Destinazione pena di morte | Rolling Stone Italia
Politica

Destinazione pena di morte

Ogni fatto di cronaca corrobora la più malsana delle idee. Nel Paese di Beccaria il nuovo sogno americano è rappresentato da una forca: se il tabù è caduto per politici e opinionisti, figuriamoci per la gente comune

Destinazione pena di morte

Una forca eretta davanti alla Central Criminal Court di Londra durante le manifestazioni prima della sentenza nei confronti di Michael Adebolajo e Michael Adebowale, accusati dell'omicidio del soldato Lee Rigby nel 2014

Foto Oli Scarff/Getty Images

Quasi terminato anche l’ultimo fiotto di indignazione sui chiassosissimi silenzi di Bibbiano, un nuovo argomento cannibalizza da ore il dibattito pubblico: l’omicidio a Roma del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega. Come sempre in questi casi, ormai il momento del silenzio e della comprensione di quanto è accaduto è venuto meno, e sin dal minuto uno dalla diffusione della notizia il piano della cronaca si è confuso con quello della polemica politica, divorato da fake news sulla nazionalità degli assassini, ricostruzioni approssimative e retorica da quattro soldi.

Non che lo svilimento di una simile tragedia – l’uccisione di un uomo che stava svolgendo il suo lavoro – sia in alcun modo un fenomeno nuovo o inaspettato, ma a impressionare una volta di più è la rapidità con cui agisce oggi lo scollamento tra realtà dei fatti e sua interpretazione da parte di una vasta fetta della popolazione. Questa volta per trasformare il cordoglio per un rappresentante dell’Arma in un’esortazione al linciaggio come unico strumento di giustizia ci è voluto davvero poco.

L’incendio, come detto, è divampato all’istante, quando si è diffusa la voce che gli autori del gesto fossero due uomini di origini nordafricane. I vari Meloni e Capezzone, fino a Casa Pound, hanno subito promosso la “caccia al magrebino”, salvo poi dover ritrattare una volta che gli investigatori hanno individuato come colpevoli due giovani cittadini americani, in vacanza nella capitale. 

Un errore tutt’altro che in buona fede, che ha scatenato un tic di senso opposto della controparte politica, esultante per la figuraccia incassata dai rivali e per lo smascheramento del loro ignobile pregiudizio. E così, con ruoli e responsabilità ben distinte, la spirale si è avvitata. Mario Cerciello Rega – in attesa che magistrati e bravi giornalisti facciano il loro lavoro – è stato confinato in un angolino. 

L’assassinio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega ha tirato fuori le viscere di molti di noi. “Ah, se gli studenti americani assassini del carabiniere fossero puniti come lo sarebbero negli Stati Uniti”, ha commentato Bruno Vespa, volto tra i più popolari dello tv di Stato, che in questo caso ha mostrato più la sua anima filogovernativa che quella cristiano/moderata. Vespa ha poi spiegato che intendeva sottolineare il fatto che “negli Usa chi ammazza un poliziotto resta dentro 40 anni senza permessi”, ma chissà.

La pena di morte non è più tabù da un pezzo in questo Paese. In queste ore chi fosse stato così masochista da fare un giro sotto i link degli articoli sull’omicidio Cerciello Rega oppure più genericamente sui social network avrebbe trovato decine di invocazioni all’occhio per occhio, la richiesta alle nostre istituzioni di fare all’americana con gli americani. Come se la violenza fosse un deterrente efficace, come se uno Stato dimostrasse la propria credibilità solo attraverso muscoli e iniezioni.

Non sono (solo) boutade da leoni da tastiera, è il sentimento di un Paese che ha mangiato molto male negli ultimi anni e ora gorgoglia con le mani sullo stomaco. Un Paese che da certe fascinazioni fasciste non si è mai affrancato del tutto e che si è ubriacato per anni di giustizialismo idrofobo e sete di vendetta (ne avevamo già scritto qua e qua, cercando di spiegare che i diritti del “nostro peggior nemico” sono la cosa più preziosa che abbiamo).

Non è un caso se sempre più spesso le foto degli arrestati escono dalle caserme, trovando qualcuno felice di postarle o pubblicarle. La belva è braccata, vogliono dire quelle immagini. Con uno dei due assassini di Mario Cerciello Rega è successo qualcosa di ancora più grave: il giovane, reo confesso, è stato immortalato mentre era in stato di fermo legato e imbavagliato. Non è la prima e non sarà l’ultima volta che succede dopo un arresto, purtroppo.

Intanto l’istantanea ha fatto il giro del mondo. Una vergogna? Un caso diplomatico con gli amici americani?Macché. “Lʼunica vittima è il carabiniere”, ha twittato Matteo Salvini, che fa del benaltrismo con lo Stato di diritto dando dei benaltristi (e dei fighetti) al resto del mondo che si domanda se non ci sia qualcosa che non va in quel trattamento a un colpevole. Una parte di popolazione trattata da sofista e presa per il culo perché prova a dire che non c’entra quanto sia grave il reato commesso, anzi che non c’entra proprio chi ha commesso cosa. Ma c’entriamo noi, e cosa vogliamo essere.

Salvini, purtroppo, questo lo sa bene e ha scelto da un pezzo cosa vuole essere e cosa vuole farci diventare.