Finalmente potremo chiedere «Quanto guadagnerò?» senza vergognarci | Rolling Stone Italia
LA SACRA RAL

Finalmente potremo chiedere «Quanto guadagnerò?» senza vergognarci

L’Unione Europea ha introdotto l’obbligo di RAL negli annunci di lavoro e il divieto di fare domande sulla retribuzione precedente: era ora

Finalmente potremo chiedere «Quanto guadagnerò?» senza vergognarci

Foto di Tim Gouw via Unsplash

Il Parlamento europeo ha approvato una direttiva piuttosto precisa e specifica per aumentare la trasparenza retributiva da parte delle aziende e contrastare il divario salariale di genere. Fino a qui tutto nella norma, o meglio, niente di sconvolgente: certe cose le sentiamo in procinto di accadere ormai da così tanto tempo che ci abbiamo fatto l’abitudine. E alla fine non succedono (quasi) mai.

Ma nelle misure previste dall’Europa, ce ne sono (almeno) due che questa volta meritano di essere celebrate a dovere. Infatti l’articolo 5, sulla “trasparenza retributiva prima dell’assunzione”, introduce un paio di novità assolute: l’obbligo di fornire la RAL (Retribuzione Annua Lorda) negli annunci di lavoro o prima del colloquio e lo stop alle domande su quella precedente.

Sul primo punto, la direttiva dice che «i candidati ad un posto di lavoro hanno il diritto di ricevere dal potenziale datore di lavoro informazioni sul livello retributivo iniziale o sulla relativa fascia da attribuire alla posizione in questione, sulla base di criteri oggettivi e neutri sotto il profilo di genere. Tali informazioni sono indicate nell’avviso di posto vacante pubblicato o altrimenti fornite al candidato prima del colloquio di lavoro, senza che egli debba richiederle». Sul secondo che «il datore di lavoro non può chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite nei precedenti rapporti di lavoro, né oralmente né per iscritto, né personalmente né tramite un suo rappresentante».

In succo, l’azienda – sia pubblica che privata – che sta pensando di assumerti, non può stabilire quanto pagarti in base al genere a cui appartieni – al momento le donne in UE guadagnano in media il 13% in meno degli uomini, a parità di mansioni – e gli avvisi di lavoro devono essere neutrali e garantire che le selezioni avvengano in modo non discriminatorio. In tutto questo, l’obbligo di dichiarare in modo esauriente quanto quella posizione lavorativa può fruttarti economicamente, gioca un ruolo chiave su diversi fronti. Il primo è quello che vivacemente la Presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ha scritto su Twitter: «Sono finiti i giorni in cui le persone venivano pagate meno solo per quello che erano, oggi abbiamo fatto un salto di qualità verso l’uguaglianza, soprattutto per le donne, vincolando il principio della parità di retribuzione alla parità di lavoro». Che per la cronaca esiste già – sancito dall’articolo 157 TFUE – ma sui cui la maggior parte dei Paesi UE ha sorvolato.

Il secondo è meno visibile, forse perché ci appartiene visceralmente: non si parla di retribuzione durante un colloquio di lavoro. A meno che non sia l’interlocutore a tirare fuori l’argomento. Complici indicazioni di RAL quasi sempre assenti negli annunci, gli europei preferirebbero morire piuttosto che azzardare una domanda simile. D’altro canto, un affronto tale, significherebbe probabilmente bruciarsi la possibilità di essere scelti, perché “una persona che pensa solo ai soldi” non piace alla mentalità aziendale. Meglio, piuttosto, un mulo da soma, per cui la remunerazione è solo l’apice di una soddisfazione e gratitudine più grande che è quella di lavorare per questo o quell’altro.

Ma se da una parte il candidato non può permettersi di alludere ad alcun tipo di introito monetario per una legge non scritta, dall’altra il datore di lavoro, invece, ha il pieno potere di chiedere al candidato l’ultima busta paga e quindi la retribuzione precedente. Una mossa che ormai consideriamo una prassi, ma che non è altro che un tentativo – valido e a cui siamo obbligati a cedere – di negoziazione. Ovviamente a favore dell’impresa, che se ne serve sfoderandola a volte ancor prima del colloquio vero e proprio, per capire subito quanto sia conveniente proseguire o meno con quella persona.

Sì, tutto questo accade sotto al nostro naso e la consuetudine ci inganna a tal punto che parlare del nostro stipendio medio ci sembra pure vantaggioso: che l’azienda sappia che non sono disposto a scendere al di sotto di una certa cifra. Un sgambetto autoinflittoci che chi sta dall’altra parte coglie al volo, calibrando la sua offerta sulla base delle nostre aspettative e non su quanto invece meriterebbe di essere retribuita quella posizione.

Ecco perché per l’Europa è ora di cambiare, e per farlo ci vuole un certo rigore – e un’approvazione formale della direttiva da parte del Consiglio. I Paesi membri hanno infatti 3 anni per implementare la direttiva nelle leggi nazionali, che tra l’altro dovranno prevedere sanzioni, anche pecuniarie, per chi non rispetta le regole. E il lavoratore avrà diritto a chiedere un risarcimento nel caso di violazione.

Certo, non sarà facile sradicare una prassi che più che appartenere al ordinamento giuridico è guidata dalla sfera culturale. La direttiva, almeno nell’immediato, non sancirà la fine della disparità retributiva e tutto quello che sta prima o dopo di lei, ma intanto un passo in avanti è stato fatto. E non così piccolo.