello staff tecnico, tifosi e arbitri», penalizzando la squadra coinvolta con dei punti in classifica in meno.

Ogni singolo caso sarà portato davanti all’autorità giudiziaria sportiva che, come spiega il Regolamento Generale delle Competizioni, «deciderà in merito all’applicazione della perdita di punti per il club incriminato». Oltre all’iter sportivo, ne è previsto un altro giudiziario: gli episodi di razzismo verranno presi in esame anche dalla Procura della Repubblica e dalla Polizia.

Una posizione netta, decisa e all’avanguardia su scala globale quella della Federazione brasiliana, che nessuno era stato mai in grado di prendere prima. Regole che tra l’altro nel campionato nazionale saranno applicate fin da subito. Insulti, cori o atteggiamenti razzisti avranno una ripercussione a livello sportivo già dalla fine di questo mese e così via, da qui al futuro.

Una lotta di cui non poteva che farsi promotore Ednaldo Rodrigues, primo uomo nero a guidare la CBF in più di cento anni di storia: «Abbiamo deciso di togliere punti ai club per dare una svolta alle sanzioni. Il resoconto della partita sarà trasmesso anche al Pubblico Ministero e alla Polizia Civile, così i trasgressori saranno anche puniti dalla legge».

È chiaro che per il Presidente la lotta al razzismo è una cosa serie e urgente, e lo era già molto tempo fa ma «le misure sono state discusse per secoli e mai messe in pratica». Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio sulla discriminazione razziale nel calcio brasiliano, negli ultimi tempi il Paese ha vissuto un picco di casi di razzismo legati allo sport.

Nel 2014, anno di avvio dell’analisi, sono stati segnalati 25 episodi, diventati 36 l’anno successivo e arrivati a 70 nel 2019. Dopo un calo dovuto alla pandemia da Coronavirus e alla sospensione delle attività sportive (nel 2020 i casi sono scesi a 31) il 2021 si è ripresentato in grande spolvero, con 64 denunce, salite a più di 80 per il 2022. Uno dei casi più eclatanti, fra quelli segnalati, risale proprio al 2014. Durante una partita degli ottavi di finale di ‘Copa do Brasil’, giocata nella città di Porto Alegre, il portiere della squadra ospite, il Santos, è stato definito ‘scimmia’ dai tifosi della squadra sfidante, il Grêmio.

L’episodio, preso in carico dalla giustizia sportiva del Brasile, ha portato all’eliminazione del club dalla competizione, proprio a causa del comportamento dei suoi sostenitori. La vicenda ha avuto ripercussioni anche in ambito penale: quattro tifosi sono stati indagati per insulti razzisti – agli stessi è stato anche vietato di assistere alle partite della squadra per un anno.

Negli ultimi dodici mesi la Confederazione ha condotto una serie di campagne e seminari formativi per evitare che esperienze di questo tipo continuino a ripetersi. Una battaglia condivisa anche dal neo eletto Presidente della Repubblica Luiz Inácio Lula da Silva, che a gennaio scorso ha emanato una legge che equipara l’insulto razziale al crimine di razzismo, atti entrambi puniti con il carcere, non prescrivibili e non passibili di cauzione – e per cui è prevista un’aggravante nel caso in cui si verifichino in occasione di eventi sportivi e culturali.

Al momento nessun’altra nazione sembra intenzionata a seguire l’esempio brasiliano, almeno non in toto, ma ci sono comunque dei provvedimenti già presenti nei campionati che vanno in questa direzione. Nella Football Association inglese, per esempio, un giocatore accusato di razzismo può essere squalificato per una serie di partite (fino a 12), e le squadre possono essere multate oppure obbligate a giocare a porte chiuse se i tifosi si comportano in malo modo. La Federazione calcistica scozzese, invece, prevede sì una multa per la squadra del ‘calciatore razzista’, ma i club non possono essere ritenuti responsabili di comportamenti discriminatori da parte dei sostenitori.

E in Italia? Di episodi razzisti negli anni se ne sono verificati molti e a tutti i livelli. Insomma, non si contano di certo sulle dita di una mano. Dai cori razzisti dei tifosi del Verona contro quelli del Napoli alla rissa in campo durante una partita del campionato di seconda categoria, sfociata in insulti contro un giocatore di origini ghanesi del Poggiardo da parte dei giocatori e del dirigente del Tricase. Un altro episodio simile è avvenuto lo scorso ottobre a Varese, dove un giocatore di una squadra under 16 del Cas Sacconago è stato definito ‘ne*retto’ dall’allenatore avversario del Gallarate. «L’Italia non è un Paese razzista, ma in Italia c’è un problema legato al razzismo», ha commentato Damiano Tommasi, ex Presidente dell’Associazione Italiana Calciatori. Dal report Calciatori sotto tiro, in cui sono racchiusi i dati sulla discriminazioni nel mondo del calcio italiano – dai campionati professionistici e dilettantistici fino ai tornei giovanili – per la stagione 2021\2021, è emerso che rispetto agli anni precedenti in generale i dati sono sensibilmente aumentati.

Raccogliendo informazioni da fonti pubbliche o segnalazioni dirette, l’Associazione Italiana Calciatori ha censito 121 casi in cui i calciatori sono stati vittime di offese, minacce e intimidazioni. Di questi, quasi la metà (43%) ha avuto alla base una matrice razziale. È nei campionati dilettantistici – quelli di Terza Categoria e di Eccellenza – che si registra il picco massimo. In questi contesti, i calciatori più bersagliati sono infatti quelli stranieri: i casi ricollegabili al razzismo risultano in pratica la netta maggioranza. Molto probabilmente, il numero degli episodi è in realtà più alto, ma «purtroppo non tutto ciò che accade viene denunciato, per paura degli atleti, per il tentativo di risolvere le questioni senza generare ulteriori “problematiche” o semplicemente perché si considera che la violenza faccia parte del gioco di essere calciatori».

Fonte: Calciatori sotto tiro

I calciatori neri sono il primo bersaglio dei casi di razzismo (39%). Ma anche i calciatori dei Balcani (11%) o dell’America Latina (8%). Per i calciatori italiani, spesso l’insulto è legato alla provenienza dalle regioni meridionali.

Fonte: Calciatori sotto tiro

Secondo Gabriele Gravina, Presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) dal 2018, «servono sanzioni più pesanti, non solo da parte nostra ma anche da parte dei giudici» perché «chi viene individuato dagli organi di polizia per atti di violenza non può cavarsela con un fermo di un’ora o di un giorno e poi con un daspo», un provvedimento cioè che impone il divieto di accedere a manifestazioni sportive per un determinato periodo di tempo. Anche perché, è vero, citando di nuovo Mandela, che lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ma non è scritto da nessuna parte che riesca a farlo sempre in positivo.

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